Il Negromante/Atto quarto

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Atto quarto

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Atto terzo Atto quinto
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ATTO QUARTO.




SCENA I.

FAZIO, TEMOLO.


Fazio.Sta pur sicura,1 ch’io non son per dargliene
Un soldo, prima ch’io non vegga l’opera
Degna della mercede. — Or ecco Temolo.
Temo che apposto ti sia, che l’astrologo
Sia una volpaccia d’inganni e d’astuzie
Piena.
Temolo.             Non volevate dianzi credermi.
Fazio.E temo ch’avrem dato a Cintio un pessimo
Consiglio, a fargli dir quel che al martorio,
Se avevamo cervel, dir non dovevasi.
Temolo.Che c’è di nuovo?
Fazio.                              Ci è, che assai mi dubito
Che, poi che sa come le cose passano,
Non faccia con qualche arte dïabolica,2
Che Cintio levi da Lavinia l’animo,
E che tutto lo volga a questa Emilia.
Pur dianzi m’è venuto a trovar Cintio,
E domandato m’ha con molta instanzia

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Cinquanta scudi per pagar lo astrologo;
Chè tanti gli ha promesso. Io volea intendere
Di parte in parte quel che insieme avessino
Parlato, e quel c’ha promesso lo astrologo
Di far; e appena si degnò rispondermi.
Se non che disse: — Fa pur che si truovino
Oggi questi danari, nè ti prendere
Cura. Il successo fia che ti significhi
Quel ch’abbiamo concluso insieme. — E dettomi
Così, mi si levò dinanzi pallido
E cambiato nel viso e d’un’altra aria,
Nè più parea quel Cintio ch’egli è solito:
Sì ch’io sto in gran timor che questo perfido
Ce l’attacchi; e che già qualche principio
Dato abbia, e mezzo guasto sì buon animo.
Temolo.Ho io ancor questo timor medesimo
Per altri segni; e tra gli altri, che il perfido
S’è partito da Massimo, con ordine
Di mandar una cassa di mirabile
Virtude: e vuol che la si facci mettere
A canto al letto ove li sposi dormono;
Ch’avrà forza di far che insieme s’amino,
Se ben fosse tra lor capital odio.
Fazio.Quando disse mandarla?
Temolo.                                          Maravigliomi
Che non sia qui. Disse mandarla subito
Che fosse a casa.
Fazio.                                Egli n’ha senza dubbio
Ingannati. Ah rubaldo!
Temolo.                                       Rubaldissimo!
Fazio.Ma altrettanto3 noi sciocchi, ch’aperto la
Strada gli abbiamo onde ne viene a nuocere;
La qual non era per trovar, se avessimo
Me’ saputo tacer.
Temolo.                            Or, non avendola
Taciuta, che faremo?
Fazio.                                    Trovar Cintio
Bisogna, ed avvertirlone. Che diavolo
So io? Ma dimmi: è in casa?
Temolo.                                                No.

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Fazio.                                                    Saprestimi
Insegnar ove sia?
Temolo.                              No.
Fazio.                                   Pur trovarnelo
Bisogna, e far ch’egli venga Lavinia
A racchetar, che non fa se non piangere,
Sì che mi par che a strugger s’abbia in lagrime:
Ed io ne son ben stato causa, avendole
Detto ch’io stava in timor che lo astrologo
Non facesse, per arte dïabolica,
Raffreddar verso lei l’amor di Cintio.
Temolo.Ah tu facesti mal! Ritorna, e lievale
Questo timor, che non ci è quel pericolo
Che le hai dipinto.
Fazio.                                Ci bisogna altr’opera
Che la mia! Fin ch’ella non vegga Cintio,
Non è per confortarsi.
Temolo.                                    Dunque truovalo.
Fazio.Anderò in piazza.
Temolo.                            Va; sarebbe facile
Che tu ’l trovassi... Tu non odi? Ascoltami.
Me’ lo potresti ritrovar traendoti
Verso l’albergo ove alloggia lo astrologo,
Chè forse gli è con lui. Ma dove torni tu
Con tanta fretta?
Fazio.                            Ah! che la cassa arrecano
C’hai detto.
Temolo.                      Ov’è?
Fazio.                                Vieni ov’io sono; vedila.
Temolo.Chi la porta?
Fazio.                      Un facchin.
Temolo.                                        Solo?
Fazio.                                                  Accompagnala
Pur quel suo servitore.
Temolo.                                      Ècci lo astrologo?
Fazio.L’astrologo non ci è.
Temolo.                                  Non ci è?
Fazio.                                                  Non, dicoti.
Temolo.Lascia far dunque a me.
Fazio.                                        Che vuoi far?
Temolo.                                                            Eccola.
Avvertisci a rispondermi a proposito.

