Il Novellino/Parte terza/Novella XXVII

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Novella XXVII - Una donna abbandonata da l'amante va per ucciderlo, abbattese col Reggente, la fa con l'amante rapacificare, e tornano a godere

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Novella XXVII - Una donna abbandonata da l'amante va per ucciderlo, abbattese col Reggente, la fa con l'amante rapacificare, e tornano a godere
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NOVELLA XXVII.




ARGOMENTO.


Una donna abbandonata dal suo amante si traveste in uomo e va per uccidere l’amante, è presa dalla famiglia della Corte; ricerca il Podestà che a la vendetta la voglia accompagnare: lui per vedere l'animosità de la donna va con lei, e conosciuta la sua virilità, con l’amante la repacifica, e usale grandissima cortesia, e lasciali nel pristino amore integrati.


A LA ECCELLENTE CONTESSA DI BUCCHIANICO.1


ESORDIO.


Non avendoti tanto tempo nè con lettere nè con persona, magnifica ed eccellente mia Donna, visitata, sono da tale mancamento de continuo stimolato di il commesso errore in alcuna parte ristorare. Mandoti adunque la presente singolare novella, come a colei che singolare tra le donne ho sempre giudicata. Ricevila ti supplico, virtuosissima mia Contessa, con quella tenerezza de core con la quale te la mando, però che leggendo intenderai che non che gli uomini, ma le donne, ancora che la natura in assai [p. 300 modifica]cose loro abbia mancato, possono essere di animosità grande armate.2


NARRAZIONE.


