Il Quadriregio/Libro quarto/VII

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VII. De’ magnanimi e valentissimi, ne’ quali risplendette la virtú della fortezza

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Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
VII. De’ magnanimi e valentissimi, ne’ quali risplendette la virtú della fortezza
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CAPITOLO VII

De' magnanimi e valentissimi, ne' quali risplendette
la virtú della fortezza.

     Non credo che sia loco, sotto il cielo,
sí delettoso e di tanta allegrezza,
né tanto temperato in caldo e ’n gielo,
     quanto quel dove andai con la Fortezza.
5E lí trovai armato il fiero Marte,
quanto un gigante grosso ed in altezza.
     E molta gente avea da ogni parte
e tanto appresso a lui, quanto vantaggio
ebbon in forza e in battagliosa arte.
     10E sopra tutti lor scendeva un raggio,
il qual si derivava dal pianeta,
che dá nella battaglia buon coraggio.
     Sí come luce ch’esce di cometa,
cosí scendeva lor sopra la chioma,
15secondo la vertú piú chiara e lieta.
     Quando piú bella e piú in fior fu Roma,
non ebbe in sé sí bella baronia,
né quella che di Troia ancor si noma.
     Come tra’ fiori e dolce melodia
20l’anime vanno tra gli elisii campi,
facendo insieme festa in compagnia;
     cosí su’ prati dilettosi ed ampi
givano questi in gran solazzo e gioco
col raggio in capo, che par che gli avvampi.
     25— Secondo il raggio, quanto è assai o poco
— Fortezza disse,— qui si manifesta
la vertú de’ baron di questo loco.

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     Colui, che sí gran fiamma ha su la testa,
Ercule fu, quel valoroso e forte,
30che morto fu con venenosa vesta.
     Tornò d’inferno e fuor delle sue porte
Cerbero trasse e menollo nel mondo
con tre catene a tre sue gole attorte.
     L’altro, ch’è dopo lui e poi secondo,
35è Cesar ceso nel ventre materno,
che ’l raggio ha poi piú chiaro e piú giocondo.
     Tutta la zona donde viene il verno,
la Francia, il Reno e l’antica Bretagna,
sommise a Roma sotto ’l suo governo.
     40E poi quel terzo, il qual egli accompagna
e che da tanti è qui menato a spasso
su per li prati della gran campagna,
     è quel che di combatter mai fu lasso
nella battaglia, il fortissimo Ettorre,
45per la cui morte Troia venne al basso.
     Non bastò, Achille, a lui la vita tôrre,
ma ’l trascinasti intorno delle mura
delle porte troiane e delle torre.
     Il quarto, c’ha la luce chiara e pura
50su nella testa, è Alessandro altèro,
che fece a tutto il mondo giá paura.
     Egli ebbe l’Oriente tutto intero:
forse, se non che morte el lievò tosto,
di vincer Roma gli riuscía ’l pensiero.
     55L’altro, a cui tanto raggio in capo è posto,
è quell’Ottavian, da cui si dice
ogni altro imperator «Cesare Agosto».
     O alto core, o anima felice,
la terra tutta facesti subietta
60fin dove il caldo accende la fenice.
     Fatt’hai di Cesar tuo la gran vendetta,
e Perugia condutta a trista fame,
e guasta tutta pompeiana setta.

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     Recasti tutto il mondo ad un reame;
65per tua virtú, dal ciel discese Astrea
e chiuse a Ian del tempio ogni serrame.
     Risguarda omai el magnanimo Enea,
che si rallegra e parla con lui insieme,
e ben in vista par figliuol di dea.
     70Vedi da lui disceso il nobil seme,
Romulo dico, innanti al cui valore
tutte l’altre fortezze fûnno sceme.
     Vedi che tutti que’ gli fanno onore
e stangli innanzi come figli al padre;
75ed ha dal forte Marte piú splendore.
     La grande Roma e l’opere leggiadre
di farsi grande e vendicare il zio
e la Sabina a Roma dar per madre,
     il Capitolio e ’l tempio, che fe’ a Dio,
80la milizia, il senato e la virtude
el fan sí grande in questo regno mio.
     Oh secolo feroce! oh genti crude!
il padre de’ roman da’ roman poi
fu ucciso ed occultato in la palude.
     85Quell’altro, che piú presso sta a loi,
è il gran Pompeo, il quale in mare e in terra
fe’ gloriosi li triunfi suoi.
     Questo fu vincitor in ogni guerra,
in Grecia, nell’Egitto ed in Tessaglia
90e ove ’l libico mar la secca serra,
     sinché col suocer ebbe la battaglia,
u’ Fortuna mostrò che contra lei
non è fortezza o senno che vi vaglia.
     Vedi il piatoso amator delli dèi,
95difensor delle leggi, il buon Catone,
refugio a’ buon e riprensor de’ rei.
     Mira il chiaro splendor di Scipione,
in tanta gioventú verenda immago,
tanta onestá in etá di garzone,

