I divoratori/Libro secondo/IX

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IX.

Quando Nancy ricevette a New York la notizia della morte di sua madre, mise un abito nero invece di quello color marrone; e pianse, e pianse, e pianse, come piangono i figli per le loro madri. Poi rimise l’abito color marrone, e andò avanti a vivere per Anne-Marie, come vivono le madri per i loro figli.

In breve lasciarono il tetto meschino e ospitaliero di Frau Schmidl e, per allontanarsi un poco dal quartiere dei negri, presero un piccolo appartamento nell’82.ma Strada.

Una nipote di Frau Schmidl, per nome Minna, veniva a fare il lavoro di casa e a condurre a passeggio Anne-Marie. Anne-Marie adorava Minna. La contemplava con [p. 233 modifica]occhi rapiti quando parlava coi fornitori e coi vicini; e la seguiva di stanza in stanza quando essa spazzava e faceva i letti. Minna portava delle vesti scollate, e intorno al collo un nastrino di velluto nero e una fila di perle azzurre. Agli occhi di Anne-Marie, Minna rappresentava la perfetta bellezza muliebre. E Anne-Marie la imitava il più possibile, cercando di copiarne il passo, i gesti e il linguaggio.

Nancy talvolta le udiva parlare insieme in cucina. La voce di Minna:

— Cos’hai mangiato col tuo thè?... «A butterbread»?

E la voce di soprano striduletto di Anne-Marie:

— «Yes! two butter breads mit sugar.»

E Minna:

— «That’s fine! To-morrow Tante Schmidl makes a cake, a good one. We eat it evenings.»

— «A cake.... a good one. We eat it evenings,» faceva eco Anne-Marie.

All’orrendo suono di questo linguaggio ibrido, l’anima di Nancy si contraeva per la mortificazione. Ella aveva per l’appunto tolto dal fondo d’un baule il manoscritto del suo libro, e commossa l’aveva aperto sul tavolo davanti a sè. Le pagine liscie e larghe erano dolci al suo tocco.

La frizzante freschezza di pensiero, il piccolo brivido che sempre precedeva il prorompere dell’ispirazione, la scosse, e Nancy stese la mano verso la penna d’avorio....

— «A cake, a good one», — ripetè nella stanza attigua Anne-Marie, a cui il suono massiccio e teutono di quella frase piaceva.

— Oh, la mia bambina! la mia bambina! come crescerà?

Nancy, la madre, tolse di mano a Nancy, il poeta, la penna d’avorio; e il resto di quel giorno, e molti altri, [p. 234 modifica]furono dedicati all’istruzione e all’educazione di Anne-Marie.

Durante i mesi che seguirono Nancy inventò per la piccina un gioco che ebbe molto successo.

— Facciamo questo gioco, — disse Nancy, — che tu sei un piccolo libro che ho scritto io: un bel piccolo libro come le fiabe di Andersen.... sai bene, quello che ha dentro le belle immagini di principessine e di fate. Ebbene, in questo libro ch’io amo tanto....

— Di che colore è? — disse Anne-Marie.

— Oh! tutto bianco, e rosa, e oro, — disse Nancy, baciando le chiome lucenti della sua bambina. — Dunque, in questo libro, in mezzo al più bello dei racconti di fate, ecco che qualcuno è venuto a fare dei brutti sgorbi, a scrivere delle parole comiche e insensate.... come.... come «butter-bread»!

— Chi ha fatto questo? — disse Anne-Marie.

— Ma, non so!... Minna....

— Perchè gliel’hai prestato? — disse la piccola, facendo un gesto col capo che la faceva somigliare a suo padre.

— Hai ragione, amore. Non lo farò più. Lo terrò sempre sempre con me, il mio piccolo libro prezioso!... Dunque, dà retta. Io devo togliere quelle parole sciocche e brutte, non è vero? e mettervi invece delle parole belle, e dei pensieri dolci. Altrimenti nessuno vorrà leggere il libro. Non ti pare?

— Già, — disse Anne-Marie, con gli occhi un po’ attoniti. — Ci metterai anche le immagini?

— Oh, sì! — disse Nancy. — E vorrei poterci mettere anche delle rime!

— Perchè? a cosa servono le rime? — disse Anne-Marie.

— Non c’è nulla di più bello, — disse Nancy. — Proviamo! [p. 235 modifica]

Ma Anne-Marie era refrattaria alla poesia. Lunghe spiegazioni ed esempi, quali: «core» e «amore»; «pianto» e «incanto»; «finestra» e «minestra», lasciarono Anne-Marie sbalordita e irritata.

