I naufraghi dello Spitzberg/7. La Torpa prigioniera

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7. La Torpa prigioniera

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Capitolo VII.

La “Torpa„ prigioniera.


U
dendo quel grido lanciato a pieni polmoni e con un tono che non ammetteva replica, il capitano baleniere aveva cacciato violentemente la barra a poggia, mentre i marinai bracciavano rapidamente le vele ed i gabbieri si slanciavano sulle griselle, lesti come scoiattoli, per imbrogliare le vele di pappafico e di contropappafico.

La Torpa virò di bordo quasi sul posto, tanto era stata fulminea la manovra, e andò a urtare il fianco di tribordo contro un ostacolo che doveva essere senza dubbio un banco di ghiaccio.

Tompson si era subito precipitato a prora, dove si erano già radunati alcuni marinai coll’ice-master.

– Cosa succede, pilota? – chiese.

– Succede, signore, che noi abbiamo davanti un banco immenso, che lo sperone della Torpa non può intaccare.

– È sgombro il mare a babordo ed a tribordo?

– Lo dubito, signore. Dall’alto delle crocette, ho scorto delle punte di ghiaccio estendersi sui nostri fianchi e per un lungo tratto. [p. 54 modifica]

– Credete che non si possa tentare il passaggio?

– Con questo nebbione io non l’oserei. Potreste andare a cozzare contro qualche ice-berg male equilibrato e far schiacciare la Torpa.

– Ma rimanendo qui, corriamo il pericolo di farci imprigionare dai ghiacci.

– È vero, capitano.

– Tentiamo il ritorno. Chissà!... Forse la via è ancora libera.

Pochi momenti dopo la Torpa riprendeva la corsa, ma verso il sud. Il baleniere aveva però fatte serrare le vele alte e prendere terzaruoli sulla randa, sulla gabbia e sulla vela di trinchetto, volendo avanzarsi con velocità limitata per non urtare con troppa violenza.

Oscar, che era stato svegliato da quei due urti, aveva raggiunto il baleniere, il quale aveva ripresa la ribolla, volendo assumersi tutta la responsabilità di quell’audace manovra che poteva costare la vita all’intero equipaggio.

La Torpa ritornava sul proprio cammino con estrema prudenza, percorrendo appena due nodi all’ora. I marinai tenevano i bracci delle manovre per essere pronti a virare di bordo ed altri si erano disposti sul castello di prora, armati di buttafuori, mentre l’ice-master si era spinto fino all’estremità del bompresso per meglio distinguere i ghiacci che potevano, da un istante all’altro, arrestare la ritirata.

Il mare era sgombro sulla via percorsa dalla nave, ma attraverso alla nebbia si scorgevano sempre, a babordo ed a tribordo, degli sprazzi d’ice-blink, i quali indicavano la vicinanza dei ghiacci di enormi dimensioni.

Tompson era diventato nervoso ed irrequieto. Batteva con impazienza i piedi, si tormentava la barba, si alzava il cappuccio e aggrottava la fronte. Se quell’uomo non [p. 55 modifica] era più tranquillo, ciò significava che la Torpa stava per affrontare qualche gravissimo pericolo. Erano trascorsi otto o dieci minuti, quando sul bompresso echeggiò improvvisamente la voce del pilota dei ghiacci.

– Vira!... Ghiacci dinanzi a noi!... ice-bergs e campi!...

Questa volta Tompson lanciò un’imprecazione.

La Torpa virò di bordo con rapidità fantastica, mettendosi attraverso il vento e rimanendo quasi immobile.

– Arrestati? – chiese Oscar.

– E forse peggio, professore, rispose Tompson con voce sorda.

– Cosa volete dire?

– Che forse siamo rimasti prigionieri.

– Lavoreremo di sperone.

– Temo, professore, che ci troviamo in un canale od in un bacino aperto fra i banchi. Guardate: intorno a noi comincia a scintillare l’ice-blink.

– Cosa farete?

– Attenderò che si alzi la nebbia.

– Ma se siamo entrati in un canale, troveremo l’uscita che ci ha permesso d’inoltrarci.

