Il Fisiofilo

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latino

Pietro Rosati XIX secolo Giovanni Rosati Indice:Rosati, Pietro – Carmina, 1887.djvu Letteratura Il Fisiofilo Intestazione 30 maggio 2023 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Carmina (Rosati)
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IL FISIOFILO.

o

L’amatore della natura.

Rure ego viventem, tu dicis in urbe beatum.

Me di fama non vago alti palagi
Che invidia il vulgo, d’ostro d’ôr lucenti
Di prenci albergo e di mordaci cure,
Non allettino: addio, cittadi; io lunge
Vivrò dal vostro strepito in solinghi
Luoghi sotteso umil tugurio, ostello
Da procelle sicuro, ove allo sguardo
Senza tumulto alcun queto e tranquillo
Le meraviglie sue m’offra natura.

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Ecco già riede la stagion de’ fiori,10
E all’aleggiar di zefiro le fronde
Scherzano tremolando ai rami intorno.
Deh! che turbi non sia miei dolci sonni
Col suo rauco fragor stridulo ordigno
Astretto ad indicar l’ore notturne.
Sazio l’albor mi desti per lo fesso
Del finestrin furtivo entro meando
Poichè sgombrata abbia dal ciel la notte.
Le orecchie ancor mi vegna ricreando
Degli augelli il garrir che per le folte20
Cime l’astro salutano che nasce,
Finchè i lumi guizzanti a poco a poco
Lasci il sonno, e il vigor torni alle vene.
O madre del creato alma natura,
Quanta i sensi dolcezza e il cor mi molce

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Quando te miro al ritornar del giorno!
Certo d’esto più bello non sorrise
Quel vago dì, che l’alma luce al mondo
In pria rifulse, e di fioriti prati
Sparse e di boschi e verdeggianti erbette30
Il suol novello; tale era la vita
Pura e tranquilla dell’antico Padre
Onde fu l’uman genere, cui fea
Pago il cenno di Dio e i don terrestri.
Fuor dell’adriaco mar pel roggio calle,
Sovra cocchio da ignivomi cavalli
Tratto già monta il sol, quinci di vari
Mille color si pingono le cose;
E per l’immenso pelago le azzurre
Vie rischiararsi d’ogni lato è bello40
Vedere, e tutta tremolar ai rai
E brillar l’onda. Quì dove vestite

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D’erbe le valli giacciono, spaziosi
Stendonsi a destra ed a sinistra i campi
I quai traversa il fiumicel che in bianca
Ghiaia si frange, e a cui d’intorno spiega
La non mai stanca rondinella il volo.
E dove amene sorgono colline
Quì boschi vedi e folte macchie, e in mezzo
Di tigli e querce nereggiar cipressi50
Tra il verde, e rare biancicar le case,
Sol d’arte fregio alla natura. Ovunque
Io mi diletti o dei boschetti al rezzo,
O pei prati novei mover le piante
Io mi sollazzo ovunque. Ecco già guizza
Fuor dell’ombrosa amata siepe il nero
Merlo squittendo; il rampicante picchio

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Variopinto a covar l’alber pertugia
Ed il giallo rigogolo ne’ rami
D’elce sospende de’ figliuoi la cuna.60
Nè mai si stanca per la densa ombria
Di garrir la vocale capinera;
Ma il soavo usignuol che mai non serba
Una legge in cantar, re de’ pennuti
Via più che gli altri fa echeggiar lo selve.
Quante delizie quanti offre diletti
Negli animai domestici natura!
Ecco la chioccia provvida ch’uscita
Testè del chiuso il pigolanto branco
Mena fuor de’ pulcini, ed a diletto70
Erra crocciando per li campi, ed ove
Infra la paglia o nella pula in chicchi
Di gran s’avvegna, con più acuto grido
I figli appella razzolando, ond’elli
Traggono frettolosi a quei d’intorno
Graditi semi e cerca ognun suo pasto

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Per lo sollo terren menando il piede,
Avidamente empiendo il voto gozzo.
Quale da lungi ahimè! lagno improvviso
Le orecchie mi percuote, e da cotanta80
Letizia mi disvia l’alma raccolta?
Ecco traendo il lento piè, spossato
E ignaro della via t’offri al mio sguardo
Pulcin novello ed ultimo dei nati
Della madre delizia, a lei fra tutti
Più caro, che di lei smarrito in traccia
Mentre incauto t’affidi al campo aprico,
Più la madre non vedi, cui nascose
Già oltre in suo cammin siepe frondosa.
Ma non si tosto ella ode i tuoi lamenti,90
Parle veder l’immagine del nibbio,
E in aspro suon la voce più levando

