Il Dio dei viventi/XXXII

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Parte XXXII

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XXXI XXXIII

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I Barcai erano in viaggio verso il mare.

La moglie di Zebedeo avrebbe volentieri viaggiato sul carro spedito con la roba, come si usava un tempo quando la gente era più ignorante e più felice; invece viaggiavano in treno, in terza classe sebbene ricchi.

Il treno era affollato, da tutti i finestrini pendevano grappoli di teste di soldati: [p. 176 modifica]erano soldati che tornavano in congedo dopo la guerra, e tutti ridevano, tutti urlavano di gioia, ma il loro grido conservava qualche cosa di feroce come se essi andassero ancora all’assalto, — a uccidere e a morire.

Anche lo scompartimento occupato dai Barcai era pieno zeppo di soldati: puzzavano tutti come bestie selvatiche e ad ogni fermata si ammucchiavano sul finestrino soffocando Rosa e la padrona sedute ai posti d’angolo. Rosa si divertiva, rideva con loro e provava piacere al loro contatto, ma la padrona si sentiva sempre più angosciata.

Non le dispiaceva la compagnia di quei buoni ragazzi, e a quel tanfo di selvatico ora abituata perchè anche i suoi servi e Zebedeo stesso non odoravano di rosa; ma il caldo, il disagio, il moto del treno, le davano un senso di nausea profondo. Inoltre pensava con inquietudine al carro della roba e le pareva che qualche cosa della sua famiglia e della casa fosse dispersa per il mondo in balìa di tutti i ladri e malfattori, mentre anche il timore che i [p. 177 modifica]ladri entrassero in casa dove la vecchia era rimasta a vigilare ma impotente come uno spauracchio che può illudere solo gli uccelli, non l’abbandonava un momento.

Bellia sedeva alla sua sinistra e Zebedeo accanto alla serva: il trovarsi così riuniti la confortava alquanto; se però gli uomini scendevano a qualche stazione ella gridava per la paura che non facessero a tempo a risalire in treno.

Zebedeo invece era allegro quasi come i soldati di ritorno dalla guerra. Gli pareva di essersi ormai liberato del suo incubo poichè Lia partiva e Salvatore andava anche lui al mare e il suo avvenire era assicurato.

Ad ogni stazione scendeva e invitava i soldati a bere acquavite e liquori; e spendeva con una prodigalità folle.

— Pare che il padrone sia alla festa — disse infine Rosa. — Guardatelo: adesso chiama anche i soldati degli altri scompartimenti.

— Essi tornano dalla guerra e meritano, — disse la padrona sebbene in fondo le dispiacesse lo sperpero di Zebedeo. [p. 178 modifica]

— Ma guardatelo! Adesso chiama anche quelli della ferrovia. E fa bere anche il ragazzo.

La padrona fece uno sforzo e si affacciò al finestrino: di là dei cancelli chiusi della strada provinciale che s’incrociava con la linea ferroviaria vide parecchi carri ricoperti di tende di tela da sacco o semplicemente composte con lenzuola, dalle cui aperture si sporgevano teste di donne e di bambini, gente povera che andava al mare, e ne provò un’accorata invidia.

— Pare che li abbiate rubati, i vostri denari, — disse Rosa al padrone, quando Zebedeo risalì in treno. — Li spendete senza contarli.

— Chi ne ha ne fruga. E tu ficcati nei fatti tuoi, — egli gridò irritato; e parve cambiare d’umore.

Infatti non scese più dal treno finchè non si arrivò al paesetto ove risiedeva il suo amico: ma dal paese al mare correva un buon tratto di strada e ancora un volta la moglie rimpianse il carro e il modo di viaggiare all’antica. [p. 179 modifica]

Ma che accade alla buona moglie? Sogna o è ancora la vertigine del treno che le dà non più un senso di malessere ma un’allucinazione dolce? Le pare di vedere la sua casa trasportata dagli angeli, là fra gli alberi polverosi che circondano la piccola stazione: è la sua casa sì, coi suoi cestini, le sue bisacce, il paiolino di rame per cuocere i maccheroni, la cassa con la biancheria, il materasso di traliccio bianco e turchino, la caffettiera amica; anche il cane è lì e corre incontro ai suoi padroni più veloce del treno.

La donna si asciuga le lagrime dagli occhi riarsi; no, la poesia non è ancora scomparsa dalla terra; e quello che più importa neppure la bontà; poichè il servo mandato col carro della roba ha avuto la buona idea di fermarsi alla stazione per dar modo alla padrona di fare sul veicolo il tratto di strada dal paese al mare.