Nancy la carezzò, paziente.

— Prova a dire una rima anche tu, una sola! Di’, tesoro, di’: cosa fa rima con «stella»?

No. Anne-Marie non sapeva cosa facesse rima con stella.

— Ma «bella», s’intende, bimba mia cara! E adesso dimmi una parola che faccia rima con «cara»!

— «Bella», disse Anne-Marie.

— Ma no, ma no! Pensa un pochino che cosa fa rima con «cara»?

Anne-Marie riflettè.

— «Verdura»? — disse finalmente, memore della cucina di Frau Schmidl.

Nancy gemette.

— Ma no, ma no, tesoro! Pensa: una cosa quando non è dolce è...? trova, trova la rima con «cara»!

— «Carissima»! — gridò Anne-Marie, trionfante.

E fu subito abbracciata e baciata.

— Ah! vorrei che tu fossi poeta, Anne-Marie, — disse sua madre spingendole indietro dalla fronte i biondi capelli.

— Perchè? — disse Anne-Marie, dimenandosi per sfuggirle.

— I poeti sono immortali; vuol dire che non muoiono mai, — disse Nancy, lieta di porre una immagine nel piccolo libro bianco e rosa.

— Allora sarò un poeta, — disse Anne-Marie che conosceva la morte per aver sotterrato nel cortile dei Schmidl un gatto morto e per averlo scavato fuori un paio di giorni dopo per vedere com’era. [p. 236 modifica]

Ma Anne-Marie non era destinata ad essere poeta. Nei piccoli libri bianchi e rosa che le mamme credono di creare, il Racconto è già scritto prima ancora che essi giungano nelle tenere mani materne. E Anne-Marie non doveva essere poeta.

Ma ancor sempre a Nancy il fuoco sacro bruciava il cuore, e correva come fiamma liquida nelle vene. Ella si diceva:

— Adesso non è possibile ch’io lavori al mio Libro. Il Libro deve aspettare finchè Anne-Marie non avrà più bisogno ogni momento di me. Ma frattanto posso scrivere delle poesie! Posso scrivere un ciclo di poesie intorno ad Anne-Marie. Li chiamerò «Poemi di Puerizia»....

Allora con occhio d’artista Nancy si pose a osservare la sua figliuoletta, seguendola con lo sguardo penetrante, gettando sovra l’inconscia testolina bionda il cilestre velo dell’idealità, e scrutando i limpidi occhi infantili per trovarvi la sorgente di frase novella o di simbolo felice. Voleva porla come una statuetta neoterica in cima a un sonetto; voleva fissarla e immortalizzarla in qualche rara posa arcaica.

Ma Anne-Marie era la creatura del suo ambiente. Anne-Marie metteva degli abiti foggiati e cuciti da Minna; e portava in testa un piccolo e piatto cappello rosa che pareva un coperchietto.

Anne-Marie aveva parlato italiano come una principessina di Toscana; ma il suo inglese, imparato dai tedesco-americani della Settima Avenue e dell’82.ma Strada, era un idioma orrido e grottesco. Ogni volta che Anne-Marie apriva la piccola bocca soave, ne uscivano delle frasi che erano come dei pugni nel cuore a Nancy. Invano le aveva ella raccontato la storia della principessa stregata a cui, quando parlava, saltavano fuor dalla bocca i ranocchi; mentre sua sorella, la principessa buona, aveva [p. 237 modifica]la bella bocca «di rose piena, e di perle e di dolci parole».

— Mi piace di più quella coi ranocchi, — diceva Anne-Marie, semplice e sincera.

E le gioie di Anne-Marie erano elementari e inestetiche. Non a lei era dato vagare pei viali ombrosi d’un giardino, cullando tra le braccia una lussuosa bambola dalle articolazioni mobili, dal nome mellifluo. No. Dalla cigliata Marie-Louise di Montecarlo in poi, le bambole di Anne-Marie erano state numerose ma poco amate. Secondo il suggerimento di Frau Schmidl, e anche per motivi di economia, Nancy era andata un giorno «downtown», nella «città bassa», e aveva potuto comperare in un negozio di giocattoli all’ingrosso, ciò che, sulla fattura, era descritto come segue: «Una dozzina bambole, grandezza 9, qualità 4. Colore biondo. Vestito rosso. Prezzo per dozzina: 2 dollari e 40 cents».