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Tutt’arruffata riede in tuo soccorso
Forte temendo per sì cara vita.
Del alcun non mi consigli al derelitto
Porgere aita, che dal curvo rostro
Nullo schermo s’avria la mano e il viso.
L’ira appieno non muor mentre del figlio
Ricuperato si rallegra, e gli altri
A sè chiamando tutti li raccoglie100
Sotto l’ali materne, e con le piume
Li riscalda del sen; volonterosi
S’acquattan tutti, chè proteso il gozzo
Lor troppo è grato il placido riposo;
Fan cenno intanto con leggier pispiglio
Quai sensi il core beino di figli
Sotto la madre. Ed ecco a poco a poco
Dal materno calor prender vigore
Le tenerelle membra: o dolce vista!
Qual di flavo color mostra desio110
Di spirar l’aura e di mirar la luce,

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Ed infra la materna ala e la costa
Fa capolino: qual co’ piè s’aita
E con le alucce e ardito un salto spicca
Sul dosso della madre; e qual chiazzato
S’inerpica pel collo e va superbo
Di farsi al piè del vertice sgabello.
Nè diletto minor porgon gli adulti
Capricciosi in lor gare: ecco che a fronte,
O amor li punga, o della cresta orgoglio,120
Co’ curvi colli e minacciosi rostri
Sta l’un dell’altro, del rival spiando
E sensi o moto: a più a più rosseggia
Il guardo e più s’accende in foco d’ira,
Ve’ quinci e quindi balenar le teste:
L’un sul capo dell’altro ergesi altero
A dar principio all’accanita zuffa.
Ratto questi del rostro un fiero colpo

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Meditato già salta, e l’altro schiva
Con celer moto l’aggressore, insieme130
Nel montar su, insieme ancor nel calo.
Riedono alla tenzon, cresce il furore
E d’acre bile più s’infiamma il petto.
Quand’ecco il primo all’inimico addosso
Disperato si spicca e un picchio assesta
Feroce sì che alfin la cresta afferra
E’l dimena gemente e lo trascina
Nè avvien che il lasci se pagato il fio
Pria non abbia col sangue: il vincitore
Ne va superbo, e aperto al canto il largo140
Varco, chicchirichì tre fiate grida,
E tante il suol, bassando l’ali, spazza.
Ma contento miglior maggior sollazzo
Nell’umil tetto si nasconde: arredi
Quì vili e scarsi, ma candor d’affetti

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E pudici costumi, antica fede
E s’ha Religion qual merta onore.
Là ’ve d’un colle il facile pendio
Giace, d’un orticel confine al margo
Squallido antico affumicato siede150
Un casolar su cui suoi larghi rami
Frondoso spande un tiglio: in quel che il campo
Il bifolco ad aprir suda, e la nuora
Fuori le pecorelle a pascer caccia,
Soletta a guardia della casa stassi
La vecchieralla, sperta a fuoco lento
Di cuocere i legumi, e con le braccia
Già tremolanti dondolar la culla
Ricantando la nanna, onde al bambino
Il sonno si concili. Or mentre ch’ella160
È tutta i cibi ad allestir intenta
Per chi fatica e stuzzica le brace
E dal piccol paíuol toglie la schiuma;

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Ve’ la gattina che spoppata appena
Balda di giovinezza, erta la coda
Lietissima saltella baloccandosi
A un gomitolo intorno, il qual co’ piedi
Volve e rivolve, ed anco in alto il balza,
E mollemente ripiegando in arco
La schiena co’ zampin, gira e rigira170
Qual pinto da flagel paleo rotante.
Supina gode or palleggiarlo, come
Tra branche avesse topolin mal vivo
Cui tra poco a ghermir paterno istinto
Della tacita notte in fra gli agguati
Le apprenderà coll’uncinato piede
Desïato bottino; e denti ed unghie
Così addestrando. Che se errar fra ’l pelo
Senti la pulce che le addenta i fianchi,

