Il Quadriregio/Libro quarto/XX

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XX. Dove trattasi piú distintamente del purgatorio, e si risolvono certi dubbi

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Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
XX. Dove trattasi piú distintamente del purgatorio, e si risolvono certi dubbi
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CAPITOLO XX

Dove trattasi piú distintamente del purgatorio,
e si risolvono certi dubbi.

     Io vidi poscia alquanti in purgatoro
cantar nel foco:— _Expectans expectavi_,—
a verso a verso, come si fa ’n coro.
     Ed alcun’altri con voci soavi
5dicean anco, cantando:— O Agnus Dei,
che i peccati del mondo purghi e lavi!—
     E— _Verba mea_— e— _Miserere mei_
— diceano molti con sí duro pianto,
che a lacrimar condusson gli occhi miei.
     10E, poscia che silenzio fenno alquanto,
agnoli vidi su dal ciel venire
con allegrezza e festa e dolce canto.
     E, giunti quivi, un cominciò a dire:
— D’este pene esci fuori, o Pier Farnese,
15ché Dio ha posto fine al tuo martíre.—
     E quel, ch’egli chiamò, ratto s’accese
di luce chiara e tanto benedecta,
che dal fuoco e da incendio lo difese.
     E cominciò a cantar:— _O quam dilecta
20tabernacula tua_, o Dio Signore!
Beato chi ’n te spera e chi t’aspecta!—
     E l’agnol disse:— Da questo dolore
Ugolin d’Ancaran ora ti slega,
e d’esto purgatòr ti cava fòre.
     25Ogni volta ch’egli òra, per te priega:
il digiunar e ’l lacrimar, che ha fatto,
ha mosso Dio, che a pietá si piega.

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     E prete Bonzo ha per te satisfatto
el dever tuo, ed ito tre viaggi;
30e le sue messe ancor ti tran piú ratto.—
     Resperso tutto di celesti raggi,
con quegli angeli insieme in ciel sen gío
al Ben supremo e sempiterni gaggi.
     E prete Bonzo ben conosceva io
35per peccatore; e però ammirai
che Dio esaudisse un cosí rio.
     Per questo la Speranza domandai:
— Come chi ’n caritá non è fundato,
può satisfar per queste pene e guai?—
     40Ed ella a me:— Tu sai ben che ’l peccato
è fare o ir contra divina voglia:
però giammai a Dio pò esser grato.
     Come che pianta mai frutto né foglia
potrebbe far, remossa la radice,
45cosí chiunque è che caritá si spoglia.
     E, se fa ben alcuno ovver che ’l dice,
giovar li pò al ben, ch’è temporale,
ma non mai all’eterno ovver felice.
     E, quando alcuno, ch’è in pecca’ mortale,
50prega per quel ch’è ’n caritá unito,
a quello, per cui prega, giova e vale;
     ché non per sé da Dio è esaudito,
ma per colui che prega e satisface,
che giá è eletto all’eterno convito;
     55ché spesse volte il messo, che dispiace,
si esaudisce per colui che ’l manda,
o perch’e’ chiede cosa ch’altrui piace.
     E spesse volte la buona vivanda,
perché all’infermo si darebbe invano,
60negata gli è, quand’egli la domanda;
     la qual, se fusse data a chi è sano,
ed ei la prenda, el robora e conforta
in tutti i membri del suo corpo umano.