L’altro ieri fu al serenissimo mio Signore Principe per verissimo ricontato come in questi dì fu in Napoli un giovine mercante di bona e onorevole famiglia, costumato molto, e de lì beni che la fortuna dà e toglie convenevolmente dotato, il quale avendo un lungo tempo con felicità grandissima goduto con una leggiadra e bellissima giovene, dalla quale lui era unicamente amato, ed esso lei altresì sommamente amava, ognuno di loro da pari disio uniti si tenea di tale amore oltre modo contento. E perchè le cose che si possedono senza impaccio e con abbundantia sogliono le più de le volte infastidire, avvenne o che al giovine piacesse di cercare nova caccia, o che altro ne fosse stato cagione, lui senza fare altrimente motto all’amata giovene se cominciò a retraere a reto3, e non andare a lei, nè mandare nè poco nè molto; di che la donna de la novità maravigliandosi, e più volte mandato per esso che a lei andasse o le significasse la cagione del suo corruccio, e non possendone avere alcuna nè bona nè rea risposta; ed oltra che esaminando sè medesima e non trovando avere fatta cosa alcuna che di sdegno se avesse possuto gravare, estimò del certo di tale male non esserne altro che novello amore cagione. E per volersi di ciò rassicurare gli pose di molti bracchi a la coda, i quali non avendo gran tempo [p. 301 modifica]cercato, trovare che la donna non avea falsamente pensato, perchè lui era d’un’altra giovenetta invaghito, e a quella posto tutto il suo amore. Di che lei di ciò certificata, dopo lo suo amaramente piangere in tanto fiero dolore cadde che tutta si consumava, e de ira e sdegno tutta fremendo in sé cognobbe essere il suo grande amore in pravissimo odio convertito, e volentieri se avesse avuto il core del disleale amante tra’ denti se lo avria pasciuto. Pur da tale passione assalita e vinta fra sè medesima cercava tutte vie possibili di farlo con ferro o con veneno morire; e niuna facile trovandone, con animosità assai più grande che a femmina e giovene non si richiedea, deliberò del tutto lei medesima essere la omicida; e sapendo compitamente le particolarità de la casa del giovine, e come lui dormiva solo in una camera vicino un giardinetto de lato a una loggetta non molto levata da la maestra strada, e che la notte stava lui de continuo con la porta che a la loggia usciva aperta che il fresco v’entrasse, però che di estate era, propose per ogni modo lei soletta andare a ponere l’onore e la vita in periglio per vendicarse e con le proprie mani uccidere il crudele e falso amante. E senza altramente mutare consiglio avendo una scala di corda che l’amante in casa avea lasciata, e sapendo acconciamente fare l’arte dell’incroccare4 e scalare, travestitasi in uomo, e degli arnesi notturni da corseggiare adobbatasi, quando ora li parve, con un cortello avvenenato entrò in cammino; e andando de requeto per vie traverse, come in tale arte si fosse da li teneri anni esercitata, come volse sciagura, o ventura dell’amante che si [p. 302 modifica]fosse, che lei essendo allo uscire di una strata i un’altra se abbattè tra la famiglia de la Vicaria; de che lei estimò subito chi erano, e veggendose tramezzata in maniera che il fuggire non le era concesso, né a fare difesa possea le sue forze opponere, in pronto le occorse de pigliare il meno reo partito che vi fosse; e rivolta a coloro che stavano per ponerle le mani addosso, trasformando quanto possette la voce in uomo, dimandò dove il Reggente fosse. Uno di essi rispose che era ivi da presso; ai quali lei con animosità grande disse: Andiamo a trovarlo per una faccenda di grandissima importanza. E in questi termini stando arrivò fra loro il Reggente: la giovene fattaglisi centra, piano gli disse che facesse i famegli tirare da parte, e lui ciò fatto volentieri, essa il prese per mano, e cosi gli cominciò a dire: Avendomi la fama fattomi conoscere la integrità di tue virtù, e che niuna ambitione o sensualità potria quelle contaminare, ed oltre a ciò come buon cavaliere pigliare le giuste querele de le donne, io che femmina e giovene sono, non resterò di richiederti che non solo a la vendetta che a fare son mossa lasciare me debbi andare, ma anche per la virtù di tua milizia te scongiurare che una con meco di venire te disponi, e il tuo favore in ciò me presta sì ch’io possa senz’altro impedimento il mio disio ad effetto mandare. E ciò detto ogni passato accidente tra lei e l’amante successo con quello insieme che a fare andava senza resparagno alcuno pontualmente gli ricontò. Ulzina5 Reggente ciò [p. 303 modifica]ascoltando non solo ammirato ma quasi fuori di sè rimasto giudicò molto mirabile essere la virilità di colei e da grandissimo sdegno causata; e quantunque cognoscesse la giovene, che singulare in bellezza tra le altre partenopee l’avea sempre judicata, e unicamente amata, nondimeno da la gran costanzia, virtù de bon cavaliero, raffrenato, e dalla rechiesta e scongiura della donna confortato, deliberò di vincendo sé medesimo ogne lascivo pensiero cacciare via, e a un’ora a la giovene satisfare, e l'amante da tale naufragio liberare. E doppo che lei tacere vide con molte ornate parole fece prova di reumiliarla per farla del crodele proponimento remanere; e conoscendola pure nella sua ostinatione firma, e di novo richiederlo che se il suo favore non le volea prestare, non impedisse il suo cammino; de che il Reggente prese per partito de veder l’ultima esperienza de l’animo e ingegno di costei; e imposto ai famigli che ivi l’attendessero, con essa insieme verso la casa dell’amante s’avviorono. E giunti a piè la loggetta, lei preso il perticone, e inastatovi il rampiglione del ferro con la scala in quello appiccata, e destramente incroccato, leggiera come un gatto per essa su vi montò: il Reggente che di novo ammirarse ogni ora aveva cagione, per vedere a che doveva il fatto riuscire, dietro a lei anche montò, e vedendola col cortello ammanito per fornire il fiero intendimento, e sentendo l’amante forte dormire, e che di leggieri le avrebbe venuto fatto il suo [p. 304 modifica]avviso, non volse di ciò altra esperienza vedere, e pigliata la giovene per mano le disse: Sorella mia, non avrei mai creso, ancora che per verissimo mi fosse stato recontato, che in femminile spireto tanta virilità albergasse, se cogli occhi non lo avessi apertamente veduto, e chiaro cognosciuto che il tuo justissimo sdegno ha causato già lo indurti a dare con le proprie mane cruda morte a costui che più che la vita hai avuto caro; nondimeno essendo io in questa città, come tu sai, punitore dei maleficii, ninna onestà o ragione mi concede che io al commettere di tale omicidio intervenga; e oltra io non dubito per averte in tale modo trovata e vederte del tutto deliberata con empia e cruda mano costui dormendo volere de vita privare, che tu ottimamente cognosci che a morte ricevere ogni ragione te condanna, e possendotela con giustizia donare, per onesto respetto te ho donata la vita. Degna e conveniente cosa è chi riceve gratie di gratie fare. Non essere avara te supplico, e per recompensa di tanto da me ricevuto beneficio mi concedi la vita del tuo amante, la quale tu medesima confessi che più che la tua amasti; però che a non partire di qui racconcerò questa cosa in maniera che non da altro che da morte sarà il vostro amore in alcuna parte separato. La giovene donna ancoraché il furore non potesse diporre, pure cognoscendo alla fine che nulla fare possea, e da altra parte confortata da le vere ragioni di colui, il quale giustamente la vita o almeno l'onore le avria possuto togliere, le parve quietarsi a quello che il Reggente dicea. Il quale intrato in camera dove il giovine senza sospetto dormea, e presolo pei capelli il svegliò: il quale non [p. 305 modifica]senza paura e maraviglia in sé tornando di tale strana novità, dal Reggente gli fu imposto che il lume accendesse: il quale tutto timido prestissimo fece. E dopo che la donna li ebbe fatta conoscere e raccontatali la cagione di loro venuta, e con un fiume di acconce parole ripreso il suo folle adoperare, gli comandò che con la corregia a la gola le chiedesse mercè, e da qui avanti tenesse la vita in dono da lei, e, le promettesse fin che il vivere gli fosse concesso essere suo unico e fedelissimo amante. El quale cognosciuto el suo errore fe’ quanto per lo Reggente gli fu ordinato; e a lui rendute quelle debite grazie che per tanto ricevuto benefizio si richiedevano, come il Reggente e la donna volsero si rivestì, e tutti di brigata fecero a la gentile giovene insino a la sua casa onorevole compagnia. Ove essendo la donna, al Reggente rivolta con ornato parlare ringraziatolo, li si offerse in avere e in persona paratissima quanto a perfetto amico e buon fratello essere si potesse, tenendo non che l’onore ma la vita da lui in accomando; e con altre assai dolcissime parole gli donò commiato. E l’amante con lei rimasto, e rivolta la dura guerra in dolce e lieta pace, al pristino amore ritornando, senza mai di niuno passato accidente recordandosi, finché vissero godettero con felicità del loro amore.


