I naviganti della Meloria/19. Momenti terribili

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19. Momenti terribili

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18. Terribile momento 20. La frana
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XIX.

Momenti terribili.


Roberto non era ancora tornato che già il dottore aveva aperti gli occhi. Vedendo sopra di sè Michele e padron Vincenzo sorrise ad entrambi, poi facendo uno sforzo tese loro le mani, mormorando con voce ancora semispenta:

— Grazie... bravi... amici...

— Ah! Dottore! — gridò il lupo di mare che piangeva e rideva ad un tempo. — Temevo di non ritrovarvi più! Gran Dio! Quante angosce ho provato in questo quarto d’ora. Come state? [p. 157 modifica]

Il signor Bandi aprì le labbra, mormorando:

— Mi sento debole... amico.

Poi non scorgendo il giovane pescatore, riprese:

— E Roberto?

— Sta per venire.

— Salvi tutti?

— Tutti, dottore.

Il giovane pescatore era allora giunto. Padron Vincenzo ruppe il collo alla bottiglia e fece bere al dottore alcuni sorsi di rum, poi inzuppati alcuni stracci di lana gli strofinò il corpo.

— Grazie, Vincenzo — disse il signor Bandi. — Fate una fatica inutile, comincio a sentirmi bene.

— Voi siete ancora assai debole.

— Bah! Passerà presto tutto.

— Dovete aver urtato contro le rocce del bacino.

— È vero, Vincenzo. Ho creduto proprio d’andarmene all’altro mondo senza vedervi.

— Ci racconterete come è andata la cosa.

— Non lo so nemmeno io, amici. Mi sono sentito scaraventare contro delle rocce che dovevano trovarsi sotto la cascata, poi travolgere dalle onde, poi più nulla.

— Eppure vi abbiamo trovato sulla spiaggia — disse Michele.

— Forse vi sono stato spinto dal flusso o vi sono giunto nuotando macchinalmente.

— Avete corso un brutto pericolo, dottore — disse padron Vincenzo. — Se le forze vi tradivano prima o l’onda non vi spingeva verso la riva, a quest’ora sareste nel canale e certamente non più vivo.

— È vero, Vincenzo. Avete trovato le nostre casse?

— Sì, vi sono tutte — rispose Roberto.

— Anche la zattera dello slavo?

— È ancora arenata sulla sponda.

— Una vera fortuna per noi. Temevo che l’alta marea, durante la nostra assenza, avesse portato via ogni cosa.

— Anch’io avevo questo dubbio, dottore — rispose padron Vincenzo. — Volete venire all’accampamento? Io credo che una buona colazione vi rimetterà in gambe meglio di qualsiasi cerotto.

— L’appetito non mi manca, Vincenzo — disse il signor Bandi, sorridendo. — Faremo colazione, poi ci riposeremo alcune ore. Abbiamo tutti bisogno d’un bel sonno.

Si alzò aiutato dai compagni ed appoggiatosi al robusto braccio del lupo di mare, si diresse verso il piccolo seno che serviva di rifugio alla zattera dello slavo.

Giunto colà si sedette su una delle casse, mentre i pescatori allestivano rapidamente la colazione servendosi di due lampade ad alcool.

Quel pasto fu divorato in pochi minuti, innaffiandolo coll’ultima bottiglia di Valpolicella. [p. 158 modifica]

— Possiamo sacrificarla senza troppo dolercene — disse il dottore. — Ritengo d’altronde che questo pasto sia uno degli ultimi.

— E perchè dottore? — chiese padron Vincenzo.

— Perchè non dobbiamo essere molto lontani dalla Spezia. Calcolavo poco fa, approssimativamente le miglia percorse e se non mi sono ingannato di molto, non dobbiamo distare più di dieci o quindici miglia.

— Ammettiamone anche trenta — disse padron Vincenzo. — Cosa sono per noi? Domani forse vedremo il mare. Vorrei però sapere dove sboccheremo.

— Nel golfo della Spezia.

— Proprio nel golfo? — chiese il lupo di mare, con stupore.

— Presso la punta Maralunga, così almeno segnava il documento del capitano Gottardi.

— A poca distanza da Lerici allora?

— Così sembra.

— Vi è una cosa che mi sorprende.

— E quale, Vincenzo.