La prima delle dodici venne quella stessa sera regalata ad Anne-Marie. Fu baciata con frenesia e battezzata Hermina (il nome di Minna). Le si pettinò la stoppacciosa chioma e si fecero dei tentativi per svestirla. Visto che non si svestiva, fu messa a letto qual’era, e Anne-Marie si coricò con precauzione al suo fianco.

A suo tempo Hermina si ruppe e morì. Quale non fu la gioia di Anne-Marie quando la medesima Hermina, collo stesso sguardo turchino, la stessa chioma stoppacciosa, lo stesso sorriso d’angelo, riapparve nella sua veste rossa dinanzi a lei!

Fu baciata con frenesia.

A suo tempo anche questa seconda Hermina, priva di gambe e con pendula testa slogata, fu tolta alle tenere braccia di Anne-Marie. Ed ecco apparire un’altra Hermina, rigida e completa, con l’occhio turchino, la chioma stoppacciosa e il sorriso d’angelo rinnovellati!

Anne-Marie, vedendola, spalancò due larghi occhi e [p. 238 modifica]trasse un profondo respiro. Accettò con più stupore che affetto questa terza Hermina, e non la baciò.

Quella Hermina morì presto, e Nancy con un sorriso trionfante ne produsse una quarta. Con uno strillo d’indignazione e d’odio, Anne-Marie la afferrò per le ben conosciute scarpe dipinte, e le sbattè l’aborrita e ben ricordata faccia per terra.

Le altre otto le furono date tutte insieme; e furono gettate per terra e detestate e calpestate. Durante molte notti i sogni di Anne-Marie furono popolati da Hermine morte e risuscitate; da placide Hermine sorridenti e senza gambe; da Hermine instivalate e senza naso; da spaventose Hermine, sane se viste di dietro, ma con tenebrose caverne al posto della faccia, sotto le flave chiome stoppacciose.

Non volle più bambole. E i suoi divertimenti furono presi dove li trovava: più che altrove in cucina. Le sarebbe piaciuto di lavare i piatti, ma questa era una gioia proibita; ma le piaceva farsi vedere con un asciugamano di cucina sotto al braccio, a girare per la cucina, o a spolverare i mobili con fare disinvolto e importante, come Minna.

S’estasiava al vedere il ragazzo del macellaio sbattere sul tavolo un pezzo di filetto; e le sguaiate risa della nerissima «coloured lady» — così chiamano le negre a New York — che ogni sabato portava la biancheria, erano suoni dolci e dilettevoli al suo orecchio.

Le piaceva anche il pianoforte che qualcuno suonava malissimo nell’appartamento attiguo; il pianoforte che faceva disperare Nancy quando cercava di mettersi a scrivere.

· · · · · · · · · · ·

Tu che sorridi ancora inghirlandata
Dal fiore biondo della puerizia....

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scriveva Nancy, cercando di non udire lo strimpellamento dei vicini.

Oh glauco-occhiuta, oh cerulo-venata....

— Minna! Minna! cos’è che suonano? — strillava Anne-Marie, saltando dalla seggiola dove l’aveva messa Nancy e correndo in cucina.

Nancy ricominciava:

Occhi d’aurora e bocca di delizia....

— Quella è la canzone della Bowery, — rispondeva Minna, sbatacchiando le posate e i piatti.

— Chi è la Bowery? — chiedeva Anne-Marie.

— Non è nessuno. È un posto pieno di policemen e di chinesi.

Nancy cancellò tutto e ricominciò:

Sei quasi alata ancora! t’inghirlanda
Il biondo fiore della puerizia....

— Me la canti quella canzone, Minna, me la canti? «Go on»!

Allora nella cucina vibrava il forte soprano di Minna:

Casey would waltz with the strawberry blonde,
And the band — played — on —

E l’infantile falsetto di Anne-Marie ripeteva:

Casey would waltz with the strawbeddy blonde,
And the band — play — don.

Ahimè! anche il ciclo dei «Poemi della Puerizia» [p. 240 modifica]doveva aspettare. Lo scrivere o il pensare in quella casa, era impossibile!

Più tardi, quando si potesse prendere un alloggio più grande, quando la «glauco-occhiuta e cerulo-venata» avesse una governante.... Ma per ora nell’appartamento 7, sinistro interno, della 82.ma Strada, non spirava aria propizia alla poesia.

Di giorno, Aldo era quasi sempre in casa, fumando sigarette, leggendo gli interminabili giornali della domenica — che durante tutta la settimana ingombravano le tavole e le sedie — e sospirando per la mancanza d’una cosa o d’un’altra. Alla sera usciva.