Ed ella sedette sul materasso e le parve di essere tornata fanciulla quando si andava alle feste campestri in riva al mare e tutto era bello perchè tutto era semplice. [p. 180 modifica]

Ancora la stessa brughiera, le stesse rocce fantastiche, gli stessi lecci solitari raccolti a guardare solo il giro e lo stendersi e il ritirarsi della loro grande ombra come pensatori ripiegati a studiare il vano gioco dei giorni vissuti; ancora gli armenti al pascolo; le pecore protese a bere fra i giunchi del ruscello tutto lucido e chiaro e ben delineato tra il verde e l’azzurro come nei quadretti di maniera: ancora i buoi pazienti che trascinano il carro, e il servo almeno per un giorno ridiventato buono che chiede solo la gioia del suo lavoro: e su tutte le cose l’alito puro del mare.

Ed ecco il mare. A poco a poco si avvicina, dapprima come una striscia argentea fra una macchia e l’altra della brughiera, poi sempre più largo e alto fino al cielo. La serva, anche lei sul carro, lo guardava sbalordita presa da un senso di soggezione e di paura.

— Io entrare lì dentro? Entrarci vestita? Per non uscirne viva, vero? Per l’anima mia, no, io non entro. [p. 181 modifica]

— E chi ti costringe? — disse il servo con calma; — pare che tu creda che il mare stia lì solo ad aspettare che tu ci sguazzi dentro!

— Io non entro, non entro, — ella ripeteva a sè stessa, ma solo per vincere il gran desiderio che già aveva di bagnarsi.

E si fece rossa e nascose il viso sul braccio quando vide gli uomini mezzo nudi che camminavano nel mare spruzzarsi l’acqua a vicenda.

Era quasi mezzogiorno; i bagnanti stavano tutti sulla spiaggia rocciosa, le donne si bagnavano lontano dagli uomini. Una casa bianca con piccole finestre, ogni camera dalla quale raccoglieva intere famiglie, si disegnava sull’azzurro del mare.

Più lontano biancheggiava fra le macchie la caserma della Dogana, e fra questa e la casa dei bagnanti sorgeva quasi dal mare una casetta colore di pietra.

Era la casa dell’amico di Zebedeo: e il carro con le due donne vi si diresse lentamente lungo il sentiero che costeggia il mare, fra i gridi del servo che aizzava i buoi e le esclamazioni di Rosa. [p. 182 modifica]

— Noi andiamo a stare là? Andiamo a stare là? In mezzo al mare? Ma se viene la tempesta si affoga tutti dentro casa come pulcini nella gabbia! Misericordia, misericordia!

Anche la padrona era impressionata, ma taceva. S’aggiustò il fazzoletto intorno al viso e si allacciò il corsetto pensando che andava ad ospitare presso gente ricca e per bene.

E l’ospite veniva loro incontro, con un’espressione di astuzia di allegria e di bontà sul viso rosso tutto pomi.

— Se sapevo che mi capitava la fortuna di ospitare la tua famiglia, Maria Caterina Barcai, fabbricavo un palazzo e non questa mia casupola; ma, vedrai, se Dio lo vuole, un altro anno starai meglio di così.

Sebbene riconoscente, ella pensava che un altro anno se Dio voleva sarebbe rimasta a casa sua.

Anche la famiglia dell’ospite, composta di parecchie donne e di una infinità di ragazzi e bambini, tutta riunita davanti alla casetta, fece festa ai nuovi venuti. [p. 183 modifica]

Questa casetta sembrava costrutta coi sassi dei quali era seminata la spiaggia: nei suoi momenti di furore il mare arrivava alla porta ritraendosi subito come sdegnoso di penetrare in una così umile e fiduciosa abitazione d’uomini; davanti una fila di scogli le segnava una specie di cortile marino; le barche dovevano passare oltre e solo gli abitanti della casa si bagnavano in quel tratto di mare come fosse di loro esclusiva proprietà.

Fu servito il caffè agli ospiti e poi furono anche invitati a pranzo: un pranzo abbondante e ricco nonostante quei tempi di carestia.

La tavola era apparecchiata nella stanza d’ingresso e sulla porta spalancata il mare gettava la sua tenda azzurra; il suo riflesso tremolava sulle pareti nude, e le voci il pianto e i gridi dei bambini si confondevano col suo mormorio.

Zebedeo aveva ripreso un po’ il suo buon umore; il ritrovarsi con la sua famiglia in quella tavola che pareva benedetta da Dio gli sembrava di buon augurio: qui poi [p. 184 modifica]nessuno gli ricordava la sua pena; senza contare che egli aveva portato in dono all’amico una piccola botte di vino e l’amico la faceva già scorrere come una fontana, in onore degli ospiti.

— Se mi portavi una spada da generale non mi facevi un regalo migliore, Zebedeo Barcai: perchè da noi il vino è cattivo, adesso: sentilo. Fra il mio e il tuo c’è la differenza che corre fra l’acqua e il fuoco. E togliere all’uomo il vino buono è come levargli il sangue sano dalle vene. Bevi, bevi, Zebedeo.

