Il buon cuore - Anno X, n. 37 - 9 settembre 1911/Educazione ed Istruzione

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Educazione ed Istruzione

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Beneficenza Religione

[p. 290 modifica]Educazione ed Istruzione


SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA


PROGRAMMA

del

XXX Congresso Geologico Nazionale


ONORANZE all’Abate STOPPANI


9 Settembre.

LECCO. — Ore 18. Adunanza del Consiglio Direttivo della Società in una delle sale del Municipio di Lecco, gentilmente concessa.

10 Settembre.

Inaugurazione del Congresso e Commemorazioni.

LECCO. — Ore 10. Seduta inaugurale del Congresso nel Teatro di Lecco. — Discorsi di circostanza. — Celebrazione del Cinquantenario della Carta Geologica d’Italia e del XXX Anniversario della fondazione della Società Geologica (Oratore: Sen. prof. Giovanni Capellini).

Ore 14. Commemorazione, nel Teatro stesso, di Antonio Stoppani (Oratore: Prof. Torquato Taramelli).

Ore 15. Formazione del corteo che si recherà a deporre sulla tomba dello Stoppani, nel cimitero di Lecco, la corona di bronzo offerta dai Soci della S. G. I.

Ore 16. Partenza in automobile per Somana a portare una corona, offerta dai colleghi dell’Università di Pavia, alla tomba del prof. Carlo Riva, tragicamente morto sulla Grigna. — Ritorno a Lecco.

Ore 19. Pranzo ufficiale offerto ai congressisti ed alle autorità del Municipio di Lecco.

11 Settembre.

Gita attraverso la Valsassina.

LECCO. — Ore 7. Partenza in automobile per una corsa (che permetterà uno sguardo d’insieme su tutta la Valsassina) lungo la valle della Pioverna, la sella di Casargo e la valle del Varrone, fino al Ponte di Premana. — Ritorno a Taceno e discesa a Tartavalle, ove, verso mezzogiorno, in quello Stabilimento idroterapico, sarà offerta una colazione dalle Ditte esercenti le cave e le miniere della Valsassina.

Ore 14. Visita alle cave di baritina nei comuni di Cortabio e Primaluna; alla laveria della galena argentifera delle miniere di Camisolo; alla Cascata della Troggia (Paradiso dei Cani), ed alla esposizione mineralogica valsassinese predisposta in Introbio, capoluogo della valle, a cura di quel Sottocomitato locale.

Ore 18,30. Pranzo al Grande Albergo di Maggio, offerto dal Sottocomitato valsassinese. — Ritorno in serata a Lecco.

12 Settembre.

Gita nella Valle di Esino (Gruppo delle Grigne).

LECCO. — Ore 6. Partenza in automobile per Varenna, con breve sosta alla cascata del Fiumelatte: a Varenna visita delle cave dei marmi neri.

[p. 291 modifica]Ore 8. Salita (a piedi, a cavallo, od in slitta) a Perledo; visita delle cave degli scisti ad ittioliti.

Ore 9. Proseguimento per Esino Inferiore fino al passo di Cainallo, ove si arriverà verso mezzogiorno. Refezione offerta dalla Sezione di Lecco del Club Alpino Italiano. Esplorazione delle ricche località fossilifere circostanti, dalla grotta di Cainallo, e salita al Pizzo Cigo o dei Cich (m. 1453). Chi vorrà potrà spingersi a visitare la Ghiacciaia di Moncodeno (m. 1605).

Ore 15 circa. Discesa ad Esino, con facoltà di ritornare direttamente a Varenna, e di là, in automobile, a Lierna; o pure di scendere attraverso la bocchetta d’Ortanella, a Lierna.

Ore 19. Pranzo a Lierna offerto dal Sottocomitato lecchese. — Ritorno in serata a Lecco.

13 Settembre.

Adunanze del Congresso.

LECCO. — Ore 9. Adunanza della Società Geologica Italiana nel Teatro, per le comunicazioni presidenziali e scientifiche, di cui all’Ordine del giorno (n. 2, 4).

