I responsabili della Guerra europea

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Tommaso Tittoni

1916 I responsabili della Guerra europea Intestazione 30 novembre 2015 25% Da definire

S. H. TOMMASO TITTONI

Ambasciatore d’ Italia in Francia


I RESPONSABILI



DELLA GUERRA EUROPEA



« Opuscoli gratuiti di Propaganda Nazionale per il Popolo Italiano *


VENEZIA

Libreria Editrice Nazionalista

1916




Tip. Economica Telef. 16-28



Signori!

Per la seconda volta ho l’ onore di prendere la parola in quest'aula dove le splendide tradizioni della letteratura, della filosofia , della scienza circondano gli oratori ed ispirano loro la dignità e l'elevatezza del linguaggio.

La prima volta una spiegazione pubblica, franca, leale tra il Presidente del Consiglio, signor Poincaré e me, metteva fine ad un malinteso sorto fra la Francia e l'Italia, lo evoco innanzi a voi questo ricordo che ci appare ora come una lontana nebbia, unicamente perchè io penso che esso non può che consolidare la volontà incrollabile dei due popoli che non sorgano più i malintesi e che tra dì loro regni per sempre una amicizia rafforzata dalla simpatia, dalla fiducia, dal rispetto e dalla tutela dei reciproci interessi.

Il signor Poincaré parlò allora di una nube che passa. Ebbene noi non vogliamo più nubi, nemmeno passeggere ; noi vogliamo che sulla Francia e l' Italia risplenda un’ orizzonte sempre radioso, calmo e sereno.

Noi non pensavamo allora alla guerra e ci è stato rimproverato di non averla prevista. Il rimprovero vero non è fondato: si può prevedere una guerra necessaria; non si può prevedere una guerra inutile. Si può prevedere tutto tranne i traviamenti della follia umana. Come già il sìg. Poincaré quattro anni or sono» Aliatole France e Barthou avrebbero potuto oggi assaporare il puro godimento che l’oratore prova quando riesce ad incatenare r attenzione dì coloro che Io ascoltano e far vibrare la loro anima all' unisono della sua ed il pubblico avrebbe potuto provare ancora una volta la soddisfazione di sentire esprimere no- bilmente nobili pensieri.

Ma nell'ora presente questi godimenti, pu- ramente intellettuali od estetici, ci sono dive- nuti estranei. Noi abbiamo delle cure più gravi, dei doveri piu austeri ed una grande mèta da raggiungere, alla quale noi ci consacriamo in- teramente. E questa mèta non ci chiede appa- renze, ma realtà.


La speculazione deve cedere il posto alla azione. Ricordiamoci l' ammaestramento della sapienza antica: Facere docet philosophia, non dicere ». Dunque non discorsi inutili, non ba- nalità o vane parole, non retorica vuota che creando il fantasma delle illusioni, possa distoglierci un solo istante dall' azione disciplinata mediante la quale noi dobbiamo tutti, elevate o umili siano le funzioni che noi esercitiamo, cospicuo o modesto sia il posto che occupiamo, lavorare e contribuire, nei limiti dei nostri mezzi e delle nostre forze, all' attuazione del nostro fine supremo , la vittoria della causa comune !

Oggi, quando un oratore si appresta a parlare, il pubblico prima di preoccuparsi se la sua parola è smagliante o scolorita, si domanda: che cosa ha egli fatto per il suo paese in questo momento supremo ? Ed io credo che se Luigi Barthnu vi ha oggi profondamente impressionati e commossi, ciò non è dovuto soltanto al fascino ed al vigore della sua meravigliosa eloquenza, ma ciò è dovuto eziandio al fatto che egli ha dato alla Patria più della sua vita ; ha dato ad essa una vita che era a lui certo più cara della propria. E la sua voce aveva un accento tragico, perchè traduceva schiettamente le due grandi tragedie che agitano l'animo suo: quella di questa terribile e sanguinosa guerra e quella del sacrificio del suo più grande affetto. Perdonatemi, caro amico Barthou, di ridestare il vostro dolore ; ma la vostra anima di patriota è degna di questa dura prova. D’ altronde io non credo che i vostri dolorosi ricordi fossero assenti quando voi avete concentrato nella vostra parola, infiammata e vendicatrice, le male dizioni di tutte le famiglie in lutto contro coloro che, senza alcuna necessità, senza alcuna ragione legittima, hanno scatenato sull' Europa un flagello più terribile di tutti i mali che afflìggono l' umanità riuniti insieme.

