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Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte II/Capitolo XVIII. Il verbo. Modi, tempi e persone.

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Parte II - Capitolo XVIII. Il verbo. Modi, tempi e persone.

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Parte II - Capitolo XVII. I numerali. Parte II - Capitolo XIX. Le conjugazioni del verbo. I verbi ausiliari.
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CAPITOLO XVIII

Il verbo. Modi, tempi e persone.


§ 1. Il verbo (cioè la parola per antonomasia) è quella voce che denota l’azione considerata nel tempo.


Diciamo azione comprendendovi anche un modo di essere od uno stato, perchè l’esistere stesso è un’attività che si svolge nel tempo. E diciamo appunto nel tempo perchè senza il concetto di tempo non avremmo più il verbo, ma un nome astratto, come può vedersi confrontando amáre con amóre; lèggere, lezióne; operáre, operazióne; esístere, esistènza e simili.


§ 2. L’azione ha un soggetto, cioè od una persona od una cosa o un concetto indeterminato che la fa o la sostiene, p. es. égli párla; colóro vívono; il sóle risplènde; quèllo che desiderávi avvénne; piòve (sottint. il tempo, il cielo o altra cosa simile). Un soggetto col verbo costituiscono la proposisione, cioè un giudizio della mente espresso con parole; e siccome ogni verbo racchiude il concetto dell’esistenza di un’attivita, così può sciogliersi sostituendo ad esso il verbo più semplice di tutti (èssere) seguito dal participio presente (vedi più avanti § 16) di quel tal verbo. P. es. ío ámo = ío sóno amánte: ío leggèva = ío èra leggènte: ío víssi = ío fui vivènte.


§ 3. L’azione espressa dal verbo può ricevere o non ricevere un termine diretto (oggetto); vale a dire, può essere o considerarsi di tal natura da poter passare in una persona o cosa distinta dal soggetto, ovvero da dover restare nel soggetto. Della prima qualità sono, p. es. i verbi ámo, lèggo, i quali possono rispondere alla domanda che còsa? che còsa ámi? la virtù: che còsa lèggi? il [p. 145 modifica]Petrárca. Della seconda qualità sono, p. es. vívo, vádo che non possono rispondere a tal domanda ma ad altre comincianti da preposizioni p. es. a che còsa, in che luògo, con che còsa, perchè, ecc. ecc. e la risposta costituisce il termine indiretto (complemento). I primi si chiamano verbi transitivi (cioè passativi); i secondi intransitivi. Talora l’oggetto non serve ad altro che a chiarire e determinare un’azione, e questo possono averlo anche molti verbi intransitivi, p. es. salíre le scále; dormíre un sónno; vívere la víta, córrere dièci míglia, ecc. Questo però è un falso oggetto, perchè non riceve l’azione dal soggetto, non istà con esso in opposizione, ma a guisa di complemento serve solo a spiegare meglio l’azione stessa.

Alcuni verbi possono di transitivi divenire intransitivi, o viceversa, p.es. árdere, affogáre o annegáre, albergáre, variáre, ecc.


§ 4. I verbi transitivi quando denotano l’azione come fatta dal soggetto sopra altra cosa o persona, p. es. ío ámo, ío bátto, si dicono attivi: quando invece denotano l’azione come sostenuta dal soggetto e fatta da altra cosa o persona, si dicono passivi, p. es. ío sóno amáto, ío véngo battúto: se poi la denotano come fatta e sostenuta insieme dal soggetto, si dicono riflessivi, p. es. ío ámo mé stèsso, ovvero, mi ámo, mi bátto.

I verbi intransitivi, come quelli che non possono avere un vero oggetto, non possono neanche farsi passivi nè riflessivi, benchè ve ne siano molti che hanno forma riflessiva; onde da alcuni si distinguono in neutri, come náscere, vívere, moríre, andáre, ed in riflessivi (o neutri passivi) come vergognársi, pentírsi, ecc.

Alcuni transitivi riflessivi possono divenire intransitivi neutri, come muòvere, partíre invece del primitivi muòversi, partírsi; vestíre invece di vestírsi, ecc. Vedi i capp. segg.


§ 5. In un‘azione si possono considerare tre cose: il soggetto che la fa o la sostiene; il tempo in cui essa accade; la dipendenza o indipendenza in cui essa si trova da un’altra azione espressa con un verbo.