— Come nessuno si è mai accorto dello sbocco del canale in quei pressi?

— Io dubito che il tunnel sbocchi apertamente. Se così non fosse i pescatori del golfo l’avrebbero già scoperto.

— Sono curioso di giungere all’estremità del canale.

— Ed io non meno di te, Vincenzo. Orsù una buona dormita poi cercheremo di fabbricarci una zattera un po’ più vasta.

Si stesero l’uno accanto all’altro, in mezzo alle casse ed ai barili disposti in cerchio e dopo essersi augurata la buona notte s’addormentarono quasi subito.

Nessun avvenimento venne a turbare il loro sonno il quale si protrasse a lungo.

Svegliatisi dopo una diecina d’ore, si misero alacremente all’opera per ingrandire la zattera dello slavo.

Possedevano sette casse e cinque barili, potevano quindi costruirsi un galleggiante capace di sorreggerli e di permettere loro di traversare l’ultimo tratto di canale.

Avendo portato con loro dei chiodi e delle corde, spezzarono le casse ed ingrandirono la piattaforma della zattera, mettendovi all’intorno i barili onde maggiormente sorreggerla.

Le vesti, i viveri, le torce furono ammucchiate nel centro della piattaforma e l’acqua dolce rinchiusa in cinque bottiglie, provvista sufficiente per un paio di giorni, cioè più del necessario.

Poche ore dopo, i quattro esploratori abbandonavano la miniera, tornando nel canale.

La zattera era bastante per sorreggerli, però la più piccola ondata non avrebbe avuto alcuna difficoltà a spazzare la piattaforma, tanto questa si trovava immersa. Fortunatamente fino allo sbocco del tunnel non vi erano da temere colpi di mare.

Avendo trovato la marea che scendeva, il galleggiante si mise a [p. 159 modifica]filare verso l’uscita del tunnel con una velocità però molto scarsa, forse di due miglia all’ora.

— Possiamo accontentarci — disse il signor Bandi. — Già non dobbiamo essere molto lontani dallo sbocco.

Per tre ore continuarono a scendere, poi si trovarono immobilizzati. La marea stava per cambiare, era quindi necessario ricorrere ai remi.

Quel cambiamento del flusso, provocò un’ondata piuttosto alta, la quale fece rollare vivamente l’apparecchio, minacciando di scagliarlo contro l’una o l’altra delle parti, però quel pericolo fu evitato a tempo. La discesa fu ripresa coi remi.

La galleria si mostrava anche in quell’ultima sua parte, sempre eguale. Le sue pareti anzi erano meglio lavorate, più lisce e di quando in quando, a destra od a sinistra, gli esploratori trovavano delle profonde escavazioni destinate senza dubbio a servire di ricovero alle navi che potevano incontrarsi.

Navigavano da un paio d’ore, avanzando molto lentamente in causa della corrente contraria, quando padron Vincenzo, che si trovava a prora, mandò una esclamazione di stupore.

— Cosa avete Vincenzo? — chiese il dottore.

— Una nave — esclamò il lupo di mare.

— Una nave? Sognate, Vincenzo?

— No, per centomila merluzzi!

— Ma dov’è?

— Guardate, là, entro quell’escavazione.

Il dottore si volse vivamente e alla luce delle due torce che erano state piantate nel centro della zattera, scorse entro una specie di caverna una massa enorme galleggiante sulle acque del canale.

— Sembra un pontone — disse. — Accostiamolo, amici.

Con pochi colpi di remo spinsero la zattera entro quell’ampia caverna e fecero il giro del galleggiante. Si trattava d’una vecchia galera, priva dell’alberatura, colla prora e colla poppa altissime e ancora ben conservata quantunque dovesse contare parecchi secoli d’esistenza.

Avendo trovato sul tribordo una scaletta di corda, il dottore e padron Vincenzo vi si issarono, mettendo piede sulla tolda.

Quell’antico vascello, probabilmente condotto colà dal capitano Gottardi, misurava circa quaranta metri da prora a poppa e nove da babordo a tribordo.

Era di forma massiccia costruita in quercia e vi si vedevano ancora i buchi che dovevano aver servito per gli alberi.