Le responsabilità della guerra

Essi cercano di allontanare dal loro capo questa maledizione, ripetendo a sazietà che non avevano voluto questa guerra. Non dicono che questa frase e ad essa si attaccano disperata— niente, poiché essa non può avere un' apparenza di verità che se si prende strettamente alla lettera. Un eminente psicologo francese, in un libro recente, pur stigmatizzando l'Austria e la Germania, ha scritto che nessuno voleva questa guerra e tutti la temevano- Può darsi che l' Austria e la Germania non desiderassero una guerra europea, o almeno non la desiderassero così estesa; Può darsi che l’Austria si lusin- gasse di perpetrare impunemente l' aggressione contro la Serbia senza che la Russia raccogliesse la sfida insolente, senza che la Francia mantenesse i suoi impegni verso la Russia, senza che l’Italia facesse nulla per impedire l’ alterazione dell'equilibrio adriatico a suo danno e la violazione flagra nte del trattato di alleanza, che era stato concepito come opera di difesa legittima, di equilibrio e di pace, e non poteva e non doveva costringerla a farsi complice nemmeno mediante la semplice aste ozio ne, di una aggressione delittuosa. Può darsi che la Germania si lusingasse di ripetere una seconda volta l' intimazione fatta nel 1909 a Pietrogrado, alcuni mesi dopo l'annessione della Bosnia-Erzegovina, senza riflettere che la Russia, appunto perchè l’ aveva tollerata una volta, non avrebbe potuto sopportarla una seconda volta, senza firmare la sua decadenza. Può darsi eziandio che la Germania si lusingasse di poter violare la neutralità del Belgio, senza che l' Inghilterra se ne sentisse colpita, e schiacciare questo nobile e piccolo paese senza che il mondo civile ne fosse profondamente commosso ed indignato.

Ma forse queste illusioni puerili, se dav- vero sono state accarezzate, potrebbero dimi- nuire la loro responsabilità? Ammesso anche che l' Austria e la Germania potessero difendersi dall" accusa di avere freddamente premeditato la guerra per la quale, del resto, come i fatti lo hanno dimostrato, esse sole si erano militarmente preparate, esse sarebbero egualmente colpevoli di averla scatenata pei leggerezza, per orgoglio, per disprezzo della giustizia internazionale.

Il Cancelliere dell'Impero germanico, nel discorso che ha pronunciato al Reichstag circa quindici giorni or sono, ha denunciato ancora una volta la mobilizzazione russa come la vera causa che ha provocata la guerra. Si potrebbe rispondere che la mobilizzazione ordinata da una Potenza può dare alle altre potenze il diritto di mobilizzare alla loro volta, ma che dalla mobilizzazione non consegue necessariamente la guerra, e che non mancano esempi di mobilizzazione che non hanno interrotto i negoziati diplomatici ed è stata seguita da soluzioni pacifiche. Ma, anche accettando il principio enunciato dal Cancelliere germanico e facendo ricadere la responsabilità della guerra su chi ha per il primo mobilizzato il suo esercito, non si eviterebbe la condanna dell' Austria, poiché è proprio essa che ha mobilizzato la prima. Può dirsi del resto che da lungo tempo la mobilizzazione era ritenuta per l' Austria un provvedimento normale. Essa ha mobilizzato il suo esercito nel 1908 e 1909 durante tutta la crisi della Bosnia- Erzegovina : essa ha mobilizzato nel 1913 durante la crisi balcanica ed albanese, e le altre Potenze non hanno perduto il sangue freddo e non hanno pensato che la guerra dovesse essere la conseguenza necessaria della mobilizzazione. La Russia sola si limitò nel 1913 ad una innocente misura di precauzione ritenendo una classe sotto le anni, ma, come il conte Berchtold lo ha detto cosi bene nel suo discorso alle Delegazioni del 20 novembre 1913 (e a me piace citare le sue parole testuali) : " Uno scambio di vedute dovuta all' iniziativa generosa dei due Sovrani, riuscì a fare abban- donare queste misure prima che la crisi si pro- lungasse troppo ». In questa guisa lo stesso conte Berchtold si è dato la pena di condannare nel 1913 il suo modo di agire del 1914 e dismentire e confutare il signor Betmann-Hollweg molto tempo prima che questi prendesse la parola.

Scrittori e filosofi di differenti nazioni hanno pubblicato sapienti dissertazioni nelle quali enumerano una lunga e numerosa serie di cause morali, psicologiche. etniche, economiche e politiche le quali, secondo essi, dovevano condurre fatalmente alla guerra. Io ammiro la loro ingegnosità e la loro dottrina che, devo ricono- scerlo, ha sedotto una parte dell" opinione pub- blica ; ma io mi iscrivo contro la loro tesi. Come panni averlo già dimostrato nel mio discorso al Trocadero, nè la concorrenza economica, nè le molteplici divergenze tra la Germania e le altre potenze tutte, già definite e regolate da speciali accordi potevano costituire ragioni, nè pretesti ragionevoli per la guerra.

