I Mille/Capitolo LXIII

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Capitolo LXIII. Cozzo, Lia ed i nostri feriti

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Capitolo LXIII. Cozzo, Lia ed i nostri feriti
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CAPITOLO LXIII.

COZZO, LIA ED I NOSTRI FERITI

E l’uomo, e le sue tombe, e l’estreme sembianze
E le reliquie della terra e del ciel
Travolge il tempo.
 (Foscolo).


De questi affari no ve ne mescé,
Lasciè fa i frati, che l'e o seu mestè.
 (Genova).


Dopo il 2 ottobre, il compito dell’esercito meridionale era finito, e non potendo far meglio, convenne lasciar fare a chi tocca. Io approfittai quindi della mia inutilità negli affari di guerra, per fare una visita ai miei fratelli d’armi feriti.

Ne ho già veduti dei cadaveri e dei feriti — in questa mia tempestosa vita — su varii campi di battaglia, e per fare un po’ come gli altri, ho cercato d’indurire il cuore alla vista delle stragi, delle mutilazioni, dei macelli umani!

Comunque, se indurito dall’abitudine, ho potuto contemplare con indifferenza i morti, anche numerosi, i sofferenti però m’hanno sempre commosso, e, se ho potuto, ho cercato di alleggerirne i patimenti. [p. 390 modifica]

Tu, Italia! hai molti preti, molte malve, molti epuloni, che non lavorano, e mangiano per cinquanta alle spalle dei poveri; tu hai molti ladri, piccoli e grandissimi, e cotesti costituiscono il tuo abbassamento e le tue miserie! Ma....... hai molti prodi! E se i primi sono tenaci nelle loro bugiarde dottrine, nei loro furti e nelle tue miserie, i tuoi veri figli progrediscono in idoneità per servirti, e non soffrire di vederti oltraggiare da chicchessia.

Calpesta sotto i piedi le paure di chi ti governa; cotesta è gente a pancia grossa e molto interessata, com’è naturale, a salvarla dalle prepotenze straniere o dalla fame interna.

Nell’avvenire, però, non sarai insultata: ne rispondono le generazioni che sorgono — bambine, nell’ultima metà di questo secolo, ma che non ne aspetteranno la fine per essere giganti.

Io li ho veduti feriti, mutilati o morenti tutti quei superbi campioni dell’onore e della libertà Italiana: Gradenigo, Rossetti, Risso, Masina, Boldrini, Manara, Montaldi, Montanari, Ciceruacchio, Giovagnolli, Manin, Taddei, Ferraris, Rossi, Cozzo, Denobili, Specchi, Debenedetti, Cottabene, Bronzetti, Elia, Bandi, Mameli, Maiocchi, Cucchi, Sgarellino, Bovi, Vigo, Franchi, Lombardi, Dandolo ed i martiri fratelli Cairoli, Debenedetti e Bronzetti, che riassumono uno dei più splendidi martirologi che mai abbia annoverato la storia. Accanto ai Bandiera, a Pisacane ed a Imbriani, io collocherei altre migliaia di martiri, se vi [p. 391 modifica] arrivassero la mia memoria ed il mio ingegno. Lascio quindi ad altri, più di me capaci, la cara e patriottica commemorazione.

Io gli ho veduti morenti! e narro di loro cogli occhi umidi ed il cuore commosso. Sì! morenti quei miei cari giovinetti! leoni sul campo di battaglia, ora giacenti sul letto del dolore! Molti non giungevano ai tre lustri! Le loro belle capigliature — bionde, nere, castagne — poichè esse ponno additare alle varie latitudini di questa bella nostra penisola — le loro belle chiome erano scapigliate, ed a molti intrise di sangue!

Io piango scrivendo!.....

I loro occhi infantili — in cui han cessato di bearsi le genitrici sventurate — i loro occhi, rivolti a me, animaronsi, come se volessero rassicurarmi, consolarmi nel mio cordoglio e dirmi: «Non è nulla! il dover nostro l’abbiamo fatto, e moriamo contenti, giacchè la vittoria sorrise alle armi dei valorosi!»

A molti, il loro ultimo pensiero era rivolto a questa terra, che per loro, per il nobile sacrificio della loro vita, non sarà più ancella di prepotenti — e morivano esclamando: «Viva l’Italia!» — E l’Italia li ha scordati: poveri giovani!.....

Le loro madri cercheranno invano ove caddero, ove morirono, ed ove furono sepolti, forse, dalla commiserazione di qualche bifolco!

E l’Italia lascia in piedi il monumento eretto dai suoi barattieri, corruttori e carnefici al mercenario straniero! Oh s’io potessi ricordarmi di [p. 392 modifica] tutti i vostri nomi, miei cari, belli, giovani compagni! Io, con questa mano già indurita dagli anni, inerte, li consacrerei in queste povere pagine alla gratitudine di generazioni men ciarliere, ma che sapranno dovutamente apprezzare il sublime olocausto dell’esistenza vostra preziosa.

Sì, l’Italia rammenterà il vostro eroismo, quando, passati questi schifosi tempi di miserie, di depredazioni e di garanzie alla menzogna — che ridicolissimamente occupano tutti gli istanti di queste cime regolatrici del mondo — essa potrà vivere dignitosamente e liberamente senza offendere, ma senza temer nessuno.

In uno stanzino dell’ospedale di Caserta, lo trovai finalmente, quel caro e simpatico Cozzo — quel prototipo della brillante gioventù palermitana — oggi vispa, audace, valorosa come lo fu alcuni secoli fa, quando esterminava sino all’ultimo i boriosi antenati dei moderni Chauvins. — Cozzo, che vedevo raramente in tempi ordinari, ma che m’appariva sempre nei giorni di battaglie, ove maggiore era il pericolo, e vi assicuro che quell’aspetto suo, d’una risoluzione ferrea e calma nello stesso tempo, mi era di buon augurio.

Anche Cozzo baciai coll’affetto di padre, ed a lui diressi alcune poche parole di conforto, senza speranza nella mia coscienza..... Su quell’angelico volto, la morte aveva già scolpito l’impronta della terribile sua falce! Egli mi sorrise, con un sorriso..... ch’io porterò impresso nel mio cuore tutta la vita! Era sorriso d’affetto. — Cozzo [p. 393 modifica] sapeva ch’io l’amava tanto! — e lo trovò, quel caro sorriso, nelle mortali sue angoscie.

Lia era al capezzale di Cozzo. — Lia, la contadina della conca d’oro1, la bella fanciulla dall’occhio nero e fulgidissimo come quello dell’aquila. Essa procurava di sorridere al suo caro, quando gli occhi loro s’incontravano; ma poi, da lui non vista, struggevasi in dirottissimo pianto.

Cozzo aveva il petto rotto da una palla borbonica, e lesa incurabilmente, una parte vitale.

Egli affrontò la mitraglia nemica, alla testa della colonna che decise della vittoria nel 1° ottobre. Rimase sul campo esangue, colla sua Lia accanto, sinchè, terminata la pugna, essa lo fece trasportare nella stanza in cui lo baciai moribondo.

La sua effigie posa sul mio capezzale, in mezzo a quelle dei Bronzetti e sotto quelle dei Cairoli e degli altri martiri i di cui ritratti ho potuto raccogliere. — Felice me! che, nell’avventurosa mia carriera, ho potuto servire il mio paese con tali compagni!




Note

  1. Valle di Palermo.