Il suo era un lavoro che si faceva specialmente di sera; così egli spiegò a Nancy. Del resto, a Nancy dava poche spiegazioni. Un giorno egli aveva portato a casa cinquecento dollari invece di venti, e aveva tentato di farle capire perchè la somma era di tanto maggiore del solito; ma Nancy era stata così esterrefatta e agitata, così impaziente di sapere precisamente come Aldo li avesse guadagnati, così nervosa ed eccitata, che egli si era deciso a non dirle mai più niente. Già, era impossibile farle comprendere le sottigliezze dei suoi doveri verso la signora Van Osten. Quindi meglio star zitti.

Allorchè, circa due mesi dopo — il suo còmpito essendo ridivenuto più arduo — Aldo ricevette cento dollari invece di venti, egli ne portò ottanta a una Cassa di Risparmio, e arrivò a casa coi soliti venti dollari.

Non appena egli ebbe in mano il libretto della Cassa di Risparmio, ecco che il nonno di via Chiaia si ridestò in lui, e uccise il lazzarone che non s’incaricava dell’indomani. Aldo cominciò a darsi cura delle piccole cose; badava alle minime spese; brontolava lungamente per una compera di 25 cents; e per mezzo dollaro stava imbronciato tutta una giornata. Il meschino ménage era con[p. 241 modifica]dotto coi principii della più rigida economia. E Aldo non era felice che quando gli era riuscito di spremere un dollaro dalle spese settimanali e portarlo su per la scala del «Dime Savings Bank».

Facendo i conti con Minna egli notò che, se la fissava con lungo sguardo profondo, essa il giorno dopo, per fargli piacere, spendeva meno. E quanti furono allora i pezzi di zucchero e le fette di burro che Minna tolse la sera dall’armadio della sua zia Schmidl, per deporli la mattina, quale sacrificio propiziatorio, sulla magra tavola dei Della Rocca!

I vestitini rappezzati di Anne-Marie e i coperchietti rosa che portava in testa — sempre una spina negli occhi di Nancy! — ora dovevano durarle attraverso il variar delle stagioni, dopo che da lungo tempo la lavandaia negra ne aveva tolto ogni più lontano sembiante di tinta o di vitalità.

Nancy portava sempre il suo vestito marrone, aggiustato, voltato, ritinto.

I giorni passarono, meschini e rapidi. E Nancy imparò che si può campare fra gli stenti e lo squallore, che si può andare avanti a vivere nella brutta e sordida povertà — e abituarvisi a poco a poco, fino a quasi dimenticare che una volta non era così.

Le sere, sopratutto, erano terribili. Quando Minna andava a casa sua, e Anne-Marie dormiva, e Aldo era uscito a far due passi con qualche conoscente italiano, oppure, in cravatta bianca e marsina, s’era frettolosamente recato al suo lavoro, Nancy sedeva sola e desolata nel terribile salottino, circondata dalla mobiglia della signora Johnson sua padrona di casa, e dalle fotografie della famiglia e degli amici della signora Johnson. Da caminetto e scaffale, da mensola e scansìa, visi di sconosciuti in veste antiquata la fissavano con occhi sbia[p. 242 modifica]diti. V’erano delle attrici in costumi di paggio; dei bambini colla testa grossa; dei giovinetti senza mento, col colletto basso; il signore e la signora Johnson in abito da sposi; il loro primo bambino (ora commesso in una drogheria), nudo, che si teneva un piede. Appeso al muro, con occhi bianchicci che seguivano Nancy dovunque ella si mettesse, v’era un ingrandimento fotografico d’un ritratto del defunto signor Johnson; e Nancy, sola, di sera, ne aveva paura. Aveva provato qualche volta a coprirlo con una tovaglia, ma era peggio.

Quando, mesi fa, erano arrivati in quella casa, Nancy aveva subito raccolto tutte quelle fotografie e le aveva nascoste in un armadietto buio in corridoio. Ma la signora Johnson arrivando all’improvviso, come soleva fare coi suoi inquilini, s’era guardata intorno con occhi severi.

— Dove sono tutte le fotografie? — aveva chiesto con voce terribile a Nancy. — Quelle non vanno toccate.

E le aveva rimesse tutte a posto, nelle loro cornici rotte e sui loro piedestalli sgangherati.