L' aggressione contro la Serbia


Bisogna ricondurre la guerra alla sua vera fonte: l’aggressione dell’Austria contro la Serbia Coloro che ne ingrandiscono smisuratamente il quadro non fanno che creare la confusione nello spirito pubblico e di questa confusione l’Austria e la Germania profittano per cercare di sottrarsi alla grave ed incomoda responsabilità che pesa su di esse. Tutto l' artificio dei loro uomini di Stato consiste nel non tenere alcun conto dell' aggressione dell’ Austria contro la Serbia, come se si trattasse di cosa perfettamente naturale e legittima e della quale l’ Europa non aveva il diritto di occuparsi. E'5 su questo artificio che noi dobbiamo fermare la nostra attenzione, perchè costituisce la pietra angolare della tesi austro-germanica. Se noi distruggiamo questo artifìcio, tutta la loro tesi crolla polverizzata.

La decade drammatica, trascorsa tra la presentazione dell' ultimatum alla Serbia e la dichiarazione della guerra, è stata rischiarata di vivida luce dalla pubblicazione dei documenti diplomatici di tutti gli Stati interessati. Questi documenti sono stati abbondantemente com- mentati nei discorsi degli uomini di Stato, nei libri, negli opuscoli, negli articoli delle riviste e dei giornali. Io stesso ebbi ad occuparmene nel mio discorso al Trocadero, aggiungendo ai discorsi pubblicati un documento inedito. Non insisterò su questo punto per non ripetere ciò che già ho detto e che tanti altri hanno detto.

La redazione dell’ ultimatum austriaco brutale, insolente e non documentato ; il disdegno per la risposta umile e remissiva della Serbia ; la risposta negativa data alla breve proroga do- mandata dalle altre Potenze, il rifiuto categorico di esaminare le proposte amichevoli, concilianti, improntate a grande equità, che alcune di esse avevano presentato, e le altre avevano appog- giato al fine di evitare la guerra e dar soddi- sfazione all'Austria, pur salvando l' indipendenza della Serbia e le ragioni supreme della giustizia, tutti questi fatti hanno indotto l' opinione pub- blica mondiale a pronunciare contro l' Austria e la Germania una sentenza definitiva senza appello.

Ma se quanto è avvenuto tra il 24 luglio e il 4 agosto è stato messo bene in evidenza, i precedenti della questione serba non lo sono stati abbastanza. Si sarebbe dovuto fare, ed è utile ancora farlo, ed io mi ci proverò con una sintesi rapida, sobria ed imparziale. Sì, sopra- tutto imparziale, perche io non ho preso la pa _ rola per fare una arringa patriottica, ma per portare un contributo alla verità ed alla storia ed affinchè la mia argomentazione possa resi- stere a tutti i sofismi dei nostri nemici io non darò ad essa che una base: le dichiarazioni ufficiali austriache, rigorosamente controllate.


Che la difesa sul terreno del l' ultimatum alla Serbia fosse diffìcile e pericolosa per gli Imperi centrali, uno dei loro uomini di Stato ha ben compreso ed ha cercato altrove la loro giustificazione. Il Segretario di Stato germanico per gli Affari Esteri, signor Von Jagow. in una intervista disse che l'Austria è stata costretta a far la guerra perchè tutti i suoi interessi nella penisola balcanica cozzavano costantemente contro l' ostilità e la cattiva volontà delle Potenze dell'Intesa, e che bisognava pure un bel giórno por fine a questo stato di cose intollerabile. Ecco dunque relegato in seconda linea l' assassinio di Serajevo e confessato che l' ultimatum alla Serbia non fu che un pretesto per provocare la guerra. Ma e almeno vera l' affermazione del signor Jagow ? Io vi dirò che essa è contraddetta dai fatti e da tutte le manifestazioni ufficiali degli uomini di Stato austriaci autorizzati.

L'Austria e le guerre balcaniche

1 fatti innanzi tutto. Tutto ciò che T Au- stria ha domandato dopo le due guerre balca- niche lo ha ottenuto eri consenso e T appoggio di tutte le Potenze. Così è stata creala l'Albania, come essa voleva, imp nendole amh? il Se- •


vrano da essa designato : così si è obbligato il Montenegro ad abbandonare Solitari, e la Serbia a rinunciare allo sbocco nell' Adriatico ; cosi le frontiere albanesi verso la Serbia e la Grecia sono state tracciate secondo la volontà dell' Au- stria. Questi risultati furono constatati dal conte Berchtold nel suo discorso alle Delegazioni del 20 novembre 1912 nel quale, dopo averli enu- merati, concludeva : « Noi abbiamo eseguito la parte essenziale del nostro programma e salva- guardata la pace delia nostra monarchia. *

Si è preteso che V ingrandimento degli Stati balcanici dopo la guerra vittoriosa contro la Turchia avesse ferito prò fondamente gli inte- ressi ed il programma dell’ Austria. Ma questo non è che un semplice apprezzamento al quale io oppongo un fatto, e cioè che tale ingrandi- mento essa lo aveva accettato. Nello stesso di- scorso, già citato, il Conte Berchtold ricordava le dichiarazioni fatte nel 1908, al momento del ritiro delle guarnigioni austriache dal Sangiac- cato. lo credo utile riprodurre testualmente que- ste dichiarazioni che il Conte Berchtold ha so- lamente ricordate.