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Fazio.Che di’ tu? Ma con chi parl’io? ove diavolo
Corre costui? Perchè da me sì subito
S’è dileguato? Io credo che farnetichi.


SCENA II.

NIBBIO, FACCHINO e detti.


Temolo.O terra scelerata!
Fazio.                            Di che diavolo
Grida costui?
Temolo.                       Non ci si può più vivere:
Tutta è piena di traditor...
Fazio.                                            Che gridi tu?
Temolo.E d’assassini.
Fazio.                       Chi t’ha offeso?
Temolo.                                                O povero
Gentiluomo!
Fazio.                    Mi par che tu sia...
Temolo.                                                  O Fazio,
Gran pietà!
Fazio.                    Che pietade?
Temolo.                                        Oh caso orribile!
Non m’ho potuto ritener di piangere
Di compassione.
Fazio.                         Di che?
Temolo.                                        Ahimè! d’un povero
Forestier c’ho veduto or ora uccidere
D’una crudel coltellata che datagli
Ha un traditor sul capo, che nel volgere
Del canto lo attendéa.
Fazio.                                   C’hai tu a curartene?
Temolo.Io gli avéa posto amor, perchè dimestico
Era di casa nostra. Conoscevilo
Tu?
Fazio.        Che so io, se prima non lo nomini?
Temolo.Ed io non so se sia spagnuolo, o astrologo,
O negromante: lo chiaman lo astrologo.
Nibbio.Misero me! Che di’ tu dell’astrologo?
Temolo.Oh, non t’aveva visto ancor, non eri tu
Suo servitor? Il tuo padrone pessima-
mente è stato ferito, e credo morto lo

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Abbia un ribaldo, il qual l’attendéa al svolgere
Del canto.
Nibbio.                Aimè!
Temolo.                           Dietro il capo gravissimo
È il colpo: ognun v’accorre.
Nibbio.                                             Ah! per Dio, insegnami
Dov’egli è.
Temolo.                  Va diritto fin al svolgere
Di questo canto; indi a man manca piegati,
E corri, e quando tu se’ a San Domenico,
Volta a man destra, e fa ch’ivi ti mostrino
La, via d’andare all’ostaria del Bufalo.
Ma che voglio insegnar? Non è possibile
Errar: va dietro agli altri: grandi e piccoli
V’accorron tutti.
Nibbio.                            O Dio!
Temolo.                                        Non posso credere
Che il trovi vivo.
Facchino.                            E dove ho io a mettere
La cassa?
Nibbio.               O mastro Jachelino misero,
Ben te lo predicevo io!
Fazio.                                 Che farnetichi?
Dove, in sì poco tempo che levato mi
Sei da lato, hai sognato queste favole?
Facchino.Vada a sua posta; non gli vô già correre
Dietro. Almeno sapess’io, dove ho a mettere...
Temolo.Tu l’hai da por qua dentro: vatti scarica4
Dove costui ti dirà. Voi mostrateli
Dove il padron ci disse, nella camera
Di sopra, a canto il letto di Lavinia.
Fazio.Di Lavinia?
Temolo.                    Dovreste pur intendere.
Fazio.T’ho inteso.
Temolo.                    Poi pagatelo e mandatelo
Via, ch’io non vô cessar ch’io truovi Cintio.


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SCENA III.

CINTIO, TEMOLO, FAZIO, FACCHINO.


Cintio.Io truovo finalmente che rimedio
Altro non ci è, che far che paja adultera
Costei.
Temolo.          (Eccol, per dio!)
Cintio.                                        Darmi ad intendere
Vuol pur, che potrà poi acchetar facile-
mente la cosa, e non ci sarà infamia
Alcuna.
Temolo.            Credo v’andiate a nascondere
Quando a’ maggior bisogni vi vorressimo.
Cintio.Che bisogni son questi?
Temolo.                                      Se Lavinia
Non ite tosto a consolare, ho dubbio
Che morta poi la ritroviate.
Cintio.                                             Ah! Temolo,
Che l’è accaduto?
Temolo.                              È in tal timor la misera,
Che questo negromante con malefica
Arte vi faccia mutar di proposito,
Che si strugge, e uno svenimento d’animo
L’è venuto.
Cintio.                    Non tema.
Temolo.                                     E sta malissimo.
Cintio.Io vo a lei.
Temolo.                  Per vostra fè...
Fazio.                                             V’ha, Cintio,5
Detto costui come Lavinia?...
Cintio.                                                  Or eccomi
Ch’io vengo per cotesto.
Fazio.                                        Confortatela.
Non avresti potuto pensar, Temolo,
Meglio.
Temolo.          Pagate il facchino, e mandatelo
Pur via, e mandatel ben lontano e subito.