Dispersi pel ponte si vedevano picconi, mazze, zappe, badili, botti, secchi vuoti, recipienti di ferro che dovevano aver contenuto della polvere da mine, poi delle armi arrugginite, scudi, spadoni ed alcune vecchie armature d’acciaio.

Nella sentina v’eran pure molti attrezzi da minatori e una grande quantità di legname e di materiali da costruzione.

Nella sentina invece vi era molta acqua. Il legname della nave, corroso dal tempo, doveva aver ceduto e l’acqua era filtrata.

— Mi stupisce come questa nave non sia affondata — disse il dottore. [p. 160 modifica]

— La spiegazione è facile, signor Bandi — rispose padron Vincenzo.

— Vuoi dire?

— Che questa vecchia galera è arenata.

— Lo credi?

— Per Bacco! È immobile.

— Questo legno deve aver servito di magazzino agli uomini del capitano Gottardi.

— Certamente dottore.

— E questo incontro mi fa supporre una cosa.

— Quale dottore?

— Che l’uscita del canale non sia lontana.

— Vi è però una cosa che mi stupisce, signor Bandi.

— E quale, Vincenzo? — chiese il dottore.

— Se questa vecchia galera è stata spinta fino qui, l’uscita della galleria deve essere ampia.

— Certamente.

— E come può essere sfuggita ai pescatori ed ai naviganti del golfo della Spezia e per tanti secoli?

— Anch’io mi sono fatto questa domanda, Vincenzo. Si può supporre però una cosa.

— Che la galleria sia franata verso l’imboccatura?

— O che sia stata rovinata appositamente per impedire di venire scoperta prima di essere ultimata — disse il dottore. — D’altronde spero che fra poco noi lo sapremo.

— Dottore, possiamo utilizzare un po’ di questo legname, per ingrandire la nostra zattera.

Chiamarono Michele e Roberto e unendo le loro forze gettarono in acqua alcune travi e parecchi barili vuoti, unendo le une e gli altri alla zattera.

Ingrandito il loro galleggiante, abbandonarono la vecchia galera e ripresero il viaggio inoltrandosi lentamente sotto le infinite e tenebrose vôlte della galleria.

La certezza di essere ormai quasi prossimi alla fine del loro viaggio, aumentava di minuto in minuto.

Osservando le acque trovavano di frequente degli ammassi di alghe strappate dalle rive del golfo e portate colà dall’alta marea e anche dei pezzi di legname, dei sugheri adoperati dai pescatori e perfino delle scatole di latta le quali urtandosi producevano dei rumori strani.

Sì, lo sbocco del canale non doveva essere lontano, almeno tale era la convinzione degli audaci esploratori.

Un quarto d’ora era così trascorso, quando gli orecchi di padron Vincenzo furono improvvisamente colpiti da un cupo rombo che pareva venisse non dinanzi a loro, bensì dall’opposta estremità del canale.

— Cos’è questo? — si chiese egli con ansietà. — Si direbbe che nel sottosuolo è avvenuto qualche sprofondamento o qualche formidabile scoppio.

— Una scossa di terremoto? — disse il dottore. [p. 163 modifica]

— Che sia scoppiato il vulcano?

— Chi può dirlo?

— Toh! Un altro rombo!

— L’ho udito anch’io, Vincenzo.

— Questa cosa m’inquieta, dottore.

— Anch’io non sono tranquillo.

— Che debba succedere una catastrofe ora che siamo così prossimi all’uscita del canale.

— Confidiamo in Dio, Vincenzo.

In quel momento un rombo più forte, più intenso degli altri due, si fece udire negli strati sotterranei accompagnato da un lontano scoppio.

Alcuni pezzi di roccia staccatisi dalle vôlte del canale, piombarono in acqua sollevando delle piccole onde.

I quattro esploratori si guardarono l’un l’altro con ispavento.

— Corriamo il rischio di farci schiacciare — disse padron Vincenzo.

— Volete un consiglio, amici — disse il dottore.

— Parlate signor Bandi — dissero i tre pescatori.

— Torniamo indietro e senza perdere tempo.

— E dove andremo?

— A cercare un rifugio nel vascello. Temo che succeda qualche tremenda scossa.

— Saremo sicuri lassù? — chiese Roberto.

— Stupido! Forse che non v’è la stiva? Almeno il ponte ci difenderà dai macigni che possono cadere — disse Vincenzo.