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     Ad alcun anco, in cui caritá è morta,
65del ben, che fa, gli avviene ex consequente
che ’l premio eterno e felice ne porta;
     ché, quando egli òra o dona all’indigente,
prega per lui, e la somma Piatade
spesso per questo gl’illustra la mente,
     70sí ch’ei torna a vertú ed a bontade:
ond’io conchiudo ch’atto virtuoso
innanzi a Dio giammai in fallo cade.
     — Se tu pervegni al superno riposo
— un disse a me,— innanzi che tu monti,
75star meco alquanto non ti sia noioso.
     Se vuoi che ’l nome mio pria ti racconti
e la freddezza mia, la qual io mondo
e che, penando, qui convien ch’io sconti,
     Toso Benigno fui detto nel mondo:
80fui piacentino, e da me fu commesso
ad un per me di satisfar il pondo.
     Romper la fede a Dio è ’l primo eccesso,
e poscia al morto, il qual, quando decede,
lascia il suo successor quasi un se stesso.
     85Cosí un mio compagno io lassa’ erede:
e’ di quel ch’io volea, niente fece,
sí come spesso fa chiunque succede.
     Però ti prego, se tornar ti lece,
che dichi al fratel mio che satisfaccia
90e che per me vada a Roma in mia vece.—
     Risposi a lui:— Ciò, che vorrai ch’io faccia,
el farò volentier; ma resta un poco,
ed a me un punto dichiarar ti piaccia.
     Io lessi giá che sta in altro loco
95il purgatoro e ch’è parte d’inferno;
ed ora el veggio qui tra questo foco.—
     Ed egli a me:— Colui, che ’n sempiterno
mai non si muta ed ogni cosa move
e tutto l’universo ha ’n suo governo,

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     ha qui il purgatoro ed anco altrove,
e nell’inferno puote dar gran festa
e fare il paradiso in ogni dove.
     Basta che qui a te si manifesta
che cosa è ’l purgatoro e che ’l fece anco
105prima Iustizia, ovver prima Maièsta,
     e che lí si ristora ciò che ha manco
la penitenzia, e che nullo va al cielo,
se prima non si purga e fassi bianco.
     Ricòrdite dell’alma, che nel gielo
110al vescovo gridò:— Io son qui messa
sol per purgarmi, e questo ti rivelo:
     ch’un mese vogli dir per me la messa,
ché cosí spero uscir di questo ghiaccio,
e che indulgenza mi será concessa.—
     115Ricòrdite il pastor quant’ebbe impaccio
nel dir le messe, e come Paulino
giá si purgò, e molti di quai taccio.—
     Giá le mie scorte avean preso il cammino
su verso il ciel tra l’anime, che stanno
120nel foco, come argento a farsi fino,
     ed allo ’ndugio ed alle pene, c’hanno,
con lacrime chiedean mercé da nui,
ricordando l’arsura e ’l loro affanno.
     E, quando presso al cielo io giunto fui,
125sentii maggior l’incendio; e per riparo
le scorte mie m’abbracciâro amendui,
     ché ’l foco lí è piú attivo e chiaro,
e, perché tocca il cielo, in giú reflette:
però ’l caldo raddoppia ed è piú amaro.
     130Quelle parti del ciel son sí perfette,
che non temono arsura ed han vantaggio
a trasmutazion non star subiette.
     Non so in qual modo, né per qual viaggio,
mi trova’ intrato nel ciel della luna,
135assai ’n men tempo che detto non l’aggio.

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     E di due scorte meco era sol una,
cioè la Caritá, che risplendea
sí, che ogni luce arebbe fatta bruna.
     E questa dolce guida ed alma dea
140disse:— Alla quinta essenza io t’ho condotto
dall’altra trasmutabile e sí rea.
     Ciò che sta a questo ciel laggiú di sotto,
subiace al tempo e convien vada e vegna
in non niente ed in stato corrotto.—
     145E poi soggiunse quella dea benegna:
— ’Nanti che trascorriam noi questi cieli
ed ogni intelligenza che qui regna,
     conviene che il mio offizio ti disveli,
acciò che, quando torni tra’ mortali,
150gli atti miei lor insegni e lor riveli.—
     Risposi:— O sacra dea, tra tanti mali
per veder le vertudi io son venuto;
e tu a salire qui m’hai dato l’ali.
     Però te invoco ed a te chiedo aiuto,
155che tu m’insegni te, sicché, allora
ch’al mondo narrerò ciò c’ho veduto,
     del regno tuo io possa dir ancora;
e che vertú in tanto è vertuosa,
in quanto amor la ’nforma ed avvalora:
     160non amor di Cupido o d’util cosa,
ma quel, che ’l sommo Ben ferma per segno,
e fa l’anima a Dio fedele sposa,
     sí ch’ogni amor, ch’è fuor di lui, ha a sdegno.—