Il Quadriregio/Libro terzo/III

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III. Dichiaransi gli effetti della superbia

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Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
III. Dichiaransi gli effetti della superbia
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CAPITOLO III

Dichiaransi gli effetti della superbia.

     Il vento, quale spira Satanasso,
gonfia le teste e poscia in alto mena
e poi da alto fa cadere a basso.
     Sí come il vento fa la vela piena,
5io vidi fare a tre la testa grossa
ed ire in alto e poi cader con pena.
     E nel cadere ebbon sí gran percossa,
che Simon mago non die’ tal crepaccio,
quand’egli si fiaccò il cervello e l’ossa.
     10— Io, che cosí caduto in terra giaccio
— disse un di lor,— son quel superbo Sesto,
che a Lucrezia diede tanto impaccio,
     quand’io gli maculai il letto onesto;
onde caddi io e ’l mio padre Tarquino
15per tanta offesa e per cotanto incesto.
     E l’altro qui caduto a capo chino
chiamato fu Nabucodonosorre,
che a sé attribuí l’onor divino.
     Il terzo è quel che fece la gran torre
20giá di Babel e chiamato Nembrotte,
che volle contra Dio rimedio porre.
     E cento volte noi tra ’l dí e la notte
innalza il vento, che ’n testa percuote;
e poi cadiam con l’ossa fiacche e rotte.
     25Qui anche sta il novello nipote
e ’l sesto prete grande, a cui del regno
gonfia anche il vento la testa e le gote.

[p. 208 modifica]E quand'è divenuto grosso e pregno,
       cade da alto e gran fiacco riceve,
  30   sí come noi e sí com'egli è degno.
       In lui apparve ben quant'egli è grieve
       la signoria e dispettosa e dura
       d'alcun villan, che da basso si lieve.--
       Tanto i' avea preso, andando, dell'altura,
  35   che vidi aver Satán, quand'io mi volse,
       la faccia sua ver' noi a derittura.
       Allor soffiò, e quel vento mi colse
       e nella fronte sí forte percosse,
       che ogni forza di salir mi tolse.
  40   Io sería in giú tornato, se non fosse
       che gridò Palla:--Giú 'n terra ti poni,
       se vuoi che 'l vento il capo non t'ingrosse.--
       Però mi posi in terra in ginocchioni,
       il petto e 'l viso umiliai di botto,
  45   e cosí insú mi mossi in groppoloni.
       Quando la dea mi vide esser condotto
       in tanta altura, ch'ella vide stare
       il gran Satán ai nostri piedi sotto,
       su ritto ed erto mi fece levare.
  50   Allor d'un dubbio, ch'io avea concetto,
       cosí lei cominciai a domandare:
       --Come poteo il mostro maladetto
       desiderar a Dio esser equale,
       ch'esser non puote e nol cape intelletto?
  55   Ché 'l desiderio sempre move l'ale
       dietro all'obietto dalla mente appreso,
       e questo nulla mente apprender vale.--
       La dea rispose, quando m'ebbe inteso:
       --In due superbie offese il Creatore
  60   il rio Satán, e quelle io t'appaleso.
       Se, sol per sua bontá, alcun signore
       levasse un servo giú da basso limo
       e ponessel in stato e grande onore,

p. 209 [p. 209 modifica]ed ei dicesse fra se stesso:--Io stimo

  65   meritar piú che quel che m'ha donato,
       per mia bontá, ed esser piú sublimo;--
       costui sería superbo e sería ingrato.
       In questo modo enfiò Satan le ciglia
       contra colui che allor l'avea creato.
  70   E da che 'l servo in possa s'assomiglia
       al suo signor, quant'egli, al parer mio,
       piú di dominio e d'eccellenzia piglia;
       cosí fec'egli, che innalzò il disio
       ad aver possa a far quelle due cose,
  75   le qua' solo a sé serba il sommo Dio,
       cioè creare e le cose nascose
       saper, che sonno occulte nel futuro:
       per questo il gran superbo a Dio s'oppose.
       Alla tua mente omai non è oscuro
  80   come il vil verme volle assomigliarse
       al primo Ben supremo, eterno e puro.
       Dunque superbia prima è reputarse
       d'aver il ben da sé e ch'a lui vegna
       per sua bontá o per suo ben guidarse.
  85   E cresce poi che si reputa degna
       di maggior fatti: allor presume e pensa
       com'ella a' suoi maggiori equal pervegna.
       Per questo poi incorre in piú offensa;
       c'ha invidia a' grandi ingrata e sconoscente
  90   del don, che 'l suo maggiore a lei dispensa.
       Anche non è a lor obbediente,
       ché li dispregia e non cura lor legge;
       e questo di piú male è poi semente,
       ch'ella s'adira, s'altri la corregge,
  95   e sta proterva e 'l peccato difende,
       odia chi l'ammonisce e chi la regge.
       Per questo poi in altro mal descende,
       ché non medica il male, il ben non ode;
       cosí mai a sanitá atta si rende.

p. 210

 100 [p. 210 modifica]E, perché è pomposa, ama le lode;
       sí come il foco s'avviva da' venti,
       cosí se ne esalta ella e se ne gode.
       Di mille vizi da lei discendenti
       comprender pòi che nascon d'esto seme,
 105   se nella mente tua ben argumenti.
       Perché la gente ben vivesse inseme,
       fe' Dio la fede e fe' le parentele;
       e la superbia l'una e l'altra oppreme,
       ch'ella, a chi la fa grande, è infedele,
 110   fa parte tra compagni e lor divide,
       e ne' coniunti è spietata e crudele.
       Romul per questo il suo fratello uccide:
       nullo mai grande un altro grande appresso
       senz'odio o invidia vederá, né vide.
 115   Il dispiatato sangue, il grande eccesso
       delli fratelli qui non si ricorda,
       da che tra li maggiori avviene spesso.
       Se ben la citra, Italia, non s'accorda
       della tua gente, or pensa la cagione,
 120   la qual fa in te discordante ogni corda.
       Sostenne giá Pompeo e Scipione
       star nella barca e non guidare il temo
       e star nel campo sotto altrui bastone.
       Ma nelle barche tue esser supremo
 125   vuol ciascheduno ed esser soprastante
       chi servir deggia nel vogar del remo.
       Per questo le tue membra tutte quante
       han odio insieme, e per questo è mestiero
       che 'l capo signoreggino le piante.
 130   Per questo il grande teme e regge altèro,
       e quello che sta a basso, nel cor porta
       quel che superbia figlia nel pensiero.
       Indi diventa la iustizia morta
       nel mal punire e nel premiare il bene:
 135   però la nave tua va cosí torta.

p. 211 [p. 211 modifica]O dea Iunon, perché tarda e non viene

       tra cotal gente un Lico crudo e diro,
       da che politico ordin non sostiene?
       Perché non regge tra li serpi un tiro?
 140   perché non regge nelle selve un ranno,
       che gli arbori consumi a giro a giro?
       L'altre province sotto un capo stanno;
       ma per le parti tue e per le sètte,
       piú che nell'idra in te capi si fanno,
 145   ch'un ne rammorti, e rinasconne sette.
       Ma un verrá, che convien che ti dome,
       e che le genti tue tenga subbiette:
       e tiro e ranno sia in fatti e nome.--


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