Dopo aver qualificato di leggenda la marcia dell' Austria verso l’ Egeo, il conte Aehrenthal


diceva : « Se le truppe austro-ungariche sgom- brano il Sangiaccato ciò contribuirà a metter meglio in luce quanto poco egoistica è la poli- tica che noi seguiamo in oriente. Ciò dimostrerà egualmente agli Stati balcanici che V Austria non cerca affatto ingrandirsi a loro spese. Lo sgombro delle nostre truppe dal Sangiaccato rischiarerà lilialmente i rapporti fra r Austria- Ungheria e le altre Potenze»

Il conte Berchtold, dopo aver ripetuto che per V Austria la formula di non impedire lo sviluppo degli Stati balcanici era divenuta un assioma, e che egli era disposto a tener conio il più possibile (cioè con le riserve per gli in-

I terassi economici dell’Austria e per l’Albania) della situazione creata dalla vittoria degli Stati balcanici, aggiungeva: «Noi eravamo tanto più risoluti in questa soluzione che la Monarchia ha considerato la sua estensione territoriale come terminata con la Bosnia-Erzegovina e che l’ab- bandono di questo punto di vista nettamente stabilito dal mio predecessore non avrebbe ri- sposto nè ai nostri interessi ben compresi, nè al principio di continuità che io ho sempre seguito*.


L'Austria e rifalla

Io non voglio moltiplicare le citazioni : ma si rileggano tutti i discorsi del conte Aehrenthal e del jconte Berchtold, e si troverà sempre ri- petuto, fino al punto di divenire monotono, lo stesso lek moti/: pace, equilibrio, disinteresse territoriale. Questo savio programma d’ equili- brio, di disinteresse territoriale e di pace, co- stituiva la base dei rapporti fra V Austria e T Italia, Il giorno in cui all* improvviso lo ha bruscamente lacerato, rinnegando le sue dichia- razioni e le promesse e svelando le sue trame segrete, essa ha lacerato al tempo stesso I‘ al- leanza con V Italia. Si è fatto molto chiasso in Austria sul preteso tradimento dell’ Italia e sulla conversione alla guerra degli uomini che ave- vano praticato la politica deir alleanza. Ma è facile dimostrare che non ci sono stati nè tra- dimenti, nè conversioni. Noi eravamo con l’Au stria per la pace, per l' equilibrio nell' Adriatico, per il rispetto dell* indipendenza e dell' integrità degli Stati balcanici, e noi siamo rimasti ledei- . mente con essa lino al momento nel quale essa stessa, abbandonando quel programma, ci ha costretti di cercarne altrove l'attuazione.


Gli uomini, dunque, ed io tra essi, i quali durante lunghi anni hanno in Italia praticato lealmente V alleanza con l’ Austria, servendo la causa del loro paese e quella della pace euro- pea, non rinnegano affatto il loro passato ; al contrario Io rivendicano altamente perchè non solo quel passato non è contraddizione con la loro attitudine attuale, ma ne e anzi la più ef- ficace giustificazione. Non é dunque r Italia che ha tradito 1* alleata. E" l’ Austria che l’ ha tradita nel momento stesso in cui tradiva la causa del diritto, della giustizia e della pace.

L'Austria e la Serbia

E T aggressione austriaca è stata almeno giustificata dall'attitudine della Serbia? Una volta sola la Serbia è sorta contro l’ Austria ; al momento dell’annessione della Bosnia-Erze- govina che provocò in Serbia una profonda emo- zione ed una viva agitazione. L’ Austria allora, benché avesse mobilizzato il suo esercito alla frontiera serba, preferì indirizzarsi alle potenze ed il risultato fu quale essa lo desiderava. Il 18 marzo 1909 la Serbia firmava la dichiara- zione seguente che le fu presentata dall'Inghil-



terra : € La Serbia riconosce che essa non è stata colpita nei suoi diritti dal fatto compiuto creato in Bosnia-Erzegovina e quindi essa si confor- merà alle decisioni delle Potenze circa l’art. 25 del Irattato di Berlino* Accettando i consigli delle grandi Potenze m Serbia si impegna da questo momento ad abbandonare r attitudine di protesta e di opposizione assunta verso l’annes- sione dall’ autunno scorso e si impegna inoltre a cambiare 1* indirizzo della sua politica attuale verso T Austria- Ungheria per vivere con que- st' ultima come una buona vicina. Iti conformità di queste dichiarazioni e fiduciosa delle inten- zioni pacifiche dell' Austria-Ungberia, la Serbia ricondurrà il suo esercito allo stato della pri- mavera del 1908, in ciò che concerne la sua organizzazione, la sua dislocazione ed il suo ef- fettivo ».

