Il Quadriregio/Libro terzo/III
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CAPITOLO III
Dichiaransi gli effetti della superbia.
Il vento, quale spira Satanasso,
gonfia le teste e poscia in alto mena
e poi da alto fa cadere a basso.
Sí come il vento fa la vela piena,
5io vidi fare a tre la testa grossa
ed ire in alto e poi cader con pena.
E nel cadere ebbon sí gran percossa,
che Simon mago non die’ tal crepaccio,
quand’egli si fiaccò il cervello e l’ossa.
10— Io, che cosí caduto in terra giaccio
— disse un di lor,— son quel superbo Sesto,
che a Lucrezia diede tanto impaccio,
quand’io gli maculai il letto onesto;
onde caddi io e ’l mio padre Tarquino
15per tanta offesa e per cotanto incesto.
E l’altro qui caduto a capo chino
chiamato fu Nabucodonosorre,
che a sé attribuí l’onor divino.
Il terzo è quel che fece la gran torre
20giá di Babel e chiamato Nembrotte,
che volle contra Dio rimedio porre.
E cento volte noi tra ’l dí e la notte
innalza il vento, che ’n testa percuote;
e poi cadiam con l’ossa fiacche e rotte.
25Qui anche sta il novello nipote
e ’l sesto prete grande, a cui del regno
gonfia anche il vento la testa e le gote.
cade da alto e gran fiacco riceve, 30 sí come noi e sí com'egli è degno.
In lui apparve ben quant'egli è grieve la signoria e dispettosa e dura d'alcun villan, che da basso si lieve.--
Tanto i' avea preso, andando, dell'altura, 35 che vidi aver Satán, quand'io mi volse, la faccia sua ver' noi a derittura.
Allor soffiò, e quel vento mi colse e nella fronte sí forte percosse, che ogni forza di salir mi tolse.
40 Io sería in giú tornato, se non fosse che gridò Palla:--Giú 'n terra ti poni, se vuoi che 'l vento il capo non t'ingrosse.--
Però mi posi in terra in ginocchioni, il petto e 'l viso umiliai di botto, 45 e cosí insú mi mossi in groppoloni.
Quando la dea mi vide esser condotto in tanta altura, ch'ella vide stare il gran Satán ai nostri piedi sotto,
su ritto ed erto mi fece levare. 50 Allor d'un dubbio, ch'io avea concetto, cosí lei cominciai a domandare:
--Come poteo il mostro maladetto desiderar a Dio esser equale, ch'esser non puote e nol cape intelletto?
55 Ché 'l desiderio sempre move l'ale dietro all'obietto dalla mente appreso, e questo nulla mente apprender vale.--
La dea rispose, quando m'ebbe inteso: --In due superbie offese il Creatore 60 il rio Satán, e quelle io t'appaleso.
Se, sol per sua bontá, alcun signore levasse un servo giú da basso limo e ponessel in stato e grande onore,
p. 209 ed ei dicesse fra se stesso:--Io stimo
65 meritar piú che quel che m'ha donato, per mia bontá, ed esser piú sublimo;--
costui sería superbo e sería ingrato. In questo modo enfiò Satan le ciglia contra colui che allor l'avea creato.
70 E da che 'l servo in possa s'assomiglia al suo signor, quant'egli, al parer mio, piú di dominio e d'eccellenzia piglia;
cosí fec'egli, che innalzò il disio ad aver possa a far quelle due cose, 75 le qua' solo a sé serba il sommo Dio,
cioè creare e le cose nascose saper, che sonno occulte nel futuro: per questo il gran superbo a Dio s'oppose.
Alla tua mente omai non è oscuro 80 come il vil verme volle assomigliarse al primo Ben supremo, eterno e puro.
Dunque superbia prima è reputarse d'aver il ben da sé e ch'a lui vegna per sua bontá o per suo ben guidarse.
85 E cresce poi che si reputa degna di maggior fatti: allor presume e pensa com'ella a' suoi maggiori equal pervegna.
Per questo poi incorre in piú offensa; c'ha invidia a' grandi ingrata e sconoscente 90 del don, che 'l suo maggiore a lei dispensa.
Anche non è a lor obbediente, ché li dispregia e non cura lor legge; e questo di piú male è poi semente,
ch'ella s'adira, s'altri la corregge, 95 e sta proterva e 'l peccato difende, odia chi l'ammonisce e chi la regge.
Per questo poi in altro mal descende, ché non medica il male, il ben non ode; cosí mai a sanitá atta si rende.
p. 210
100 E, perché è pomposa, ama le lode;
sí come il foco s'avviva da' venti,
cosí se ne esalta ella e se ne gode.
Di mille vizi da lei discendenti comprender pòi che nascon d'esto seme, 105 se nella mente tua ben argumenti.
Perché la gente ben vivesse inseme, fe' Dio la fede e fe' le parentele; e la superbia l'una e l'altra oppreme,
ch'ella, a chi la fa grande, è infedele, 110 fa parte tra compagni e lor divide, e ne' coniunti è spietata e crudele.
Romul per questo il suo fratello uccide: nullo mai grande un altro grande appresso senz'odio o invidia vederá, né vide.
115 Il dispiatato sangue, il grande eccesso delli fratelli qui non si ricorda, da che tra li maggiori avviene spesso.
Se ben la citra, Italia, non s'accorda della tua gente, or pensa la cagione, 120 la qual fa in te discordante ogni corda.
Sostenne giá Pompeo e Scipione star nella barca e non guidare il temo e star nel campo sotto altrui bastone.
Ma nelle barche tue esser supremo 125 vuol ciascheduno ed esser soprastante chi servir deggia nel vogar del remo.
Per questo le tue membra tutte quante han odio insieme, e per questo è mestiero che 'l capo signoreggino le piante.
130 Per questo il grande teme e regge altèro, e quello che sta a basso, nel cor porta quel che superbia figlia nel pensiero.
Indi diventa la iustizia morta nel mal punire e nel premiare il bene: 135 però la nave tua va cosí torta.
p. 211 O dea Iunon, perché tarda e non viene
tra cotal gente un Lico crudo e diro, da che politico ordin non sostiene?
Perché non regge tra li serpi un tiro? 140 perché non regge nelle selve un ranno, che gli arbori consumi a giro a giro?
L'altre province sotto un capo stanno; ma per le parti tue e per le sètte, piú che nell'idra in te capi si fanno,
145 ch'un ne rammorti, e rinasconne sette. Ma un verrá, che convien che ti dome, e che le genti tue tenga subbiette:
e tiro e ranno sia in fatti e nome.--
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