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Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte II/Capitolo XXVIII. L'avverbio.

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Parte II - Capitolo XXVIII. L'avverbio.

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CAPITOLO XXVIII

L’avverbio.


§ 1. L’avverbio (così detto dalla stretta relazione che ha col verbo) è quella parola indeclinabile che accenna o determina le circostanze dell’azione significata dal verbo (vedi P. II, cap. xviii, § 1 in nota). Quello adunque che il pronome e l’aggettivo fanno col sostantivo accennandolo o determinandolo, quello stesso fa l’avverbio con un verbo o espresso o sottinteso.

Anche l’aggettivo, come quello che significa una qualità (modo di essere), può restare determinato da un avverbio, specialmente dagli avverbii che indicano quantità, grado o misura; p. es. mólto bèllo; più gránde; altaménte onèsto; sémpre cáro; così amábile. Gli avverbii stessi possono venire determinati da altri avverbii di quantità, grado e misura, come p. es. nelle locuzioni seguenti: parláre mólto lungaménte; assái saviaménte; díre più o méno bène. Donde si vede che anche gli avverbii possono assumere il grado comparativo. (Cfr. Parte II, cap. viii, § 3).


§ 2. Bisogna distinguere tre maniere di avverbii. Alcuni significano esplicitamente una proprietà o maniera dell’azione, come gli aggettivi una qualità del nome, e gli chiameremo aggettivali; p.es. parlare álto, operare virtuosaménte. Altri indicano, accennano rapporti diversi, come i pronomi fanno col nome, e questi gli chiameremo pronominali; p. es. fare così: è [p. 213 modifica]volato lassù. Altri sono frasi avverbiali che esprimono lo stesso concetto degli avverbii; p. es. parlare di fòrza, operare a gárbo, ecc.


§ 3. Avverbii aggettivali. La maggior parte di questi avverbii sono aggettivi usati invariabilmente nella forma del maschile, ovvero aggettivi e participii in forma femminile, composti col suffisso ménte. Esempii: piáno, fòrte, básso, álto, cèrto, spésso, présto; pianaménte, forteménte, bassaménte, altaménte, certaménte, onestaménte, ardenteménte, correttaménte. Se l’aggettivo termina in le o re, se ne fa il troncamento dinanzi a ménte: p. es. facil-ménte, nobil-ménte, singolar-ménte.

Alcuni aggettivi in lènto cambiano l’o in e dinanzi a ménte (cfr. P. III, cap. i, § 3): da violènto (antiq. violènte) violenteménte; da frodolènto (anche frodolènte), frodolenteménte.

I poeti omettono alcune volte il troncamento dell’aggettivo, e possono dire umileménte, simileménte, ecc. Negli antichi si trovano talvolta due aggettivi seguiti da ménte, come p. es. úmile e dolceménte, álta e riccaménte.

Tanto gli uni che gli altri sono, come l’aggettivo, capaci di forma superlativa: p. es. párla correttíssimo, córre fortissímo, piáno pianíssimo: álto, álto; fòrte, fòrte: fortissimaménte, altissimaménte, ecc.

Alcuni avverbii di modo derivati da nomi o verbi, hanno la terminazione -óni, -óne: p. es. tastóni, boccóni, balzellóni, carpóne, ginocchióne, ecc.

Altri sono voci prese tali e quali dal latino: p. es. mássime, bène, mále (che si dicono anche massimaménte, malaménte). Bène e mále hanno ciascuno una forma di comparativo e di superlativo:

bène, mèglio, beníssimo (= ottimaménte)
mále, pèggio, malíssimo (= pessimaménte).

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Alcuni di questi avverbii si usano pure in forma alterata, p.es. beníno, benóne, malúccio, pianíno.


§ 4. Avverbii pronominali. Questi si possono distinguere in alcune classi che corrispondono a quelle stesse dei pronomi, cioè in dimostrativi (determ. e indeterm.), relativi e quantitativi, suddividendo le due prime secondo le tre relazioni di luogo, tempo e modo.


§ 5. I. Dimostrativi determinati:

di luogo: qui, qua, quassù, quaggiù (corrispondenti alla prima persona); costì, costà, costassù, costaggiù (corrispondenti alla seconda persona); ívi, quívi, índi, quíndi, quínci, su, giù, laggiù o colaggiù, (3ª persona):
di tempo: óra, ancóra, adèsso, òggi, jèri, dimáni, diánzi, testé, allóra, ecc. tòsto, súbito:
di modo o misura: , così, tánto, talménte.