Quest' intervento dell’ Inghilterra presso la Serbia è la confutazione perentoria del discorso letto qualche giorno fa a Budapest dal Conte Tisza in nome del Barone Burian,

Perchè V Austria, che ha domandato essa stessa Tintervento delle Potenze presso la Serbia fremente del 1 908, ha rifiutato di conversare con esse circa la sua disputa con la Serbia umile


e sottomessa dal 1914? Non c’è che una spie- gazione plausibile, ed è che nel 1908 l' Austria, benché fosse la sola potenza militarmente pronta, voleva la pace e nel 1914 non la voleva più. Dopo il 1908 r Austria non ha potuto formu- lare alcuna accusa seria contro la Serbia. Si è detto che il Trattato di Bucarest sia grande- mente dispiaciuto all’ Austria. Ciò è possibile sopra tutto se, come molti non senza qualche I onda mento ritengono, essa non fu interamente estranea all’aggressione della Bulgaria contro la Serbia e la Grecia, che avevano accettato Tar- bitrato per regolare con essa la loro contesa macedone. Ma la potenza che dichiarò per prima che il Trattato dì Bucarest doveva essere ri- spettato, fu proprio la Germania. L'Austria ha sempre detto che essa pretendeva dalla Serbia solo talune garanzie di ordine economico. Ciò affermava il conte Aehrenthàl il 14 ottobre 1910, quando si compiaceva dell’accordo commerciale con la Serbia.

II 20 novembre 1913 il conte Berehtold di- ceva alle Delegazioni :

« Per quanto concerne il Regno di Serbia nostro vicino noi consideriamo l’avviamento delle buone relazioni economiche con esso come


on segno dei rapporti di buon vicinato. Il Go- verno serbo ha già ricevuto da parte nostra delle comunicazioni in questo senso e noi at- tendiamo ora da esso, come prova del suo de- siderio di avere con noi rapporti identici, delle dichiarazioni suscettibili dì provocare dei ne- goziati dal punto di vista della reciprocità della situazione economica *.

E il conte BerchtoM terminava il suo di- scorso con un linguaggio che poco dopo doveva dimenticare completamente : * In questo intento noi possiamo esprimere la speranza che dopo ì cambiamenti sopravvenuti nei Balcani si inau- gurerà per noi una nuova èra nei nostri rap- porti con gli Stati balcanici, un' era di relazioni economiche più strette e più vivaci e di rapporti amichevoli e pieni di fiducia ». Tutte le potenze applaudivano a questo linguaggio tenuto pcco prima della guerra, e anzi io credo di poter dire che esse erano disposte ad esaminare fa- vorevolmente delle garanzie per la libertà del porto e della ferrovia di Salonicco se l’Austria le avesse richieste. Ma la verità è che l’Austria non ha mai chiesto niente di preciso. La sola questione economica che aveva trattato con la ►Serbia è che eia sut punto di essere risoluta di



accordo era quella delle ferrovie orientali per la quale 1 Austria aveva fatto appello al capi- tale francese. Le famose proposte economiche non furono mai presentate alla Serbia ; esse non erano state ancora presentate il giorno funesto della redazione dell ultimatum. E’ proprio uno dei casi nei quali il vero non è verosimile, tal- mente la condotta dell’ Austria cozza con la lo- gica e la ragione. Certo c’erano in Serbia dei 1 € chauvins * come ve ne sono in tutti i paesi,

ma il Governo e la nazione serba comprende- K vano benissimo di essere troppo piccoli e troppo deboli e di dover necessariamente vivere in buoni termini con la loro grande e potente vi- cina. Uno degli uomini di Stato serbi piu illu- minati e più colti, il mio amico Vesnitch, che ° circondato in Francia da tanta simpatia, nel luglio 1914 in una intervista, dopo aver deplo- rato con parola commossa il delitto di Serajevo, diceva che la sua emozione era accresciuta dal timore che esso potesse ritardare gli sforzi del Governo serbo per stabilire cpn V Austria rap- porti fiduciosi, e terminava con le seguenti pa- iole le quali alla vigilia dei tragici avvenimenti ch'eran per svolgersi, suonavano come un ap- pello disperato alla pacificazione, all 1 equità, alla


buona volontà: « Guardiamoci bene, diceva egli, di giudicare 1* Austria di oggi dagli scritti di alcuni pubblicisti troppo zelanti. Essa conta uo- mini di Stato che discernono con sangue freddo gli interessi del loro paese. Essa è retta — e possa asserto ancora lungamente — da un grande monarca. Io non posso quindi trattenermi dallo sperare che tra essa e la mia patria questa triste nube passerà senza tempesta e che dopo, per il bene dell’ Europa intera oscurata da questa crisi, verranno giorni di buona volontà, di buon vicinato e di serenità. *

Era il linguaggio della ragione, della mo- derazione, delta onestà. L' ambasciatore d' Au- stria-Ungheria a Parigi, incontrando il signor Vesnitch, si congratulava con lui per le sue dichiarazioni. Io non mi permetto di mettere in dubbio la buona fede di queste congratula- zioni. Io non sono il solo a pensare che gli am- basciatori dì Austria-Uugherìa e di Germania a Parigi fossero poco al corrente del colpo che sì preparava a Vienna e a Berlino. Ma quale sa- pore di ironia crudele e macabra gli avveni- menti hanno dato a queste congratulazioni, che precedono di dieci giorni soltanto la presenta- zione dell’ ultimatum austriaco !