— Andiamo, amici — disse il dottore. — Non perdiamo tempo.

I quattro esploratori diedero mano ai remi e tornarono precipitosamente, arrancando con furore.

I boati intanto continuavano, correndo da levante a ponente e dalla vôlta si staccavano sempre dei pezzi di roccia e frammenti di rivestimento.

Qualche pezzo, fortunatamente piccolo, era già caduto sulla zattera.

Cominciavano già a distinguere l’enorme massa della galea, quando un rombo più formidabile degli altri, scosse terribilmente le pareti del canale, facendole franare in alcuni luoghi. Un’onda spumeggiante, prodotta dall’inabissarsi di quei rottami, investì la zattera spazzandola da poppa a prora e spingendo in acqua Michele e Roberto.

— Per centomila merluzzi! — gridò Vincenzo, afferrando il dottore che stava per seguire i suoi compagni. — Stiamo per annegare tutti?

Afferrò il remo e lo spinse in acqua, gridando ai suoi compagni:

— Aggrappatevi!

— È inutile — risposero i due pescatori che si erano messi a nuotare verso il vascello.

Michele aveva trovato una fune che pendeva dal castello di prora e vi s’era aggrappato, gridando al compagno:

— Qui, Roberto, presto, saliamo.

Poi radunando le sue forze s’era messo ad arrampicarsi con [p. 164 modifica]un’agilità sorprendente. Bastarono tre secondi per trovarsi a cavalcioni sulla murata.

Intanto la zattera, vivamente sballottata dalle contro-ondate, era pure stata spinta verso la vecchia galea.

— Ohe! Michele! Una fune! — aveva gridato padron Vincenzo, il quale si era impadronito delle bottiglie d’acqua dolce e di alcuni viveri.

— Eccomi, padrone! — rispose il pescatore.

Sul ponte della nave le funi non mancavano. Con pochi colpi di coltello ne staccò una e la gettò destramente a Vincenzo il quale la prese al volo.

— Salite, dottore — disse il pescatore.

— Datemi una lampada! — rispose il signor Bandi.

Padron Vincenzo stava per obbedire quando una seconda ondata, più mostruosa della prima, si rovesciò sulla zattera.

Egli ebbe appena il tempo di aggrapparsi al dottore che s’era già stretto alla fune. Il galleggiante gli mancò sotto i piedi scomparendo sotto le tenebrose vôlte della galleria.

— Mille merluzzi! — urlò. — Siamo perduti!

— Padrone! Dottore! — gridarono Michele e Roberto con angoscia. — Dove siete?

— Siamo appesi alla fune! — rispose il signor Bandi. — Tenete fermo.

— E la zattera?

— Scomparsa — rispose padron Vincenzo.

— Non importa — disse il signor Bandi. — Penseremo più tardi a ritrovarla.

— Siamo senza lampada, dottore.

— La legna non manca più. Presto, Vincenzo, salite.

— A voi prima.

Il dottore si appoggiò alla fune e quantunque l’acqua lo avesse reso pesantissimo e non fosse più abituato a quella manovra, riuscì a giungere sul ponte della galera.

Padron Vincenzo lo aveva quasi subito raggiunto.

— Nella stiva! — gridò il dottore.

— Aspettate, dottore — disse padron Vincenzo. — Udite?

Dei muggiti spaventevoli salivano dal canale. Pareva che un’onda immensa s’avanzasse, tutto spazzando sul suo passaggio.

— Cos’è questo? — chiesero Roberto e Michele, impallidendo.

— È un’onda che monta — rispose padron Vincenzo. — Io non m’inganno.

— Che sia crollata la vôlta della galleria? — chiese Michele.

— Attenti! — gridò Vincenzo.

I muggiti s’avvicinavano con spaventevole velocità. I tre pescatori e perfino il dottore, spaventati da quel pericolo del quale non potevano conoscerne la portata, si erano istintivamente stretti attorno ad un argano, aggrappandovisi colla forza della disperazione.

— Padrone! Dottore! Ho paura! — disse Roberto. [p. 165 modifica]

— Non abbandonatevi — rispose il signor Bandi. — Coraggio!