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Fazio.Ve’, questo è un grosso: fammi anco un servizio.
Facchino.Lo farò.
Fazio.              Va alle Grazie, e di’ al vicario,
Ch’io mando a tôr da lui quelli raponzoli6
Di che jer gli parlai.
Facchino.                                  Credo ci sieno
Più di due miglia.
Fazio.                              E sian: vuoi, se non, essere7
Pagato?
Facchino.              Da cui parte hogli io da chiedere?
Fazio.Da parte di Bertel che fa le maschere.
Facchino.Io vo.
Fazio.            Va sì lontan che non ci capiti
Mai più innanzi. Or vedrai, che se far utile
Questa cassa incantanta o beneficio
A donna debba, al cui letto s’approssimi,
Che farem farlo alla nostra Lavinia;
Non come avea disegnato lo astrologo.
Temolo.Voi dite il ver; ma meglio ancora vogliovi
Insegnar.
Fazio.                Di’.
Temolo.                       Venite su, e rompiamola
In pezzi, in fondo a un cesso sotterriamola,
O bruciânla più tosto, chè non n’odano
Mai più novella; e s’avvien che ritornino
Qui col facchino e voglino repeterla,
Gagliardamente potiate rispondere
Che il facchin mente e non san che si dicono.
Apri lor gli usci, e lascia che la cerchino
Per tutto.
Fazio.                  Noi ci porremo a pericolo
Di ruinar la casa, che certissimo
Sono che tutta sia piena di spiriti.
Temolo.Voi date fede a tai sciocchezze? Oh semplice
Uomo! Sopra me sia tutto il pericolo.

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Datemi una secur;8 farò gli spiriti
E le schegge volar insieme all’aria.
Ecco torna il famiglio dello astrologo:
Me non côrrà egli qui. Dategli, Fazio,
A mangiar qualch’altra ciancia, e spingetelo
Via; ch’io voglio ir di sopra, e mi delibero
Di far che più la cassa mai non trovino.


SCENA IV.

NIBBIO, FAZIO.


Nibbio.Che uomini oggi al mondo si ritrovano,
Che si dilettan, senza alcun loro utile,
Di dar tuttavía a questo e a qual molestia!
Ma io, babbion, che mi credeva d’essere
Il maestro di dar la baja, trovomi
Ch’io non son buon discepolo, chè correre
Sì scioccamente m’ha fatto una bestia.
Io me ne andavo quanto più potevanmi
Portar le gambe, e con gridi e con gemiti
Iva chiedendo a quanti m’incontravano,
Del luogo ove ferito o morto il misero
Mio padrone giacesse; ed ecco sentomi
Dalla sua voce richiamar. Rivolgomi,
E veggo lui, così ben sano ed integro
Com’io l’avéa lasciato, che m’interroga
Se la cassa ripôr secondo l’ordine
Avéa fatto. Io non potéa risponderli
Pel gaudio: pur finalmente raccontoli
Quel ch’un ghiotton m’avéa dato ad intendere.
Egli per questo m’ha fatto un grandissimo
Romor e scorno, e rimandato subito
Dietro alla cassa, della quale carico
Ho lasciato il facchino, nè avvertitolo
Dove l’avesse a portare: e pur volgomi
Intorno, e non lo so veder. U’ diavolo
S’è dileguato costui? Ma informarmene
Saprà quest’uom dabbene! — Che è del giovene

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Che m’ha dato la corsa?
Fazio.                                        Non deve esserti
Maraviglia, perchè tener è solito
In stalla barbareschi, e farli correre:
E veramente t’avrà tolto in cambio
d’un cavallo.
Nibbio.                    In buon’ora, avrò da rendergli
Forse una volta anch’io questo servizio.
Ma del facchin che costi lasciai carico,
Sapete voi novella?
Fazio.                                Un pezzo in dubbio
Stette dove la cassa avesse a mettere,
Poi si risolse alfin d’andarla a mettere
In gabella, ed andòvvi.
Nibbio.                                     Ah, facchin asino,
Indiscreto, poltron!
Fazio.                                  Ben potrai giungerlo,
Se corri un poco. — Corri pur, chè il palio
Ben serà tuo. Ma non è quello Abbondio,
Padre di Emilia? Non credo sia numero
Alli ducati d’esto vecchio misero.