– E se quell’uscita fosse stata chiusa dagli ice-bergs, dopo la nostra entrata?... Ho tenuto una linea rigorosamente diretta nel ritorno, la rotta precisa poco prima percorsa e voi vedete che ci troviamo dinanzi a dei ghiacci che prima non esistevano. Sì, professore, temo che la Torpa sia stata rinchiusa in mezzo ad un wacke che può avere delle gigantesche dimensioni.

– Cos’è un wacke?

– Un campo di ghiaccio contenente nel mezzo un bacino d’acqua marina. Tra poco però sapremo se siamo ancora liberi o prigionieri, poichè la nebbia comincia ad alzarsi. [p. 56 modifica]

Il baleniere non s’ingannava. Come il giorno innanzi, all’avvicinarsi del mattino il nebbione cominciava a dileguarsi. S’alzava a ondate, ma a poco a poco, quasi di mala voglia, lasciando il posto alla neve che cadeva in maggior copia.

Fra un quarto d’ora o mezz’ora, si poteva sperare di conoscere la situazione della nave.

Tompson si era portato a prora, e di là guardava attentamente i ghiacci che cominciavano ad apparire a breve distanza. Un vigoroso colpo di vento spazzò finalmente la nebbia, spingendola verso il sud-ovest.

Con un solo sguardo, il baleniere aveva subito compresa la gravità della situazione. La Torpa, come aveva sospettato, era stata rinchiusa nel mezzo d’un wacke, che aveva una estensione di quattro o cinque miglia.

Era entrata nel bacino d’acqua che si allungava in forma d’un canale, abbastanza largo per permettere ad una nave di correre delle bordate di due o trecento metri, credendo di navigare liberamente, finchè era andata a urtare contro l’estremità. Durante quella breve navigazione, il grande banco aveva incontrato degli ice-bergs di dimensioni enormi e questi, spinti dal vento, si erano cacciati nel canale chiudendo l’uscita.

Quei colossi non dovevano ormai più staccarsi, poichè altri ghiacci si erano accumulati dietro di loro ed avevano formato una massa sola, saldandosi al banco.

– Lo vedete? chiese Tompson, al professore. Non mi ero ingannato.

– Lo vedo – rispose Oscar, con voce sorda. – Siamo prigionieri.

– Lo avevo sospettato. Fortunatamente spero che l’Eis-fiord non sia lontano. Fra poco la nebbia si alzerà anche sulla costa e sapremo dove ci troviamo. [p. 57 modifica]

– E credete che non riusciremo più a liberarci da questi ghiacci?

– Chi lo sa!... Bisognerebbe che questo wacke incontrasse qualche vasto campo di ghiaccio e che nell’urto s’infrangesse.

– E colle mine, non si potrebbero far saltare quegli ice-bergs che c’impediscono di lasciare questo bacino?

– Ci vorrebbero delle tonnellate di dinamite e noi ne possediamo pochi chilogrammi.

– Che sia immobile questo wacke?

– No, va alla deriva verso il sud, ne sono certo.

– Allora ci trascinerà verso la Norvegia.

– Non ditelo così presto, professore. Può unirsi alla costa della Spitzberg e tenerci prigionieri fino all’estate ventura.

– Costringendoci a svernare?

– Sì, signor Oscar, ma noi siamo pronti a passare fra i ghiacci il lungo inverno polare. Ero certo di non poter ritornare quest’anno e... Ah!... La nebbia se ne va e comincio a scorgere le coste della Spitzberg.

– Ci sono vicine, signor Tompson.

– Non sono che a tre miglia. Ehi, timoniere, dammi il tuo cannocchiale; vedo una profonda apertura nella costa e spero molto.

Lo afferrò vivamente e lo puntò verso la costa. Un grido di gioia gli irruppe dalle labbra.

Proprio di fronte al grande banco di ghiaccio, s’apriva una specie di golfo assai profondo e molto largo, circondato da alte montagne e fiancheggiato, verso il sud, da un ghiacciaio.

Su di un isolotto formato di rocce sovrapposte, che aveva una circonferenza di tre o quattrocento metri, il baleniere aveva scorto un’antenna, sulla quale [p. 58 modifica] ondeggiava una bandiera norvegiana che il vento polare sbatteva vivamente.