Un momento dopo un turbine d’acqua si rovesciava, con mille muggiti, addosso al vecchio legno.

Lo scafo, violentemente sollevato da quel banco su cui riposava da tanti secoli, oscillò spaventosamente inalberandosi come un cavallo sotto lo sprone del cavaliere, poi ricadde sull’onda con un cupo fracasso.

Per alcuni istanti la galera, trascinata a casaccio, rollò e beccheggiò, poi andò a urtare violentemente contro una delle due pareti, fracassandosi una delle murate.

— Galleggiamo! — gridò Michele.

— E forse stiamo anche per affondare — disse padron Vincenzo. — Dottore, del fuoco o noi siamo perduti!

— Cercate delle corde incatramate — rispose il signor Bandi.

I tre pescatori non ostante le continue oscillazioni del vecchio vascello e gli urti incessanti, si sparsero pel ponte e cercando a casaccio riuscirono a raccogliere delle funi.

Il dottor Bandi accese un zolfanello e vi diede fuoco.

Essendo imbevute di catrame, una fiamma abbastanza viva s’alzò, illuminando la galleria e la tolda del legno.

A quella luce s’accorsero che la galera era andata a urtare contro la parete sinistra. Una parte della sua murata e anche alcuni corbetti superiori, dall’impeto avevano ceduto, però pel momento non vi era alcun pericolo di affondare.

— Possiamo sperare di aver salvata la pelle — disse padron Vincenzo. — Cosa sarà accaduto, dottore?

— Una poderosa scossa di terremoto — rispose il signor Bandi.

— E quell’onda mostruosa che sia stata prodotta dalla scossa?

— Temo qualche cosa di peggio.

— Volete dire?

— Che la galleria deve essere franata.

— Da che cosa lo arguite?...

— Una scossa, per quanto forte, non sarebbe stata bastante per rovesciare attraverso il canale quella massa d’acqua.

— Voi dunque dite?...

— Che è stata prodotta dall’inabissarsi d’una massa enorme di materiali.

— Mille merluzzi!... D’onde veniva?...

— Dallo sbocco della galleria.

— Che siamo rimasti prigionieri?

— Io non lo so, tuttavia sono molto inquieto, Vincenzo.

— Bisognerebbe esplorare la galleria.

— È quello che faremo appena l’acqua si sarà calmata.

— Non abbiamo più la zattera, dottore — osservò Michele.

— Poco importa. Il legname non scarseggia qui... Questo vascello è a nostra disposizione e ci darà tanto materiale da costruire cinquanta zattere. [p. 166 modifica]

— Aspettiamo per vedere se le scosse si rinnoveranno poi ce ne andremo.

— Mi pare che l’acqua si tranquillizzi — disse padron Vincenzo. — Fra una mezz’ora tutto sarà finito.

— Può avvenire un’altra scossa, Vincenzo.

— Non odo più alcun boato.

— Non fidiamoci. Intanto visiteremo meglio la stiva della galera.

— Cosa sperate di trovare?...

— Qualche lampada o qualche torcia. È impossibile che non ve ne siano.

— Andiamo, dottore. Vi sono qui delle funi incatramate che ci serviranno pel momento.

— Che Michele e Roberto rimangano qui a vegliare e ad alimentare il fuoco. Badate però che non scoppi qualche incendio.

— Contate su di noi, dottore — risposero i due pescatori.

Il signor Bandi ed il pescatore scesero nella stiva cominciando le loro ricerche.

La cosa non era però facile essendovi molti materiali che bisognava smuovere e moltissime botti parte semivuote ed altre piene di cemento e di calce.

Il dottore e padron Vincenzo, prima di accingersi a quella difficile e faticosissima impresa, passarono nel quadro di poppa, pensando che là forse avevano maggiori probabilità di trovare qualche lampada o qualche cosa di simile.

Le cabine erano tutte sottosopra e del pari ingombre di materiali, di vanghe, di zappe, di casse sfondate e di botti sventrate.

Guardarono in alto, sperando di veder pendere qualche lampada, inutilmente però. Una parte del soffitto era caduto e forse i lumi s’erano spezzati od erano stati portati via dai lavoranti della galleria.

— Per centomila merluzzi!... — esclamò padron Vincenzo. — È una cosa incredibile!... Che facessero a meno dell’illuminazione quegli uomini? Bah!... Rimedieremo egualmente, dottore.