Ore 11. Presentazione della targa d’onore al senatore prof. Giovanni Capellini e al prof. Torquato Taramelli.

Ore 14. Conferenza, in Teatro, dell’ing. prof. Venturino Sabatini sul terremoto Calabro-Siculo del 1908, con numerosissime proiezioni.

Ore 16. Continuazione dell’Adunanza per le comunicazioni scientifiche.

Ore 21. Festa alla veneziana sul lago.

14 Settembre.

Gita al Monte Barro.

LECCO. — Ore 7. Partenza in automobile per l’Azzarola: visita di quella località fossilifera. — Proseguimento per Galbiate e salita (a piedi, a cavallo o in portantina) all’albergo del Monte Barro.

Ore 10. Ascensione della vetta (m. 922): sguardo d’insieme alla geologia dei monti circostanti (corni di Canzo, San Martino, Domane, Resegone, Albenza).

Ore 12. Colazione all’albergo suddetto: indi esplorazione nei paraggi e raccolta di fossili.

Ore 16. Discesa a Galbiate, ove avrà luogo un ricevimento nella villa Bertarelli. — Ritorno a Lecco verso sera.

15 Settembre.

Gita sul Larlo (Lecco, Bellano, Colico, Pliniana, Conio).

LECCO. — Ore 7. Partenza, in piroscafo speciale, verso l’alto lago; sosta a Bellano per visitarvi l’Orrido (forra della Pioverna); proseguimento per Colico; visita alle cave di granito di San Fedelino. Chi vorrà potrà visitare, invece, le cave di feldspato con tormaline e granati di Olgiasca, nonchè gli affioramenti di scisti a staurotide di quei dintorni.

Ore 12. Colazione a Colico offerta dalla Cooperativa Lombarda dei lavori pubblici, proprietaria delle cave di San Fedelino.

Ore 14. Partenza, in piroscafo, per il ramo di Como. — Sosta alla Villa Pliniana per visitare la celebre fonte intermittente dai due Plinio descritta. — Arrivo a Como verso le 19.

Ore 21,30. Partenza, in treno, per Milano.

16 Settembre.

Adunanze del Congresso a Milano.

MILANO. — Ore 10. Riunione al Museo Civico di Storia Naturale con intervento delle autorità cittadine. — Visita delle collezioni del Museo, e delle raccolte paleontologiche e litologiche dello Stoppani e d’altri geologi lombardi. — Visita d’omaggio al monumento Stoppani.

Ore 14. Assemblea sociale al Museo Civico per ultimare la trattazione dell’Ordine del giorno (n. 3, 5, 6).

Ore 17. Ricevimento in onore dei congressisti offerto dal Municipio di Milano nel Castello Sforzesco. — Chiusura del Congresso.

17 Settembre.

Gita di chiusura del Congresso alla Fonte Bracca

in Val Brembana.

MILANO. — Ore 9. Partenza in automobile dal piazzale del Museo Civico di Storia Naturale.

Ore 19,30. Arrivo alla Fonte Bracca (Ambria) in Val Brembana. Visita della Fonte e delle condizioni geologiche dei dintorni.

Ore 12. Colazione all’Albergo Fonte Bracca, offerta dall’Amministrazione della Società Anonima Termale.

Ore 14,30. Visita agli Stabilimenti della Società. The d’onore alla Pensione Excelsior Fonte Bracca.

Ore 16. Ritorno a Milano. Arrivo alle 18 circa. — Fine del Congresso.

CLOTILDE DI SAVOIA A PARIGI

secondo un epistolario intimo

Quando, il 16 gennaio 1859, la signorina de Foras, damigella di compagnia della principessa Clotilde, apprese che il principe Gerolamo Napoleone era giunto a Torino e che le nozze della figliuola primogenita di Vittorio Emanuele col cugino dell’imperatore dei francesi erano decise, ella scrisse nel suo Diario intimo queste parole: «Io sono angosciata.... Il fidanzamento avrà luogo domani E domani andrò in chiesa a comunicarmi per supplicare il buon Dio d’illuminare e d’ispirare madama Clotilde. Se questo triste matrimonio ha luogo, o almeno giovi alla gloria di Dio, alla edificazione dei popoli, alla santificazione della mia amatissima principessa e di colui, col quale ella sta per unire la sua vita!».

