Ha di rubini in sì vermiglio umore
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XIII
Ha di rubini in sì vermiglio umore
Bacco le grazie d’ogni grazia chiuse,
Ed ogni grazia dell’Aonie Muse:
lo l’arse labbra, e l’anelante core,
5Or che il Sol fiammeggiando in alto poggia,
Vo’ rinfrescar di così nobil pioggia;
Poi vo’, che tuoni il Ciel di questa loggia,
Ove tanto vi vidi occhi lucenti,
Al rimbombar de’ miei focosi accenti.
XIV
Miro, che i lidi tutti or son nevosi,
Ardi del bosco, e qui le fiamme accresci;
Il selvoso Appennin fors’è lontano?
E tu fra’ mosti per vigor famosi
5Reca il fumoso di Sicilia, e mesci:
È fuoco desïato il buon Vulcano;
Ma pur è Bacco via più nobil foco,
Perchè seco ha lo scherzo, e seco il gioco.
XV
Quest’ambrosia del ciel, che in terra vino
Per uom s’appella, vien dal gran Vesevo,
Caro, e da riverirsi peregrino:
Col bicchier primo ogni tristezza obblio:
5E se a lui torno, ed il secondo io bevo,
Ratto, nè sa di che, ride il cor mio;
E dove il terzo non tralascio addietro,
Non ha, che io non le spezzi, arme il dolore:
Deh chi tre volte dunque il nobil vetro
10Men reca pieno, or che m’affligge Amore?
XVI
Di questa Greca vite il caldo orgoglio,
Bacco, non pavento io, s’ei mi minaccia;
E se m’annebbia il guardo, arde la faccia,
E rigonfia le vene, io non men doglio:
5Sol negli assalti suoi Bacco desio,
Ch’ei nel mio petto non rinversi obblío.
Bacco, di due begli occhi io pensar voglio.
XVII
In quel terso cristal profondo e largo
Trovo io per ogni mal Lete, e letargo:
Se dell’auro Trebbiano
I Toschi fiaschi, o Gelopea, son vôti,
5Versa del grande Ispano;
Ma fa che d’Appennin gelo vi noti:
E mentre il petto allagheronne, scuoti
Le piume o Filli, che fur occhi d’Argo.
XVIII
Tutto infocato alberga
Col gran Leon stellante
Apollo, e fiammeggiante
Riversa ardor dalle vellose terga.