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     a cui die’ ’l nome la vinta Cartago,
l’Affrica subiugata ed Anniballo,
che contra Roma fu peggior che drago.
     L’altro è che ’l gran francioso da cavallo
gittò a terra, e detto fu Torquato
105dal torque, che gli tolse, argenteo e giallo.
     Mira Camillo, il forte Cincinnato,
il qual fortezza e vertú fe’ sí grande,
ch’andò al triunfo, tratto dell’arato.
     Se di quegli altri tre tu mi domande,
110che vanno inseme, a cu’ il figliol di Iove
del raggio a lor fa ’n capo tre grillande,
     quello, che i passi innanzi agli altri move,
è ’l sovran re di Francia Carlo Magno,
che contr’a’ sarracin fe’ le gran prove.
     115L’altro, che va con lui come compagno,
è ’l valoroso Boglion Gottifredo;
che della Terrasanta fe’ ’l guadagno.
     Il sepolcro di Cristo e ’l santo arredo
ei conquistò; ed ora l’ha ’l soldano,
120non iusto possessor, ma come predo.
     Il terzo, ardito, con la spada in mano
è ’l re Artus, e i suoi atti pregiati
nomati son da presso e da lontano.—
     E giá la dea a me avea mostrati
125li gran troiani ed anche li gran greci,
che eccellenti e forti erano stati,
     e detto avea de’ Fabi e delli Deci;
quando vidi un con molta gente intorno:
ond’io a domandar oltra mi feci:
     130— Chi è colui, che ’l raggio ha tanto adorno,
o dea Fortezza, che sí come ’l sole
faría la notte parer mezzogiorno,
     e che di fiori, rose e di viole
li spargon sopra il petto e sopra il viso,
135sí come a’ novi amanti far si sòle?—

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     Ed ella a me:— Colui, che festa e riso
riceve qui per la vertú che vince,
or ora debbe andare in paradiso.
     Ed è concesso a lui che passi quince,
140che ’l suo valore a te sia manifesto:
chiamato fu ’l cortese signor Trince.
     Innanzi a quell’Urbano, il qual fu sesto,
sotto il vessillo scritto in libertade,
che servitú per chiosa ebbe nel testo,
     145tutte sue terre e tutte sue contrade
di santa Chiesa a lei volson le piante
e rivoltônsi con lance e con spade.
     Ma questo con pochi altri fu costante,
e tra quei pochi di costui apparse
150la fede ferma piú che diamante;
     tanto ch’egli per questo il sangue sparse,
drizzando a Dio il core e le sue mani,
che ’n liberalitá mai fûnno scarse.
     Per questo greci, dardani e romani
155l’aspergono di fior, come tu vedi,
e fangli festa in questi grati piani.
     — O sacra dea— diss’io,— se mel concedi,
andrò a lui, e reverente e chino
abbracciar voglio i sui amorosi piedi;
     160ché ’l suo figliol dal mondo pellegrino
quassú salir mi mosse: egli mi manda:
per lui messo mi son in ’sto cammino.
     — Consentirei— respuse— a tua dimanda;
se non che su nel ciel tu ’l trovarai,
165se il core e tua vertú tanto insú anda.—
     In questo sopra lui disceson rai,
quali il sol la mattina all’oriente
intensi manda li splendor primai.
     Li tre colle grillande prestamente
170insieme in compagnia a lui n’andâro,
facendo via a lor tutta la gente,

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     ed entrôn dentro in quello splendor chiaro.
Allor vennon da cielo agnoli molti,
che quelli quattro a Dio accompagnâro.
     175Quelli bei fiori, ch’elli avíeno còlti,
spargean sopra la gente, andando insue,
che ammiravan con sospesi volti,
     sinché, allungati, non si viddon piue.