— In quale modo?

— Non sentite questa puzza di catrame?

— Sì.

— Vi deve essere qualche barile, dietro a quei sacchi.

— E cosa vorresti farne?

— Per Bacco!... Si mette dentro una fune e si accende. Invece d’una lampada avremo un piccolo sole.

Rimosse i sacchi e allungò lestamente le mani levando trionfalmente due secchie di metallo ripiene di catrame.

— Ecco due lampade superbe — disse. — Abbiamo quindici o sedici chilogrammi di materia ardente che ci procurerà una bella luce.

— Vi sono altre secchie, Vincenzo?

— No, dottore. Ritengo che queste ci basteranno per giungere fino al golfo di Spezia.

— Sì, se non troviamo degli ostacoli.

— Quali, signor Bandi. [p. 167 modifica]

— Lo sapremo più tardi.

— Voi avete una qualche grave preoccupazione.

— È vero, Vincenzo.

— Dite su; volete tenermi sulle spine?

— Abbiate un po’ di pazienza. Saliamo, Vincenzo.

Lasciarono il quadro portando con loro le due preziose secchie e raggiunsero i compagni. Erano appena saliti in coperta, quando Michele mosse loro incontro, dicendo con una certa emozione:

— Signor Bandi, ho osservato una cosa molto strana.

— Quale?

— Che la nave si è molto alzata verso la vôlta.

— Che si sia alleggerita da sè? — disse padron Vincenzo. — Noi non abbiamo gettato alcun carico nel canale.

— Eppure guardate, padrone — disse Roberto. — La nave quasi tocca la vôlta, mentre prima la punta del castello distava almeno un paio di metri.

— Vediamo — disse il dottore.

Prese la corda incatramata e si curvò sulla murata, guardando l’acqua ed il tribordo sulla galera.

— Quello che temevo è avvenuto — disse poi, con emozione.

— Volete dire? — chiese padron Vincenzo che lo guardava fisso.

— Che non è la nave che si è alzata per alleggerimento del suo carico.

— Lo credo.

— Si è però innalzata l’acqua.

— Mille pescicani!... Voi dite?...

— Che fra poco le murate della nave toccheranno la vôlta.

— Come spiegate questo aumento d’acqua?...

— In un modo solo.

— Ossia?...

— Una qualche frana, prodotta dall’ultima scossa di terremoto, deve essere caduta, otturando il canale.

— Dottore!... Volete spaventarci?... — chiese padron Vincenzo che era diventato pallidissimo.

— Vorrei invece incoraggiarvi.

— Allora noi siamo prigionieri!...

— Lo temo, miei poveri compagni.

— La frana deve essere avvenuta verso lo sbocco del canale.

— Sì, Vincenzo. L’onda che s’è precipitata su di noi, veniva da ponente.

— Cosa accadrà ora di noi? E stavamo per trionfare!

— Non disperiamo ancora, Vincenzo — disse il dottore. — Una frana, forse enorme, deve essere caduta, però qualche passaggio può esistere. E poi non credo che l’acqua monti tanto da affogarci. Uno sbocco, sia pure piccolo, deve esistere anche dalla parte dell’Adriatico, ve lo ricordate?

— Sì, dottore. [p. 168 modifica]

— La marea forse ora monta e l’equilibrio non può stabilirsi tutto d’un tratto, ma fra qualche ora queste acque cominceranno a scemare.

— E se la frana avesse otturato tutto il canale?...

— Vi sono qui vanghe e zappe in abbondanza e colla pazienza riusciremo ad aprirci un passaggio.

— Colla pazienza!... E non avete pensato ad un altro pericolo che ci minaccia da vicino.

— A quale, Vincenzo?...

— Alla sete. Noi non abbiamo che cinque bottiglie d’acqua.

— E pochissimi viveri — aggiunse Michele. — Ne avremo per tre o quattro giorni solo e mettendoci a razione.

— Non disperiamo prima del tempo, amici. Noi non abbiamo ancora visitata la frana, quindi aspettiamo prima di desolarci. Animo, costruiamo una nuova zattera e andiamo a vedere se possiamo trovare qualche passaggio.

I tre pescatori, rianimati dalle parole del dottore, si misero subito all’opera.

