Il Parlamento del Regno d'Italia/Paolo Solaroli

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Paolo Solaroli

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Stefano Siccoli Nino Bixio
Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia


Paolo Solaroli.

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Qui ci vorrebbe la penna del piacevole ed immaginoso autore delle Mille e una notti per isdebitarsi in modo convenevole dell’incarico che ci siamo addossati.

Figuriamoci che ad un giovinetto appartenente ad un’onesta famiglia di artigiani di Torino abbia preso il ghiribizzo, o meglio, sia venuta l’inspirazione, d’andare a fare un viaggetto da nulla, una scorsarella fino.... alle Indie Orientali. Aveva o no una paccotiglia? noi lo ignoriamo, ma siamo piuttosto d’avviso che non ne possedesse d’altra specie che di quel genere vaporoso e impalpabile di cui è privilegio invidiabile il restarsene ammucchiate in numero infinito in quell’angusta cavità ossea che gli anatomisti appellano cranio. Del resto ognuno ci accorderà che se le idee non hanno corpo, non sono perciò meno produttrici di grandiosissimi effetti, la cui efficacia fisica non potrebbe in guisa alcuna venir contestata.

In quanto a noi confessiamo sinceramente che ci parrebbe di andare a nozze ove ne fosse concesso di seguire passo a passo il giovine avventuriere nelle sue scorse lungo le rive del sacro Gange, attraverso le jungle dell’Indostania, e fin entro gl’interminabili e profondi sotterranei d’Ellora. Quante maraviglie da descrivere, quante strane vicende da raccontare! E senza dipartirsi dal vero, potendo dire ad ogni pagina ai nostri lettori attoniti e commossi: ciò che vi narriamo è realmente accaduto; l’eroe del nostro racconto vive; venite a Torino, lo vedrete alla Camera dei deputati, di cui è membro; assistete ad una rivista, lo [p. 779 modifica]mirerete a lato di Vittorio Emanuele, di cui è ajutante di campo; portatevi al caffè Fiorio e vi apparirà immancabilmente, a meno che non sia di servizio, sulla porta di esso, se fa buon tempo, o assiso nella terza sala in compagnia di qualche altro suo collega, se piove o se nevica. Ma il nostro editore non ci lascia, ahimè, la briglia sul collo, ed anzi c’invita ogni dì a restringerci, onde, s’è possibile, ci acchiudiamo nella cornice assegnataci.

Quindi n’è giuocoforza rinunziare alla realizzazione di quel sogno d’estate, e contentarci di dire che il giovinetto torinese, sbarcato sulla terra dei seguaci di Brama e preso senza dubbio a proteggere da una delle innumerevoli divinità della mitologia indiana, entrato al servigio nelle truppe europee d’un rajah possente, salì al grado di generale, si fece amare dalla unica figlia di esso, che ottenne in isposa e colla quale, dopo la morte del suo benefattore, rientrò in patria, ricco d’una fortuna che passa i sette milioni.

Re Carlo Alberto lo fece barone e gli diè un grado nella sua armata; nel 1848 fu promosso a generale e ad ajutante di campo.

Eletto deputato, faceva parte della maggioranza Cavouriana, dalla quale si è distaccato egli pure per riavvicinarsi a quel nucleo di dissidenti che si tiene in disparte, dopo le leggi finanziarie proposte dal ministero Minghetti.

L’avventuroso generale è ancora pieno di vigore, e sul suo volto abbronzito dai raggi del sole d’Oriente si legge ancora l’audacia e lo spirito d’intrapresa che lo hanno spinto sì in alto.