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Ponsi a seder di botto, e senza posa180
Tenta col ceffo e gratta coll’artiglio
Se dal seno scovar possa il molesto
Nemico. Intanto co’ trastulli suoi,
La richiama il micino emul fratello:
Frode ella simulando in pria con lento
Moto s’avanza quattamente, scagliasi
Poi sopra lui ratto ch’ei vien da presso
Qual folgore, e de’ piè fra lor conserti
Naspo fanno e viluppo; un brulichio
Per l’aura fa lo spesseggiar de’ colpi.190
Tregua alla giostra: di lasciare il campo
Venuto è il tempo, ed eccoli repente
Salti spiccando con arcato dosso
L’uno e l’altra sgusciar per via diversa,
E di corsa aggrapparsi a quelle imposte
A cui prima s’avvengono; dell’unghie
S’ode lo sgretolar: ma se fancello

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Per caso appaia con in man la ferza
Di lancio si dileguano, le busse
Temendo, e sotto l’ombra a ricovrarsi200
Corron d’un letto, donde dalle nari
Spiran minacce e fan degli occhi lampa.
Dell’orto intanto dai sentieri erbosi,
Ovver de’ tetti il culmine lasciando,
Riede la madre a passo lento, e appena
Appar dell’uscio sulla soglia e miagola,
Traggono i figli al noto suon di sotto
Al covile, e saltellano d’intorno
Alle mammelle, e mentre l’un le afferra
La coda co’ zampin, l’altra s’atterga210
Alle vellose coste: ella de’ suoi
Tenera non li sdegna e con la lingua
Li vien forbendo e careggiando insienie.
Lei frattanto rimira antiveggente
La vecchierella che alla rocca presso

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Al vieto focolar tragge la chioma,
Posata il piò lambirsi il muso e gli occhi
Lisciarsi; a certi segni indi argomenta
O i dì piovosi o il ciel seren: se forbe
Il piè le gote dalla fronte ai baffi,220
Nitidi giorni e senza un nugol l’etra
N’è lecito sperar, ma se trascenda
Tai termini e alla nuca alto trascorre
Le cave orecchie comprimendo, allora
Vedrai per tutto infuriar procelle
E cadere dal ciel l’acqua a bigonce.
Degli altri che dirò lieti spettacoli
Che mi restano a dir? quando all’occaso
Diretro alla collina il sol dichina
E su l’occidue piagge i ranci spande230
Purpurei rai? Già di lontan gli agnelli

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Ver la casa approcciar senton le madri
Turgide le mammelle, e dall’ovile
Tentan di sprigionarsi; la campagna
Di belati risuona: alfin dischiusi
Corron precipitosi ognun la propria
Madre cercando, e cupido alla dolce
Poppa s’apprende. Il can bau bau latrando
Saltellon fassi a’ suoi padroni incontro
Cenni facendo del gioir la coda.240
Già deposto dal collo il giogo, e stanchi
Al presepe tornar vedi i giovenchi.
Già reduci il marito e la consorte
La casipola accoglie, i quai la suocera
Saluta in lieti accenti: indi sul desco
Pon verzotti e fagiuol lessi, e d’agnello
Un capo arrosto cui savore intorno
Fa sbricciolato pan con ramerino.
Ma più vigile cura in petto siede

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Alla madre: ella memore del bimbo250
Sua delizia ed amor vola alla culla
A disbramarsi nel desiato aspetto.
Il bambol biondo e ricciutello al riso
Affigura la madre, e le manine
Ver lei levate gongola d’andarle
Infra le braccia, e co’ suggenti labbri
Dalla gradita poppa avido pende,
E mille e mille s’ha baci e carezze.
Siedono a desco; nè l’amato pegno
Ella depon sollecita dal petto260
E si compiace a capo chin le guance
Vermiglie vagleggiarne ei vivi occhietti,
E in ridente mostrarlo atto soave
Al tenero marito; a quel sorriso
Il sorrider del padre e della madre
E il sorrider dell’avola risponde.

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Veramente felici! a quella vista
Io non batto palpebra: incolto o quasi
Il semplice costume, il maritale
Verace amor, che più? l'aspetto istesso270
Che la pura rivela alma tranquilla
Mi rapiscono i sensi. Io lieto, io pago
Grido: con tai costumi il secol d'oro
Tornerebbe per fermo e l'aurea pace;
E senza gloria tu borusso Fabbro
Correresti a serrar le tue fucine
Di stragi e morte apportatrici al mondo.