L'Austria e I© Potenze deli 1 Intesa

L’ironia lugubre degli avvenimenti poste- riori colpisce anche un’altra manifestazione che precede di poco la guerra — l’omaggio che il Ministro degli Esteri francese nel marzo 1914 rendeva alla tribuna all’alta saviezza che rego- lava i destini deirÀustria-Ungheria. Non sola- mente, beninteso, qualunque spirito di critica da pai te mia è assente da questa dichiarazione perchè V Austria e (Tetti va mente era stata savia durante tutto lo sviluppo della crisi balcanica, ma anzi io deduco di ciò un altro argomento contro la tesi del signor Jagow circa il malvo- lere sistematico delle Potenze dell’ Intesa verso 1 Austria— Ungheria, Questo malvolere non ha mai esistito. Per ciò che riguarda la Francia, il conte Aehrenthal diceva nel 1908: * La Francia continua ad esercitare la sua influenza per ap- pianare le divergenze esistenti nelle diverse questioni. Noi possiamo salutare i suoi sforzi degni di riconoscenza con la più grande soddi- sfazione poiché noi intendiamo allo stesso line della Francia: la conservazione della pace. »

Per ciò che riguarda V Inghilterra io ho già detto che fu essa che si incaricò in conformità


dei desideri deli 1 Austria e di far firmare alla Serbia la dichiarazione del 18 marzo 1 909 e tutti sanno con quali propositi pacifici e conci* Hauti l' Inghilterra dopo le guerre balcaniche ha presieduto la conferenza di Londra.

11 ^0 novembre 1013 il conte Berchtolfi del quale il barone Durian tìnge di non ricordarsi, ha reso omaggio ad essa con le seguenti parole : « La politica estera dell'Inghilterra proseguita con rigorosa obiettività ha sensibilmente con* tribù ito ad eliminare le numerose difficoltà della situazione senza produrre serio malcontento da parte delle Potenze interessate *.

E quanto alla Russia, senza rimontare ai tempi già lontani del patto dì Murzsteg che fu il riconoscimento da parte dell'Austria dell'in- teresse della Russia nei Balcani, senza ricordare che nel 1908 il conte Aehrenthal diceva a pro- posito delle questioni balcaniche: «Si sa a Pie- troburgo che noi abbiamo una conoscenza per- fetta degli interessi e dei desideri della Russia ». Io citerò la dichiarazione più recente del conte Berchtold alla fine del 1913: «L'evoluzione della situazione nei Balcani ha eliminato molti motivi di malinteso fra l’Austria- Ungheria e la Russia e non soltanto ha diminuito le occasioni


|| ^ dissenso tra di esse ma ha anche prodotto

sotto molti rapporti una felice armonia di con- cetti e di interessi che avrà una eccellente in- fluenza sullo sviluppo àelle nostre relazioni E questa sara 1 ultima parola, poiché io non voglio schiacciare nè V Austria nè i miei uditori sotto una valanga di citazioni che potrei mol- tiplicale all infinito. Quelle che ho lette sono più che sufficienti per permetterci di dire al- F Austria : ex ore tuo te judìcol

Uno dei più bei saggi del grande scrittore inglese Macaulay é quello sul convenzionale re- gicida passato alla posterità col nome di Ana- creonte della ghigliottina. Esso termina con questa veemente invettiva: «Io sfido chicches- sia di farlo discendere dall'altezza di obbrobrio / am quale sono stalo costretto di collocarlo ».

Cali autoii e i complici della aggressione contro la Serbia sono proprio sicuri che gli borici futuri i quali sveleranno o stigmatizze- ranno la loro condotta, non si ricorderanno del- r invettiva di Maeaulay ?




Lo sforzo militare italiano

Dovrò parlare delld* sforzo militare il aliano? fi miglior modo di fame comprendere V impor- tanza al pubblico francese è la testimonianza dei francesi stessi che V hanno visto da vicino. Uomini eminenti che sono in contatto quasi quotidiano con la pubblica opinione. Luigi Bar thou, Stefano Pichoa, Gabriele llanotaux, Mau- rizio Barres e Giuseppe Reinach, sono stati sul nostro fronte, nelle nostre trincee, in mezzo ai nostri soldati. Essi hanno conversato col nostro Re, coi nòstri generali, coi nostri ufficiali, coi nostri t poilus t ed hanno riassunto le* loro im- pressioni fresche, vive, spontanee in eccellenti articoli. Luigi Barthou ha voluto rinnovarne la espressione in questa Conferenza, nella quale ci ha dimostrato ancora una volta che la elo- quenza e la efficacia della sua parola uguaglia la finezza e T eleganza della sua penna.