§ 6. Il soggetto dell’azione può essere di prima, di seconda e di terza persona (vedi Parte II, cap. xi), e di numero singolare o plurale. Quindi abbiamo tre [p. 146 modifica]persone singolari e tre plurali, distinte dai respettivi pronomi e dalla diversa flessione che prende il verbo. P. es.:

sing.            plur.
Pers. 1ª ío lòdo nói lodiámo
tu lòdi vói lodáte
égli lòda églino lòdano

in cui si vede che, rimanendo invariato il primo elemento della parola (lod-), cambia la flessione in sei diverse maniere. Anzi nel più de’ casi basta la sola flessione a distinguere le varie persone, rimanendo sottintesi i pronomi: p. es. (io) lòdo; (églino) lòdano.


§ 7. Il tempo nel quale l’azione accade può essere di quattro gradi, presente, imperfetto, perfetto, futuro. Il presente indica un tempo che dura tuttora o che si riguarda come non del tutto trascorso rispetto a chi parla. Il perfetto e l’imperfetto indicano ambedue un tempo affatto trascorso rispetto a chi parla: ma l’uno ne segna il momento, l’altro la continuazione e durata. Il futuro indica un tempo che non è ancora incominciato ma si aspetta che comincerà presto o tardi.


§ 8. Secondo poi che l’azione del verbo si considera come in atto o come in effetto (compiuta), ciascuno dei quattro tempi indicati si suddivide in due, l’une che esprime l’azione in atto, l’altro che la esprime in effetto.

Ecco pertanto il quadro dei tempi che può avere il verbo italiano e che noi chiameremo coi nomi più comunemente adoperati, senza far questione della loro esattezza:

Presente Presente: ío lòdo; ío párto.
Passato prossimo: ío hò lodáto, ío sóno partíto, a, i, e.
Trapassato prossimo: ío avéva lodáto, ío èra partíto.
Perfetto Passato remoto: ío lodái; ío partíi.
Trapassato remoto: ío èbbi lodáto, ío fúi partíto.
Futuro Futuro: ío loderò; ío partirò.
Futuro anteriore: ío avrò lodáto, ío sarò partíto.


§ 9. Come si vede dal prospetto che abbiamo qui riportato, i tempi che esprimono azione in atto sono semplici, cioè hanno una voce sola; lòdo, lodáva, ecc.; i tempi che esprimono azione in effetto sono composti: hò lodáto; avéva lodáto, ecc. che è quanto dire, antepongono al participio passato del proprio verbo una voce tolta dai verbi avére od èssere i quali si chiamano ausiliarii, perehè aiutano la conjugazione degli altri verbi.

L’ausiliare avére forma da sè i proprii tempi composti; p. es. hò avúto. L’ausiliare èssere si vale del participio di stáre usato nel senso di èssere; p. es. sòno státo, èrano státi (vedi appresso, cap. xxiv, § 3 in fine).


§ 10. I verbi transitivi, per indicare azione in effetto, usano i tempi semplici dell’ausiliare avére, considerando l’azione fatta come un possesso. P. es. hò amáto, èbbi amáto, dove il participio per regola resta invariabile quando precede al suo proprio oggetto, e si accorda in genere e numero con esso, quando lo segue.

I verbi intransitivi usano i tempi semplici dell’ausiliare èssere. P. es. sóno náto, èra vissúta, èrano [p. 148 modifica]mòrti, ecc. dove il participio si accorda sempre col soggetto. Si eccettuano molti verbi indicanti atti o facoltà della vita sì vegetativa come animale e razionale; p. es. germogliáre, dormíre, ragionáre, potére, dovére, volére, ecc. e le voci degli animali come muggíre, nitríre e sim. i quali tutti usano avére.

Quei verbi che possono avere significato transitivo ed intransitivo, prendono in un senso avére, nell’altro èssere: tali sono specialmente i verbi indicanti l’entrare in uno stato e farvi entrare altri, come brúcio che ha doppio senso, cioè, provo io il bruciore, ovvero, lo fo provare ad altri: imbiánco, divento bianco io, ovvero fo diventar bianca qualche cosa. Alcuni verbi intransitivi di moto usano èssere quando sono costruiti con un termine locale, ed avére quando mancano di quel termine o sono costruiti con un falso oggetto: per esempio sóno córso da lui e invece hò córso tánto: ho córso tre míglia: avéa voláto tròppo: èra voláta da’ suoi piccíni: èra salíto in cása: avéa salíto le scále.

Vívere, dimoráre, fioríre e qualche altro verbo possono avere o uno o l’altro degli ausiliarii.