Avendo trovata una scure fra i diversi attrezzi che ingombravano la stiva, demolirono le murate della galleria ed una parte del cassero per procurarsi il legname necessario alla costruzione.

Ciò fatto vuotarono alcune botti per rendere la zattera più galleggiante e le gettarono in acqua dopo d’averle legate le une alle altre.

Padron Vincenzo, immersa una fune in uno dei due secchi ripieni di catrame, vi diede fuoco, illuminando il canale, onde permettere a Michele ed a Roberto, che erano saltati in acqua, di lavorare più rapidamente.

Bastarono due ore per allestire il galleggiante.

Durante quel tempo, l’acqua del canale era sempre aumentata innalzando la galera al punto che le sue più alte estremità toccavano ormai la vôlta.

— Andiamo — disse il dottore, quando tutto fu pronto. — Sono impaziente di giungere alla frana.

Portarono con loro le bottiglie d’acqua, i pochi viveri ed i due secchi di catrame e s’imbarcarono.

— Addio, vecchia galea — disse padron Vincenzo. — Tu non uscirai più dalla tua prigione.

— Finirà collo sfasciarsi — disse il signor Bandi. — Le maree la getteranno contro le pareti del canale e la fracasseranno.

— Sarà un grave ingombro pei navigatori del canale.

— Bah!... Una cartuccia di dinamite sarà sufficiente a farla saltare.

Diedero mano ai remi e spinsero innanzi il galleggiante.

Le scosse di terremoto avevano danneggiato, e non lievemente, le vôlte della galleria e anche le pareti.

Dei larghi crepacci, si scorgevano dovunque e si vedevano anche delle grosse rocce in pericolo di capitombolare.

— Guardate in alto — disse il dottore. — Da un momento all’altro può avvenire qualche altra scossa e rovesciarci sulla testa dei proiettili tali da sfondarci la zucca. [p. 169 modifica]

— Non ci mancherebbe che questa per compiere l’opera — rispose padron Vincenzo. — Se avessi saputo prima che la galleria era stata ridotta in così pessimo stato, avrei prese delle precauzioni.

— Che cosa avreste fatto, Vincenzo?

— Avrei costruito un secondo ponte per difendere le nostre teste.

In quel momento a prora avvenne un urto così violento da mandare i quattro esploratori a gambe levate.

— Uno scoglio? — chiese padron Vincenzo, rialzandosi prontamente.

— Un ingombro — rispose Michele, che si era spinto a prora.

Il dottore guardò in alto e vide che un tratto enorme della vôlta era precipitato, lasciando un vuoto immenso.

— Adagio, amici — disse. — Qualche nuova frana può avvenire.

— Ed il canale comincia a diventare ingombro — disse padron Vincenzo. — Il passaggio non sarà facile.

— A sinistra mi pare che vi sia acqua sufficiente — osservò Michele.

– E più innanzi la galleria è chiusa — gridò Roberto.

— La frana? — chiese il dottore.

— Silenzio!... — disse padron Vincenzo. — Odo un gorgoglìo laggiù.

Tutti tesero gli orecchi.

Cinquanta passi più innanzi s’udiva l’acqua a muggire e scrosciare come se precipitasse attraverso a dei stretti passaggi.

— Udite? — chiese padron Vincenzo.

— Sì — rispose il dottore.

— La frana è là.

— Ai remi amici e guardate in alto, se non volete venire schiacciati.

Avendo trovato sulla loro destra un passaggio, spinsero la zattera da quella parte e girarono l’ostacolo costituito da un ammasso di macigni precipitati dall’alto.

Percorsi quaranta o cinquanta passi essi si trovarono dinanzi ad un ammasso enorme di pietre e di rocce il quale otturava completamente la galleria.

— Non si può andare più innanzi — disse Roberto che si trovava a prora.

— Vediamo — disse il dottore. — Chissà che qualche passaggio esista.

— Per noi forse, non per la nostra zattera.

— Si può scioglierla e ricostruirla poi. Fortunatamente non abbiamo una scialuppa invece di questa zattera.

«Fammi un po’ di luce, Roberto.

Il giovane pescatore prese la secchia ripiena di catrame e l’alzò, proiettando la fiamma sulla frana.