Vietò anche a Nancy di allontanare o muovere la grande lampada a piedestallo, che non si accendeva, ma che occupava molto posto e rendeva più soffocante il salottino. No, no; era costata trentadue dollari. Non si doveva toccare. Dunque la lampada stette lì, gigantesca e ingombrante, e il suo paralume di seta gialla, su cui erano appuntate con uno spillo di sicurezza delle sudicie rose bianche, era un oltraggio al dolente sguardo di Nancy.

Una sera, coricandosi, Anne-Marie disse a sua madre:

— Mi piace quella ragazza che sta qui vicino.

— Ma non la conosci, tesoro, — disse Nancy.

— Sì, sì, la conosco, — disse Anne-Marie. — Le ho parlato adesso dalla finestra in cucina.

— Come si chiama? — chiese Nancy, slacciando fet[p. 243 modifica]tuccie e bottoni del corpettino di sua figlia e baciandole la nuca tiepidetta e fragrante.

— Non so più. Me l’ha detto: è un nome piccolo e secco. Come una tosse.

Nancy rise, e le ribaciò la nuca così grassetta e bianca e dolce. E proprio in quel momento qualcuno bussò; ed era la ragazza che stava vicino, che veniva a far visita, e portava un orso di cioccolatte per Anne-Marie.

Il suo nome era Peg.

— Sono venuta perchè ho pensato che vi annoiavate, tutta sola; — disse Peg, entrando con Nancy nel salotto, dopo che Anne-Marie era stata ben coperta e baciata e messa a dormire coll’orso (avendo solennemente promesso che non lo avrebbe nè rosicchiato nè leccato!).

Allora Peg raccontò che lavorava da un parrucchiere nella Madison Avenue.

— Faccio specialmente la manicure. Aggiusto le unghie, le rendo rosse e lucide che paiono rubini. Nauseante professione, — soggiunse; — pensate dunque: tutte quelle diverse mani che devo tenere!... mi fanno venire il mal di mare. Specialmente quelle delle donne.

Nancy rise. Peg le offrì di accomodarle le unghie, così, per divertimento; e Nancy, dopo aver esitato un pochino, la lasciò fare.

— Ma, Dio buono! Avete delle mani da signora, — disse Peg.

E la coppa d’amarezza di Nancy fu colma. Cambiò discorso.

— Siete voi che suonate il pianoforte? — domandò alla vicina.

— No. È mio fratello. Lavora in un ufficio di messaggerie. Ma per la musica, è famoso!

A questo punto dalla stanza vicina s’udì la voce di Anne-Marie (che voleva sempre la porta aperta). [p. 244 modifica]

— Cos’è quel pezzo di musica che era bello?

Peg rise, ma non seppe dire a quale pezzo alludesse Anne-Marie.

— Ma sì, ma sì, — diceva Anne-Marie nel buio, — un pezzo diverso dagli altri. Un pezzo molto bello.

E poichè la piccina insisteva, Peg disse che andrebbe a domandarlo a suo fratello.

Tornò pochi minuti dopo, accompagnata da un giovane lungo e timido, che venne presentato a Nancy col nome di George.

Anne-Marie intanto continuava a chiamare dalla sua camera domandando il pezzo che era bello; e finalmente George tornò nel suo appartamento, lasciando le porte aperte, e suonò tutta la musica del suo repertorio.

Ma il «pezzo che era bello» non era fra questa, e Anne-Marie si agitò molto.

Peg, e anche Nancy, dissero:

— L’avrà sognato!

Ma Anne-Marie, alla prima nota di ogni nuovo pezzo che George cominciava con molta espressione e molto pedale, gridava:

— No, no, no! Non è quello! Non è quello! Non suonate più! Non voglio sentire quello!

E finalmente pianse e divenne tanto cattiva, che per castigo le due gambe posteriori dell’orso, che ella non aveva avuto ancora il tempo di mangiare, le furono portate via.

Peg e George rimasero un’ora e furono molto cordiali; e partendo promisero di ritornare un’altra sera.

Anche loro vivevano soli. I loro genitori avevano un rancio di pecore nel Dakota.

— Putrido paese, il Dakota, — disse George. — Tutto erba e vento. Per me, non c’è che New York.

E con una stretta di mano presero commiato. [p. 245 modifica]

Dopo di ciò, quando il morto signor Johnson faceva più del solito paura a Nancy, essa andava nella camera di Anne-Marie e batteva sul muro con una spazzola. E allora arrivava Peg, a passare la serata amichevolmente con lei.