Quindici giorni più tardi, il «triste matrimonio» era celebrato; il conte di Cavour (secondo quel che raccontava alla signorina de Foras il principe Umberto) aveva trionfato degli ultimi dubbi della principessa con una frase imperativa: «Il le faut!»... E l’Ifigenia italica partiva, due giorni dopo, alla volta delle Tuileries. Prima di abbandonare la sua piccola corte di [p. 292 modifica]Moncalieri, ella aveva chiesto alla signorina de Foras, se non le fosse piaciuto di venire a continuare il suo uffizio di damigella d’onore, accanto a lei, a Parigi. Ma la ripugnanza per «l’atmosfera dissipata e pel lusso turbinoso di quella corte di fresca data» era più forte dell’affetto profondo che la legava alla madama Clotilde. E, come scrive ella stessa, con la morte nell’ani-nia rifiutò. Ma il rifiuto non le nocque. Per la principessa esule, la signorina de Foras restò una dolce amica. La corrispondenza corsa tra loro lo prova: a nessun’altra anima femminile Clotilde di Savoia svelò, forse ornai, con più sincerità l’anima propria.... Le lettere vanno tra il 1859 ed il 1867, data della morte della de Foras, divenuta sposa del visconte di Suvigny. Se molte delle paginette, fatte ora gialle dal tempo, parlano di cose, a cui gli anni han tolto ogni interesse, parecchi squarci dell’epistolario principesco hanno un valore inestimabile: i tratti purissimi, ideali della principessa sabauda ne risultano illuminati. Eccone il testo senza chiose profanatrici.


Al «Palais Royal».

Parigi, 31 ottobre 1859.

Vi dirò subito per consolarvi che la «coiffure de bain» è affatto abbandonata. L’ho adottata soltanto due volte, credo, e unicamente di mattina. Cerco anche di parlare, non ho ancora raggiunto la perfezione, ma spero di giungervi. Voi vi scusate, nella vostra cara lettera, di farmi!a lezione: vi assicuro che i vostri sermoni sono assai accetti. Continuateli dunque, farò tutto il possibile per trarne profitto.... Faccio di nuovo l’infermiera; vi scrivo appunto dalla camera del mio caro ed eccellente suocero. Da due giorni non lo lascio quasi più. Egli ha avuto una nuova crisi, i medici credono, tuttavia, che ia supererà come le altre, pur essendo questa più lunga. Dio lo voglia! Perchè la sua perdita sarebbe per noi una grande sventura. Mi sono affezionata a lui come al mio proprio padre, e poi mio marito proverebbe un così gran dolore.... Assisto alla santa messa ogni mattina nella mia piccola cappella e la domenica, quando posso, vado alla messa cantata, e seguo gli uffizi della giornata nella mia cara parrocchia di San Rocco. Mio marito è molto buono per me e non si oppone minimamente alle mie pratiche di pietà... ho una vita felicissima e assai tranquilla, scrivo un pochino, lavoro; qualche volta andiamo al teatro, qualche volta ho degli invitati a pranzo: ed allora faccio tutto ciò che posso per essere buona e saggia.


Al castello di Compiègne.

5 marzo 1860.

Sono stata a Compiègne e vi ho passato dieci giorni deliziosi, ma non sono montata a cavallo, non avendo condotto meco il mio. Del resto Napoleone preferisce che non cavalchi punto piuttosto che montare un cavallo che non conosco. La dimora al castello mi è stata graditissima perchè a Compiègne si fa quello che si vuole e non v’è molta etichetta. L’imperatrice è sempre ugualmente gentile, ugualmente piena di riguardi per me: essa cerca di farmi piacere ad ogni incontro. Insomma io sono contentissima di tutti: sono veramente felice. La mia famiglia è eccellente per me.