SCENA V.

ABBONDIO, FAZIO, CAMILLO.


Abbondio.M’incresce più ch’io vegga in bocca al popolo
Questa cosa, che d’alcun altro incomodo
Che ci possa accader. Ho da dolermene
Con Massimo, il qual è stato potissima
Cagion che se ne fanno in piazza i circoli.9
È ito a trovar medici ed astrologhi
E incantatori, e fatto ha solennissime
Pazzíe che appena i fanciulli farebbono.
Fazio.(T’avessi pur in prigion, che sei milia
Fiorini avrei da te, prima che fossino...10
Chi è questo fante che in farsetto sgombera

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Di casa mia con tal fretta?)
Camillo.                                              Oh pericolo
Grande!
Fazio.             (È Camil Pocosal. Chi condotto lo
Avrà mai qui?11 Dio m’ajuti!)
Camillo.                                                    O perfidia
D’uomini scellerati!
Fazio.                                   (Quando diavolo
Entrò qua dentro?)
Camillo.                                 Oh caso spaventevole!
Oh pericolo grande! oh gran pericolo,
A che son stato qua su! Di chi debbomi
Fidar mai più? se quei che beneficio
Hanno da me ricevuto e ricevono
Tuttavía...
Fazio.                (Che grida egli?)
Camillo.                                               Mi tradiscono!
Bontà divina, che tanta ignominia,
Che tanto mal non hai lasciato incorrere!
O giustizia di Dio, che fatto intendere
Tal cose m’hai, che non mi dê rincrescere.
Per saperle, ch’io sia stato a pericolo
Di lasciarci oggi la vita!
Fazio.                                        (M’immagino
Che qualche gran ruina n’ha da opprimere.)
Camillo.Ma da chi aver in presto ora potrebbesi,
Da pormi sul farsetto, almeno un picciolo
Mantellino, per ire a trovar subito
Abbondio...
Abbondio.                  (Chi è quel che là mi nomina?)
Camillo.E fargli intender quanto, a suo perpetuo
Scorno, e della figliuola, ed a ignominia
Di casa sua...
Abbondio.                         (Dio m’ajuti!)
Camillo.                                                  Cercavano
Di far questi ribaldi?
Abbondio.                                   (Mi pare essere
Camillo Pocosale: è desso.)
Camillo.                                             Abbondio,
Non volevo altro che voi.

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Fazio.                                            (Non può nascere
Altro di qui, che danno ed infortunio.)
Abbondio.Io ti veggo così in farsetto e in ordine
Per giocar forse alla palla? Provvedeti
Pur d’un altro che sia a questo esercizio
Miglior di me, ch’io non ci son molto agile.
Camillo.Non12 per giocar con voi a palle, Abbondio,
Vengo a trovarvi; ma per farvi intendere
Che vi sbalzano più che palla, e giôcano
Sul vostro onor e della vostra Emilia
A gran poste. Qua dentro il vostro genero
Ha un’altra moglie. Ma, per dio, traemoci
In una casa di queste più prossime;
Ch’io mi vergogno d’apparir in pubblico
Così spogliato.
Abbondio.                        Andiam qui in casa Massimo.
Camillo.Più tosto vô ch’andiamo in casa Massimo,
Che d’alcun altro; e ch’egli m’oda.
Fazio.                                                            Temolo,
Temolo; or presto va lor dietro, e sforzati
Di udir di che Camillo si rammarica.
Aspetta, aspetta, che fuor esce Cintio.


SCENA VI.

FAZIO, CINTIO, TEMOLO.


Fazio.Cintio, che cosa è questa? come diavolo
Era costui qua dentro?
Cintio.                                        Appunto il diavolo
Ce l’ha portato. Ma chi ha fatto mettere
Una cassa qua su, ch’era dato ordine
Che fosse messa in casa nostra?
Fazio.                                                    Temolo
Ed io ce l’abbiam fatta or ora mettere.
Cintio.E voi or ora, e Temol, ruinato mi
Avete, e le mie spemi13 e di Lavinia,
Sostenute fin qui tanto difficile-
mente, avete sospinte in precipizio.

