I sette a Tebe/Secondo canto intorno all'ara
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SECONDO CANTO INTORNO ALL’ARA
coro
Strofe I
Taccio; ma, sbigottito, requie non trova il cuore
nel sonno. Le finitime
angosce in esso accendono il terrore
dell’incombente esercito:
cosí pei nidïacei
teme i serpi, funerei
compagni al loro talamo,
la trepida colomba.
Questi alle torri incalzano:
sono turba, son popolo!
Di noi che mai sarà?
Quest’aspra furia scagliano
di sassi, che su i miseri
giú da ogni parte piomba.
Di Giove o figli, o Superi,
salvi mandate il popolo
di Cadmo, e la città!
Antistrofe I
Dove mai troverete piú devota una terra,
se adesso in questo fertile
campo lasciate infurïar la guerra,
e su le scaturigini
di Dirce, la purissima
fra quante acque Posídone
che il suol crolla, e di Tètide
effondono i figliuoli1.
O Numi della Patria,
or voi, questo sterminio
su chi stringe le mura
torcete, sí che gittino
l’armi, e la vostra gloria
alta per Tebe voli.
A udir le patrie suppliche,
restar su l’are piacciavi,
nella patria sicura.
Strofe II
Tristo sarebbe, questa vetusta città, precipite
preda alle cúspidi,
piombar nell’Ade, conversa in cenere,
distrutta schiava fra indegni vincoli,
come gli Dei
vollero, e oprarono gli uomini Achei.
E trascinate le donne vedove,
ahimè, le vecchie presso alle giovani,
come cavalle, per la cesarie,
fatte a brandelli le vesti. Ed ulula
la città vuota, mentre esse vanno
fra le commiste grida, a rovina.
Io tutta tremo già per il grave futuro danno.
Antistrofe II
Ahi, quale pianto, pria delle nozze, le intatte vergini
vederle muovere, per la cesarie
tratte, a le case che ancora tenere
le coglieranno! Per certo assevero
che miglior sorte
di questa s’ebbe chi trovò morte.
Ahimè, ché orribili sciagure, orribili,
sopra una vinta città s’aggravano.
Questi trafigge, prigioni stràscica
quegli, ed un altro le fiamme suscita.
Sozza è di fumo la città tutta:
ché, furïando, Marte ivi soffia,
sterminatore, ch’entro nei cuori la pietà brutta.
Strofe III
Tutto è fragor: di torri su la rocca
alta una rete stendesi.
Sotto i colpi dell’un l’altro trabocca:
i cruenti belati
alle mammelle suonano
dei pargoli mo’ nati:
è della fuga il bottino fratello:
carchi di preda, urtano questo in quello:
quei che privo ancor n’è, l’un l’altro chiama
partecipe al saccheggio:
ché minor parte o ugual, nessuno brama.
Qual presagio da ciò formare io deggio?
Antistrofe III
Sparse le grasce d’ogni sorta al suolo
vedi, e ne provi angoscia:
sul viso alle custodi è amaro duolo.
Senza cèrnita i frutti
della terra disperdonsi
confusi in vani flutti.
E le novelle schiave a nuovi affanni
esposte vedi. A chi ridono gli anni,
dell’inimico il talamo le attende,
a cui rise la sorte
di guerra: e speme alle miserie orrende
altra non han che il talamo di morte.