E Zebedeo beveva, sebbene quasi astemio, e attraverso il bicchiere colmo gli pareva che il suo Bellia riprendesse colore.

Anche la madre pur non bevendo una goccia di vino si sentiva un po’ sollevata. La moglie dell’ospite, che le sedeva accanto, e le rassomigliava in modo straordinario, pingue come lei, con un gran seno sostenuto appena da una cordicella di seta attaccata da una estremità all’altra di un invisibile corsetto, e il viso pallidissimo che ricordava la placidezza della luna, le [p. 185 modifica]parlava sottovoce confidandole il disagio anche da lei provato ogni volta che doveva lasciare la sua casa del villaggio.

— Ma per i figli e per i nipoti bisogna dimenticarsi di noi stesse; cosa siamo noi senza di loro? Una volta ho provato a lasciarli venir soli; lo crederai! La sera stessa me ne venni qui a piedi sola come il gatto dato via se ne torna a casa appena può scappare.

— Non sono mai accadute disgrazie, qui? — domandò l’altra sottovoce.

— A noi grazie a Dio mai, ad altri sì purtroppo. L’anno scorso si annegò un forestiero, ma era sceso a bagnarsi appena dopo mangiato.

— Bellia, — disse Maria Caterina Barcai rivolgendosi già spaventata al figlio, — hai sentito? Non bisogna mai bagnarsi dopo che si è mangiato; c’è pericolo d’annegarsi.

— Ma sì, lo so, — egli rispose mortificato perchè si accorgeva che gli altri ragazzi ridevano della paura della madre.

— Tu sai nuotare? — gli domandò il più grande. [p. 186 modifica]

— Sì.

— E dove hai imparato?

— Nel fiume.

— Ma se nel nostro fiume non possono nuotarci neppure i pesci, — disse Rosa bollandosi di lui.

— Io ho imparato in un altro fiume più grande, quello di Aar.

La serva non osò smentirlo oltre; il ragazzo grande disse:

— Allora ce lo insegnerai, perchè anche noi non sappiamo nuotare.

Egli arrossì, ma trovò il modo di salvarsi: disse con tristezza come se la cosa fosse vera:

— Il Dottore mi ha proibito di nuotare, per non forzare la mano.

— La tua mano guarirà presto, — gli disse per confortarlo la nuora degli ospiti che allattava un bambino lasciando vedere con un candore di madonna la sua mammella ambrata un po’ lunga come un grande acino d’uva.

— Il mare guarisce ogni male; eppoi quest’anno è un anno benedetto per la [p. 187 modifica]nostra famiglia perchè il suocero mio è priore delle Anime, e questo porta fortuna.

Bellia domandò subito spiegazioni: e tutti i ragazzi saltarono su a dargliele, ma il vecchio li fece tacere con un cenno duro. Era una cosa di cui egli aveva molto rispetto e non bisognava profanarla; ne parlò lui non senza una certa vanità.

— Si tratta di questo. Da noi esiste una confraternita antica che si dice delle anime, ed è per seppellire i morti. Tutti gli anni viene eletto il priore, cioè il capo; questa confraternita dunque va a prendere il morto, s’incarica dei funerali, delle esequie, del seppellimento: la famiglia sia ricca o povera non paga che mezzo scudo per una messa. Il priore invece è obbligato alle altre spese e a dar del buon vino a volontà ai confratelli di ritorno dal funerale. Però si dice che durante l’anno non gli accadano disgrazie e tutte le sue cose vadano bene. Le anime dei morti vigilano su lui. Sarà vero, non sarà vero? Certo che io quest’anno sono tranquillo e sereno come un pesce in una cala solitaria; tutto [p. 188 modifica]mi va bene; i ragazzi sono sani, il raccolto è stato buono. E spese ne ho avute e ne ho, con le anime! Perchè mentre gli altri anni la mortalità era poca, quest’anno con la peste spagnuola e altre diavolerie la gente muore a grappoli. Anche tre morti in un giorno: e il vino costa sempre più caro e quei diavoli di confratelli quasi tutti vecchioni senza conforti di gioventù hanno sete come i ragazzi dopo una corsa. Io sono contento però: mi dispiace per la gente che muore, per lo più giovani donne e fanciulli, ma mi pare che le loro anime vigilino su di me come tanti angeli. Dopo tutto i confratelli bevono alla salute eterna delle anime: è questo che porta fortuna. Beviamo anche noi, alla salute dei nostri corpi.

La conclusione fece ridere di nuovo i ragazzi; anche i grandi risero e una luce di speranza e di fede tremolò sul viso di Zebedeo e negli occhi di Maria Caterina Barcai. Anche lei avvicinò il bicchiere alle labbra: e gli sguardi di tutti si rivolsero alla mano di Bellia. [p. 189 modifica]