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Perchè l’avete voi fatto?
Fazio.                                          Per rompere
Il disegno all’astrologo, certissimi
Che col mezzo di quella cassa studia
Di tradirvi.
Cintio.                  E perchè almeno non dirmene
Una parola, e non lasciarmi incorrere
In tanto error? Da voi, non dall’astrologo,
Son tradito; chè in quella stava un giovene
Nascosto, il quale ha inteso, per vostra opera,
Sì come tutta io la dicéa per ordine
A Lavinia, una trama che sapendosi,
Come si sa,14 son, per dio, giunto a termine
Che mi saría meglio esser morto. Or ditemi
Dov’è ito Camillo, questo giovane
Che di qui è uscito; acciocchè, supplicandoli,
Donandoli, offerendoli, facendomi
Suo schiavo eterno, io lo vegga di muovere
A pietà de’ miei casi, sì che tacito
Stia di quel c’ha sentito? Ma impossibile
Sarà placarlo, chè d’avermi in odio
Ha cagion troppo giusta.
Fazio.                                        Potete essere
Certo di venir tardi, perchè Abbondio
È, nel saltar fuor di casa, venutoli
Scontrato; al qual, come potéa, summaria-
mente (chè appena lo lasciava esprimere
Parola a dritto la stizza e la collera)
Ha contato ogni cosa.
Cintio.                                   Non è misero
Uomo al mondo, col qual non cangiassi essere.
Tosto che il vecchio il sa (che è necessario
Che lo sappia di tratto15), oh Dio! a che termine
Son io?
Fazio.            Fate pur conto che lo sappia;
Chè a lui Camillo drittamente e Abbondio
Son iti, e senza dubbio già narratoli
Hanno il tutto.
Cintio.                        Sono iti insieme a Massimo?
Fazio.Sì, sono.

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Cintio.             Io son spacciato, io son morto! Apriti,
Apriti, per dio! terra, e seppelliscimi.
Fazio.Non è così da disperarsi, Cintio,
Ma da pensare e molto ben rivolgere,
Se c’è provvisïone, se rimedio
Si può far qui.
Cintio.                         Nè provveder, nè prendere
Altro rimedio so, che di fuggirmene
Tanto lontano, che giammai più Massimo
Non mi rivegga. Aspettar la sua collera
Non voglio. Addio. Vi raccomando, Fazio,
La mia Lavinia.
Fazio.                           Ah dove, pusillanimo,
Fuggite voi? — Se n’è andato. Va, Temolo,
In casa, e diligentemente informati
Di tutto quel che accade, e riferiscimi.
Temolo.Così farò. Tu costà dentro aspettami.




Note

  1. A Lavinia, nell’uscire di casa. — (Pezzana.)
  2. La dieresi posta al principio di questa parola, basta a render giusta la misura del verso. Ma potrebbe ancora considerarsi che in certi parlari d’Italia (nel romanesco in ispecie) l’ultima vocale di qualche pronunciasi con tanta forza, che spesso induce gl’indotti a scrivere qualchè.
  3. Ediz. Giol.: altrotanto. Il Pezzana racconciò la misura a suo modo: poi ch’aperto la.
  4. Modo in tutto conforme al già fatto osservare nella Lena, lin. 32 della pag. 333.
  5. Così, col Giolito, ancora il Barotti; nè so d’onde altri cavassero quella ricantazione: Vo a lei. — Per vostra fede. — V’ha egli, Cintio.
  6. Chi prima avéa qui cambiato raponzoli in raperonzoli, il fe certo per non aver trovato ne’ vocabolari il primo de’ due, che è pure nell’uso di gran parte d’Italia, e più conforme alla latina origine rapunculus.
  7. Il solo Barotti legge: vuoi non essere. Abbiamo nella puntuazione seguito il signor Tortoli, che pur dubitando d’errore corso ab antico in tal passo, ne propose questa spiegazione: «Se non vai, se non mi fai questo servizio, vuoi tu, pretendi tu di esser pagato?»
  8. Il Pezzana (se per ignoranza non offendiamo qui l’ombra sua) alzò il tuono dalla commedia insino alla tragedia, mutando: «Diasi una scure a me.»
  9. Notarono il vocabolo, non però la bella e pittoresca frase, gli aggiuntatori di Verona.
  10. Queste parole sono dette da Fazio, respettivamente al ricco Abbondio, che l’ingordo avrebbe (come sembra) voluto avere in poter suo per cavarne in poche ore qualche gran taglia.
  11. Così legge ancora il Barotti. Le più antiche hanno, con difetto di più sillabe: Ha qui.
  12. Ant. stamp.: .
  13. Spemi, al plur., non molto frequente ne’ lirici, dovrà nei versi comici parere anche più singolare.
  14. Qui legge il Giolito: Come si sia; e il Bortoli: Come sia.
  15. Le stampe antiche pongono di tratto fuori della parentesi.