Vi sono tante questioni in aria, che non si sa quel che accadrà. Speriamo, che le cose si calmino e si aggiustino pel meglio. Che ne pensate voi? Mi sembra, conoscendovi come vi conosco io, che tutto non debba soddisfarvi. Non è vero? Continuo sempre le mie lezioni di letteratura e di storia che m’interessano molto. Riprendo il mio tedesco, uno studio che mi diverte. Insomma a poco a poco mi rimetterò a far tutto, poichè sono così giovane, e qui si sanno tante cose. Assisto sempre alla messa la mattina, nella mia cappella, e la domenica, negli appartamenti di mio suocero, dove anche si trova un oratorio. Ogni domenica, abbiamo un pranzo di famiglia a Corte, alle sette. Stasera avremo un gran concerto: ve ne sarà un altro martedì prossimo. Talvolta andiamo al teatro, venerdì prossimo, si deve dare una prima rappresentazione della nuova opera del principe Poniatowshi; vedremo che cosa sarà.


Un lutto.

Parigi, 8 luglio 1860.

Cara amica,

La vostra buona lettera del 29 giugno è venuta a consolarmi nel mio dolore: grazie di tanto interesse e di tanto affetto, ne ho veramente bisogno, vi assicuro; abbiamo fatto una perdita crudele. Napoleone sopratutto è vivamente e profondamente addolorato: suo padre era tutto per lui. Spero, che la sua salute non ne soffra troppo, ma egli è costretto ancora ad occuparsi di tante cose che gli ricordano continuamente il suo giusto dolore. Io, particolarmente, perdo molto: papà era così buono, ed io l’amavo tanto. Era un centro, intorno al quale ci ritrovavamo: quante cose non ci ricordava! Ma il buon Dio ha voluto così; egli ci ha dato troppe consolazioni perchè:noi potessimo mostrarci ingrati nel non ringraziarlo. Voi desiderate qualche particolare, cara Coco, ve li darò dunque con piacere, perchè sono assai consolanti. Papà ha avuto una malattia di un mese circa, dal 29 maggio al 24 giugno ed è morto coi sacramenti: non ha potuto comunicarsi, perchè la sua malattia, alla fine, glie lo avrebbe impedito. Ma si era già confessato a Parigi prima di partire per Villegenis e non per la prima volta. Infine, il nostro cappellano mi ha detto che, quell’ultima volta, s’era confessato a lui con la semplicità d’un ragazzo che fa la sua prima comunione. Più tardi si abboccò col suo curato di campagna che gli diede l’assoluzione in articulo mortis. Ha ricevuto l’estrema unzione ventiquattro ore prima di spirare dal cardinale arcivescovo ch’era amico suo. Si direbbe, che il buon Dio l’abbia atteso, e ch’Egli abbia voluto togliercelo soltanto dopo che tutto fosse compiuto. Troppo lunga sarebbe la narrazione di tutti i particolari circa la maniera come ciò è avvenuto. E’ stata una cosa miracolosa: ne sono felicissima in mezzo al mio dolore. Da un certo tempo, papa aveva come infermiera, una suora del Buon Soccorso di Troyes che lo assisteva. Ed ella mi ha detto di essere stata edificata dalla sua rassegnazione. [p. 293 modifica]L’ho inteso io stessa dire, parlando della morte (poichè già da qualche tempo si sentiva mancare): avverrà quello che il buon Dio vorrà! Qualche momento prima dell’ultimo respiro, la suora gli presentò il suo crocefisso a baciare, e mi sembra che egli abbia fatto uno sforzo visibile per abbracciarlo ancora una volta. Ed ora bisogna pregare per lui, ve lo raccomando. Era così buono, così affabile e così gentile per tutti: scusava tutti quanti ed era così caritatevole pei poveri che Dio gli userà, spero, misericordia. Insomma, pregate per lui. Papà ha avuto una morte dolce e tranquilla: non ha avuto, quasi, agonia. Le Loro Maestà e mio cugino e mia cugina Murat erano presenti per l’estrema unzione. E’ commovente vedere la parte viva che tutti pigliano al nostro dolore. Ma il mio buon padre aveva saputo accattivarsi talmente i cuori! Matilde, in questi ultimi giorni, dimorava a Villegenis. Povera sorella, anch’essa ha molto sofferto. Ella ha un cuore così buono! Ed ora eccoci tornati nella calma più completa: le loro Maestà sono a Saint Cloud, Matilde poco lontano, nella sua villa a San Graziano. Per conto nostro, non sappiamo ancora quello che faremo. In ogni caso per il momento mio marito ha troppo da fare per potersi assentare.