– L’Eis-fiord!... – gridò Tompson. – Marinai, i vostri camerati sono là!... Andiamo a salvarli!...

Un urlo immenso irruppe dai petti dei norvegiani:

– Viva il nostro capitano!... Alla costa!... Alla costa!...

Il baleniere aveva già prima osservato che il campo di ghiaccio si estendeva fino a trecento passi dai banchi che chiudevano l’entrata dell’Eis-fiord. Con pochi colpi di remo, si poteva attraversare quel braccio di mare e raggiungere l’isolotto e anche la spiaggia della grande isola.

Due imbarcazioni furono subito calate in acqua mettendovi dentro due slitte, viveri d’ogni specie, armi, vesti, coperte e andarono a sbarcare tutti quegli oggetti sul margine interno del wacke.

Le slitte furono tosto caricate e due squadre di marinai, attaccatisi alle corde, le trascinarono fino al canale.

Un’altra squadra aveva intanto issate le due scialuppe sul banco e le spingeva verso la spiaggia estrema, per poter trasbordare gli uomini scelti per la spedizione e tutto il carico.

Tompson, il professore e quindici marinai più robusti, dovevano attraversare il canale; gli altri dovevano rimanere a guardia della Torpa, sotto il comando dell’ice-master.

Il trasbordo sui banchi di ghiaccio dell’isola si effettuò rapidamente e senza incidenti, quantunque il mare fosse agitato e la neve continuasse a cadere così fitta, da non poter quasi più distinguere la costa.

Il sole, che aveva fatto una breve comparsa, erasi [p. 59 modifica] nuovamente nascosto e la nebbia, appena alzatasi, era tornata a scendere più fitta che mai.

Il baleniere però non era uomo d’arrestarsi. Temendo che le correnti trascinassero il wacke verso il sud e sapendo che i naufraghi delle due navi erano ormai da parecchi giorni alle prese colla fame, voleva raggiungere l’isolotto su cui sventolava la bandiera. Era certo di trovare ai piedi dell’antenna, qualche altra preziosa indicazione.

Scandagliò dapprima il ghiaccio dei banchi per essere certo che poteva reggere il peso delle due slitte e degli uomini, fece accendere delle lampade per non smarrirsi nel nebbione che continuava ad addensarsi e per non cadere in qualche crepaccio e diede il segnale di partire.

I quindici uomini, attaccatisi alle slitte, si misero in cammino attraverso la neve che cadeva vorticosamente, accumulandosi sui banchi e sulla costa.

L’isolotto, su cui ondeggiava la bandiera, non si scorgeva più, ma Tompson e Oscar avevano ormai rilevata la sua esatta posizione e tenendo le bussole in mano, erano certi di non smarrirsi.

D’altronde la distanza da percorrere era breve assai; non doveva superare il miglio.

Scandagliando attentamente i ghiacci per non cadere nei crepacci, aprendosi il passo attraverso i cumuli di neve e spingendo e trascinando le due slitte, in capo a mezz’ora i due drappelli giungevano presso le prime rocce dell’isolotto, le quali si estendevano verso la punta meridionale dell’Eis-fiord.

– Fermatevi qui, sotto quella rupe – disse Tompson ai marinai. – È inutile spingere le slitte attraverso questi pendii. [p. 60 modifica]

– Credete che non vi sia alcuno su quest’isolotto? chiese Oscar.

– Non lo credo, professore. Questo lembo di terra non può offrire alcuna risorsa a naufraghi affamati.

– Ma può servire d’osservatorio, signor Tompson.

– È vero, quantunque nessuna nave passi in vista di queste coste, dopo il mese d’agosto. Venite professore: spero di trovare dei documenti al piede dell’antenna.

Si gettarono i fucili a tracolla e impugnati dei bastoni ferrati che avevano portati con loro per servirsene nelle ascensioni, si misero ad arrampicarsi su per le rocce, facendo intrepidamente fronte ai turbini di neve.

Si erano già innalzati parecchi metri, quando il baleniere afferrò bruscamente il professore per un braccio.

– Cosa volete, signor Tompson? chiese Oscar, sorpreso per quell’atto.

– Avete udito? chiese il capitano.

– No.

– Quest’isolotto è abitato, professore. Ascoltate!... Ascoltate!...