MASUCCIO.


Non meno che mirabile si può 1'animosità della innamorata giovene estimare, non so se da soperchio amore o disfrenata libidine6 causata: e perchè [p. 306 modifica]la virtù del Reggente usata fu sì grande che ogni parlare ne sarebbe scarso, attento che quello che adoperò processe da sua propria bontà, senza niuno averneli data cagione, mostrerò appresso di una virilità grandissima per mera virtù adoperata per una mora d’altrui serva, per tenerezza de l’onore del suo caro padrone, la quale non che a vile serva ma ad ogni uomo di gran core bastevole sarebbe stata.

  1. Il Conte di Bucchianico era della famiglia Caracciolo di S. Buono. Questo Conte e la Contessa di Bucchianico accompagnarono a Ferrara Eleonora d’Aragona che andò sposa ad Ercole d’Este. V. Summonte.
  2. La novella è tra le bellissime, e questa letterina è fatta proprio con tenerezza de core.
  3. a retro
  4. da crocco, uncino.
  5. Giovanni Olzina fu Segretario del Re Alfonso I, e raccolse in sua casa Antonello Petrucci giovanetto, e lo fece annoverare in segreteria fra gli scrivani. Fu uomo di molto merito, ed amicissimo di Lorenzo Valla. V. Porzio, Congiura de’Baroni, libro primo, e, IV. Antonio Olzina fu capitano prode e per mare e per terra. Nicola Olzina fu Reggente della Vicaria nel 1468. E di quest’ultimo qui parla Masuccio. Vedi l’Istoria del Summonte nel libro V. passim.
  6. Ah Masuccio, mi guasti una bella figura!