Spesso veniva anche George, e leggeva ad alta voce i supplementi letterari del «New York Herald». Leggeva specialmente tutte le poesie.

— Eh, — disse sua sorella, — George, per la poesia, è famoso!

George sorrise modestamente, e si passò le ben manicurate dita nei radi capelli.

— Mah! — sospirò, — oggi-giorno dei veri poeti non ce n’è più. Sono tutti morti da un pezzo!

E Nancy disse:

— Temo anch’io che sia così.

— Mamma! — chiamò la voce chiara e sveglia di Anne-Marie traverso la porta socchiusa.

— Sì, cara, — disse Nancy. — Buona notte.

— Mamma, — ripetè Anne-Marie. — Vieni qui.

Nancy si levò e andò da lei.

Anne-Marie era ritta a sedere nel letto.

— Cos’ha detto quello lì? — chiese con voce di tortorella inquisitrice.

Nancy non seppe rispondere. Non capiva.

— Ha detto — disse Anne-Marie, terribile, e scandendo le parole — che tutti i poeti erano morti. Tutti quelli veri. E tu m’hai detto che i poeti non morivano mai.

Nancy sedette sul letto e strinse al cuore la piccola testa morbida e arruffata.

— Ti spiegherò domani, — disse. — E tu non devi ascoltare ciò che si dice nella stanza vicina. Non è una cosa leale.

— Cosa vuol dire leale? [p. 246 modifica]

— Onesto, — disse Nancy.

E dopo una lunga spiegazione su ciò che è e ciò che non è onesto, Nancy la baciò e le diede la buona notte.

— Buona notte, — disse Anne-Marie. — E farai meglio di chiudere la porta. Perchè non si può essere onesti, quando si può non esserlo.

E la porta fu chiusa.

L’indomani mattina Anne-Marie domandò subito degli schiarimenti riguardo alla mortalità dei poeti.

— Ecco... — disse Nancy, presa alla sprovvista, avendo dimenticato quell’episodio, — ecco, è così: — e con gli occhi scrutatori di sua figlia fissi su lei, Nancy dovette inventare la sua storia mentre la raccontava, cercando di mettere una nuova immagine nel piccolo libro della mente di Anne-Marie. — Vedi: una volta, il mondo era pieno di rose; ma tutto pieno! I monti ne erano coperti. E allora i poeti vivevano eternamente.

— Sì, — disse Anne-Marie.

— Ma poi, un giorno, certa gente disse al buon Dio: Perchè, buon Dio, avete messo tante cose inutili nel mondo? Le rose, per esempio. A cosa servono? Potremmo benissimo farne a meno, e avere invece più legumi: cavoli, carote....

— Spinacci, — disse Anne-Marie, arricciando il naso.

— Già, spinacci, — disse Nancy.

Vi fu una pausa.

— E allora? — disse Anne-Marie.

— Allora, il buon Dio portò via le rose. Tutte le rose del mondo!... E tutti i poeti morirono.

— Di cosa? — disse Anne-Marie.

— Di silenzio, — disse Nancy.

Vi fu un’altra lunga pausa.

— Sono morti — spiegò Nancy — perchè non avevano più niente da dire. [p. 247 modifica]

Anne-Marie aveva l’aria molto triste. Nancy si affrettò a consolarla.

— Allora Iddio tornò a mettere un po’ di rose nel mondo, per le piccole Anne-Marie che non amano i legumi (ed hanno torto), e allora — essendovi qualche rosa — anche alcuni poeti tornarono al mondo.

— Ma non quelli veri?

— Forse non quelli proprio veri, — disse Nancy.

— Allora a cosa servono? — chiese Anne-Marie.

Nancy non seppe risponderle. Nancy non sapeva a che cosa servissero i poeti non proprio veri. E d’altronde anche quelli veri, a cosa servivano?

Tutto, nella vita, a cosa serve? I pensieri di Nancy tornarono in dolente fila al suo Libro non terminato. A che cosa avrebbe servito scrivere quel libro? Tanto valeva non averlo scritto.

* * * * * *

E questo mio racconto a che cosa serve?....

È una storia che potevo tralasciar di narrare.

Forse così dirà anche Iddio alla fine dell’Eternità, quando dagli sfasciati firmamenti rotoleranno ai Suoi piedi i mondi spenti, rovineranno le costellazioni infrante, e l’universo, come una foglia avvizzita, davanti a Lui turbinerà nel nulla.

«È una storia che potevo tralasciar di narrare.»