Nulla io aggiungerò a ciò che egli ed i suoi illustri amici hanno detto con tanto splen- dore ed autorità. Mi limiterò a ringraziarli pub- blicamente in nome del mio Paese per la loro perseverante collaborazione all' amicizia franco-


italiana e, come tutti coloro else li hanno letti od ascoltati, associerò in unico pensiero gli eroi di Verdun e gli eroi del Trentino. A me sem- bra che I* urto rude che noi abbiamo sopportato insieme, che 1* ansietà dei primi momenti del* V offensiva germanica ed austriaca cui ha tosto succeduto la gioia di apprendere che la bravura dei nostri eserciti aveva arrestato lo sforzo ne- mico, ha ancora più stretto i nostri legami, unite le nostre anime e ci ha latto meglio e più in- tensamente sentire e comprendere la nostra fra- ternità. Pensiamo a coloro che combattono e K muiono per la Patria! Sarà questo il mezzo più

sicuro per dissipare le difficoltà interne e ce- mentare V unione, sacra.

lo devo anche ringraziare A natole Franco che ha voluto presiedere la nostra riunione. E* naturale che egli sia in prima fila in tutte le manifestazioni perla giustizia che è il suo grande affetto. Essa lo è sempre stata. Il giorno del ricevimento di Anatole Franco, alla Accademia francese (è melanconico per me e per lui il con- statare quanto questo giorno sia da noi lontano) il suo collega Greard dopo aver fatto allusione ai titoli piacevolmente ingannatori dei suoi libri e lodato le seduzioni di una lingua così perfetta





che sembra che essa uon abbia da diffidare di altro se non della sua grande perfezione, met- teva in rilievo la sua preminente qualità : il suo spirito di ribellione contro tutte le ingiustizie. Anatole F rance, questa qualità, che è l’onore e F orgoglio della vostra vita, le circostanze at- tuali la fanno ancora meglio apprezzare da noi 1



Sforzo comune, cannoni! munizioni

Signor Presidente, il vostro Comitato fa- cendo conoscere al pubblico lo sforzo inglese, belga, francese, italiano, giapponese, russo e serbo ha compiuto opera degna e patriottica. Ma havvi un altro sforzo del quale il pubblico ha salutato il principio con gioia e del quale aepetta la continuazione col concorso di tutti senza eccezione e senza interruzione o esitazioni.

Questo sforzo è lo sforzo comune, lo sforzo collettivo su tutte le fronti nello stesso momento, la coordinazione e l’ azione simultanea delle forze alleate affinchè gli Imperi centrali cessino di godere il vantaggio del quale lungamente ed "abilmente hanno profittato di combattere suc- cessivamente su ciascun fronte, giammai su tutti

i fronti insieme* Certo vi ha in ciò anche una questione di cannoni e di munizioni* 6H uomini chiaro veggenti, fin dai primi giorni deila guerra, hanno compreso che il numero ed il rinnova- mento continuo dei cannoni e la produzione ih limitata delie munizioni ne costituisce il fattore forse decisivo, certo il più importante. Ciò è stato compreso in Francia dove si può dire con fierezza aver risoluto il formidabile problema. Bisogna assolutamente che dappertutto non solo si raddoppino ma si centuplichino gli sforzi pren- dendo ad esempio lo sforzo ammirevole della Francia, lo non dirò che la vittoria è a questo prezzo, poiché in ogni caso la nostra fiducia nella vittoria finale deve essere incrollabile. Ma la fiducia non deve essere mistica o contem- plativa ; deve essere integrata dall* azione che non si affievolisce un istante solo, che non si arresta mai. Poiché se dobbiamo pensare a por line alla guerra mediante la vittoria, non dob- biamo nulla trascurare per conseguirla al più presto possibile. Noi abbiamo detto e ripetere- mo sempre che quale sia la durata della guerra noi Ja proseguiremo fino alla fine, ma sarebbe davvero incoscienza e spensieratezza colpevole dire che è indifferente che la guerra sia più o


meno lunga, quasi che si potesse essere indiffe- renti agli enormi sacrifici dei popoli, in sangue ed in denaro.