II. Dimostrativi indeterminati:

di luogo: altróve, altrónde, dovecchessía:
di tempo: già, omái, pòi, sèmpre, mái, únque poet., guári, spésso, sovènte, prèsto, tárdi, dipòi, pòscia:
di modo: altriménti, círca, quási, fórse, ánche.


III. Relativi e interrogativi:

di luogo: óve, dóve, dovúnque: ónde, dónde:
di tempo: quándo, allorquándo, allorché, qualóra:
di modo o misura: cóme, qualménte, quánto, comúnque.


IV. Quantitativi puri: pòco, méno, alquánto, mólto, più, viepiù, assái, affátto, tròppo (cfr. P. II, [p. 215 modifica]cap. xv, § 1). Superlat. pochíssimo, assaíssimo, moltíssimo.

A questi si debbono aggiungere gli avverbii negativi: non, che si rafforza con púnto e míca; p. es. non è púnto lièto; non ha míca i tesòri di Crèso, ecc.: núlla o niènte, che si rafforzano con affátto; p. es. non è véro niènte affátto.


§ 6. Frasi avverbiali. Queste sono moltissime e svariatissime. La maggior parte consistono in nomi o avverbii retti da preposizioni articolate o no; e spesso dai varii elementi risultano parole composte (vedi la Parte III). Eccone alcuni esempii: a cáso, appéna (a péna), a un trátto; alla mano, all’improvvíso; da cápo, davvéro (da véro); inváno (in váno), in frétta, in brève, in avveníre; di rimpètto, di buòna vòglia, di mal ánimo; per férmo, per giuòco, per tèmpo, alméno (al méno), invéce, oltremòdo; pòco fa, talvòlta, alle vòlte, a bell’ágio, infíne, di gran lúnga; a capríccio, a dispètto, a bèllo stúdio, di buòn grádo, al contrário, a un diprèsso, prèsso a pòco, tuttavía, tuttavòlta (tutta, ecc.) ecc. di qui, di là, di costà, di lontáno, del tutto, di nuòvo. Molte forme sottintendono il nome manièra o usánza; p. es. alla casalínga, alla soldatésca, all’italiána, alla francése, ecc. Alcune sono tolte dal latino, p. es. ex tèmpore, ab antíco, ab immemorábili.


§ 7. Fra gli avverbii dimostrativi di luogo sono ancora da annoverarsi le particelle enclitiche ci, vi e ne. Ci (corrispondente a qui) indica propriamente il luogo dov’è chi parla, ma si estende anche al senso di ívi, quívi, costì e sim.: vi significa soltanto ívi, quívi, costà, ecc.: ne (corrispondente agli avverbii [p. 216 modifica]dimostrativi quínci, índi) indica il luogo donde uno si parte. Queste tre particelle avverbiali si usano anche spesso come particelle pronominali (vedi P. II, cap. xi): ci e vi (da non confondersi con ci e vi particelle pronominali di 1ª e 2ª persona plur.) per a quésto, a cotésto, a quéllo, a ciò, in quésto, in cotésto, in ciò, ecc. riferiti a cosa non a persona: ne (da non confondersi con ne particella pronominale di 1ª persona plur.) per di quésto, di cotésto, di quéllo (cosa o persona) sì nel sing. come nel plur. P. es. mi ci adòpro, égli vi si pèrde o ci si pèrde; non ne párlano, ne hanno paúra.

Si uniscono ai verbi o sole o in gruppo con particelle pronominali, nella stessa maniera che si pratica con le altre enclitiche di cui parlammo (vedi Parte II, cap. xi), onde abbiamo anche qui le forme ce lo, ce la, ce gli, ce le, ce ne; ve lo, ve la, ve gli, ve le, ve ne, vi si; mi ci, ti ci, ci si, vi si; e talora i gruppi di tre particelle, ce lo, ecc. o se ne preceduti da mi (a me), ti (a te), vi (a voi), gli (a lui); ovvero se lo, ecc. preceduti da ci (locale). P. es. mi ci métto, ti ci mándo, ci si gettò, vi si póse a sedére, me ne vèngo, ecc.; ti ce lo scrívo; ci se le míse. Le quali enclitiche (di rado, se sono più di due) possono, come le altre, attaccarsi dopo il verbo. P. es. andárci, andárvi, partírvene, stárci. Sono meno frequenti i gruppi mi vi, vi ti, ne lo, ne la, ecc.

Ci viene adoperato anche in senso personale di con od in lúi, lèi, lóro. P. es. ci discórro, ci spèro. È però grave errore l’usarlo nel senso di a lúi, a lèi, a lóro. P. es. vídi Francesco e ci díssi, ecc. pagái i servitóri e ci diédi la máncia, ecc.