Quanto ai verbi riflessivi ed agli impersonali, vedi i cap. segg.


§ 11. La dipendenza o indipendenza di un’azione da un’altra azione espressa col verbo dà luogo alla distinzione dei modi del verbo stesso, che si riducono a tre reggenti e quattro complementari.

I modi reggenti sono tre: l’indicativo (o dimostrativo), il condizionale e l’imperativo. I modi complementari sono il congiuntivo, l’infinito, il participio, ed il gerundio; dei quali i tre ultimi si chiamano anche nomi verbali perchè partecipano della natura del verbo e del nome.


§ 12. L’indicativo afferma l’azione come reale e di fatto. P. es. lòdo, lodávano, loderà: crédo, credètti.

Il condizionale afferma in modo condizionato: scriverèi, avrèi scrítto; loderèi, avrèi lodáto. [p. 149 modifica]

L’imperativo afferma la volontà che un’azione si faccia, ed equivale a un comando o consiglio. P. es. scrívi, ábbi scrítto; mángia, ábbi mangiáto.


§ 13. Il congiuntivo (detto anche soggiuntivo) afferma l’azione non come reale ma come possibile e conveniente, e serve a compiere il senso di un modo reggente coll’intermezzo di qualche congiunzione o pronome relativo espressi o sottintesi. P. es. vòglio ché tu scríva; credéva ché partísse; sé studiásse, imparerèbbe: non tròvo chi mi ajúti.


§ 14. L’infinito fa due uffici: compie il modo reggente espresso o sottinteso, talora coll’intermezzo di qualche preposizione; p. es. vòglio scrívere; hò vòglia di scrívere; sono còse da tacére:

esprime di per sè l’idea dell’azione nel tempo senza alcuna altra determinazione, p. es. partíre, mangiáre, scrívere; e può ricevere l’articolo, il mangiáre, il dormíre, un bel moríre, un sómmo godére, prendendo anche talora le proprietà del sostantivo. Considerato così assolutamente l’infinito è la parte fondamentale nella conjugazione dei verbi, e figura ne’ vocabolarii come tipo del verbo intero.


§ 15. Il gerundio spiega e compie senza alcuno intermezzo un altro modo e tiene le veci d’una proposizione subordinata. P. es. studiándo si impára; cioè sé si stúdia; con istudiáre o sim.: égli, partèndo di cása, incontrò il nemíco; cioè, méntre partíva, nell’átto di partíre.

Il gerundio è indeclinabile, cioè non varia nè per genere nè per numero e quindi non si può, senza equivoco, riferire ad altro che al soggetto della proposizione di cui fa parte. P. es. èssi dormèndo [p. 150 modifica]sognárono mólte còse; mentre non si direbbe éssi trovárono mólti uomini piangèndo per significare che piangèvano, o piangènti.


§ 16. Il participio, detto così perchè partecipa del verbo e dell’aggettivo insieme, significa l’azione in atto od in effetto come inerente ad un sostantivo, tanto se fatta o sostenuta da esso. P. es. Egli piangènte si stáva sulla póppa della náve, cioè in átto di piángere: présero tútti i fuggènti, cioè colóro che fuggívano: vídero lúi circondáto dai nemíci, inseguíto ed uccíso. Unito agli ausiliarii (vedi sopra) forma molti tempi in tutti i modi del verbo.


§ 17. L’indicativo, come quello che afferma la realta dell’azione, è il solo modo che abbia tutti i tempi sopra indicati ben distinti fra loro (vedi qui addietro § 8). Gli altri modi, come quelli che accennano tutti a qualche azione da potersi fare ma che ancora non è reale, non ne determinano esattamente il tempo, ma bensì distinguono l’azione in atto da quella in effetto. Tutti pertanto hanno un tempo semplice, che può chiamarsi presente, ed un tempo composto che può chiamarsi, secondo l’uso, passato. Il solo congiuntivo ne ha due semplici, presente ed imperfetto, e due composti, passato e trapassato: presente ch’ío lòdi: imperf. ch’ío lodássi; pass. ch’ío ábbia lodáto; trap. ch’ío avéssi lodáto. Il presente e il passato del congiuntivo dipendono per regola dal presente o passato prossimo o futuro dell’indicativo; l’imperfetto ed il trapassato del congiuntivo dall’imperfetto, pass. remoto e trapassato prossimo e remoto dell’indicativo stesso, come dichiarerà la Sintassi.