i

La durata dalla guerra © la possibilità della pace

Il Cancelliere germanico nel suo ultimo di- scorso ha voluto far ricadere la responsabilità delia durata della guerra sugli Alleati dicendo che essi avevano respinto con disprezzo i suoi primi accenni alla pace. Lasciamo da parte le parole gravi e domandiamoci piuttosto se si trattava davvero d* una pace avente una base seria e cioè di una pace che rendesse impossi- bile una nuova guerra a breve scadenza. E pro- prio questa pace, la sola desiderabile, non è ancora possibile. Essa non è possibile anche in- dipendentemente dalle questioni territoriali che tuttavia sono anche esse irte di difficoltà, so- pratutto se j^i rifiuta di esaminarle alia luce del gian principio liberale di nazionalità, E r per questa ragione che i nostri popoli senza il con- corso e r adesione dei quali i nostri Governi non potrebbero continuare la guerra, sono de- cisi di condurla fino alla fine, poiché con il loro


buon senso e col loro intuito sicuro dicono che vai meglio continuare la guerra fino alla fine piuttosto che cedere all’ allettamento inganna- tore di una pace apparente ed effimera che non metterebbe fine definitivamente alla guerra ma l' interromperebbe provvisoriamente per alcuni anni, lasciando arbitri coloro che V hanno pro- vocata di ricominciarla quando e come ad essi convenisse meglio.

Parlando dell' attitudine che conviene agli Alleati nella discussione della pace,* voi avete cominciato altra volta, caro amico Barthou, una formula che io adotto : Moderati ed equi» si : ingenui no.

D’altronde se vi sono riparazioni materiali e morali da esigere, nazionalità oppresse da re- dimere, città ed officine incendiate o distrutte da far risorgere, noi non dobbiamo dimenticarci che c* è anche da ricostruire un altro edificio che è miseramente crollato e che ha nome : il diritto e la giustizia internazionale.

h torse possibile che 1* Europa quale era prima della guerra, V Europa della pace armata, della concorrenza pazza e della corsa febbrile agli armamenti, sia ancora V Europa di dopo la guerra ? Come si potrebbe senza preoccupazioni


considerar dopo la guerra una situazione nella quale le grandi Nazioni dovessero pagare i po derosi aggravi delia guerra passata ed al tempo stesso quelli non meno poderosi della prepa- razione della guerra futura a breve scadenza che cosa rimarebbe mai pel progresso civile ed eco- nomico, per le riforme sociali, per tutto ciò che costituisce il cammino della civiltà ? Si ingan- nerebbe a partito chi pensasse che le Nazioni potrebbe rcL^rassegnarsi ad un tale stato di cose che creerebbe dappertutto gravi situazioni in- terne e provocherebbe le collere dei popoli. Guglielmo Ferrerò, al quale siamo debitori di vedute interessanti ed originali sulla guerra e le sue conseguenze, in uno dei suoi articoli ha

[ espresso la speranza che gli elementi rivoluzio- nari rinuncino a sfruttare a loro profitto la si- tuazione che lascerà la guerra. Io credo che sarebbe più prudente dare alle nostre speranze per r avvenire una base meno fragile.

I problemi del dopo guerra saranno più com- plicati di quelli della guerra ed il còmpito dei governanti sarà più difficile dopo che durante la guerra.

Secondo me non vi ò che una via per fa- cilitare la soluzione di questi problemi, ed è



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fare in modo che abbiano a porsi a noi nella forma meno grave possibile. Questa considera zione deve confermarci nella risoluzione dì non deporre le armi prima di avere ottenuto me- diante la vittoria, la sola pace desiderabile, la pace che deve contenere V elemento ai quale noi non potremmo mai rinunciare, l’ elemento della durata per un gran numero di anni

Non basta terminare questa guerra, bisogna a qualunque patto evitare i terribili problemi che dopo la guerra farebbe sorgere una pace zoppicante.

Conclusione

Gli uomini che sono responsabili di questa guerra, attenti dai risultati spaventosi dell’ opera loro, vorrebbero, ove lo potessero, non averla scatenata come vorrebbero, se lo potessero, ar- ] e starla ora. Ma essi non lo posso no ; ma nes- suno Io può ; ma noi stessi, se Io volessimo, non lo potremmo, poiché v’ ha una cosa che è ? superiore alla volontà*- degli uomini, cioè la lo-

gica fatale ed implacabile degli avvenimenti. Gli uomini possono scatenarli ; ma, una volta scatenati, non è più in loro potere di arrestarli.



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Ben può dirsi degli uomini responsabili di questa guerra ciò che un filosofo della antica Roma diceva di tutti i conquistatori che, trascinati dall’amore insensato di una falsa grandezza




(insanus amor magnitudini» falsae), sono con-




dannati a non potersi arrestare se non quando



cadono o vengono meno, alla stessa guisa di un masso lanciato nello spazio, che non si




arresta se non quando cade e si stritola sulla

terrai




DISCORSO pronunciato da S. E. TOMMASO

TITTONI, Ambasciatore d’ Italia in Fran- cia, il 21 Oiugno 1916, ALLA SORBONA DI PARIGI.