La cerimonia degli Invalidi è stata imponentissima. Ufficiava il nostro ottimo cardinale. Io ho per lui una profonda venerazione ed un affetto rispettoso. Il vescovo di Troyes, monsignor Coeur, ha pronunciato un bel discorso con un’eloquenza assai commovente. Ho assistito a tutta la cerimonia, felice di poter rendere quest’ultimo omaggio a chi amavo tanto. Prima dei funerali il corpo di papà fu espoto qui nel palazzo durante alcuni giorni ed una gran folla venne a vederlo: ogni mattina si celebravano delle messe, e si pregava tutta la giornata. Ora egli riposa agli Invalidi in una tomba, dove è pure il corpo di mio cognato Gerolamo ed il cuore di mia suocera, il cui corpo è a Wurtemberg...

(Continua).

Domenico Russo.

Storia breve di un’anima penitente (1)

Fecisti nos Domine ad te
et inquietum est cor nostrum
donec requiescat in te.

(Conf. di S. Ag.).

O mio Dio, come si sente di essere fatti per Voi e di dovervi cercare in tutto! Voi ci commovete col vostro cielo alto, aperto sopra di noi, che si eleva quanto più ci avanziamo per le sue vie incendiate dagli astri. Voi irradiate di vostra bellezza la terra, dove la vostra paterna mano ci ha collocati dopo di avercela preparata come una cuna negli spazi. La vita poi, tutta la vita, come ci parla di Voi nella sua svariata manifestazione.

E ciò che compie il fascino, è tutto l’insieme armonico di questa natura: è la sua debolezza e la sua forza; il gigantesco e l’eleganza; il morire e il rinascere; il mutarsi senza distruggersi. Essa è grande e non si è fatta da se; è bella e non è fatta per sè. È venuta da Voi e Voi la governate nascondendovi dietro di essa come dietro di un velo. Sicchè, o mio Dio, noi non possiamo amar lei senza amar Voi. Le mani di questa madre ci risollevano a Voi nostro Padre che vi siete servito di lei per chiamarci alla vita.

Ma più bella, più grande, o mio Dio, è la voce che parte dal nostro essere umano. Da qui si eleva tutta la musica della natura perchè è in noi che l’avete tutta incentrata con una vita che vince le altre vite.

Il mondo e i suoi regni dei quali è fatto il nostro corpo, sono così nobilitati in noi, da riflettere l’anima immortale e spirituale che ci informa. E noi guardiamo con guardi più profondi del cielo, e noi abbiamo palpiti più grandi del mare.

Contemplando questo tempio dell’anima nostra, o mio Dio, quale idea alta della vostra mente creatrice nasce in noi e quale rispetto ci occupa di noi stessi. E l’anima che porta la vostra immagine!? che, mentre è vita di ciò che cadrà come cade la foglia morta e la vecchia ala dell’aquila spossata dagli uragani, esso non cade perchè l’avete fatta Voi col soffio della vostra bocca e le avete dato il raggio che non si spegne del vostro volto?! Ah l’anima, come ci porta a Voi nella ricerca del termine del suo intelletto e della sua volontà, bramosa di tutto il vero e di tutto il bene!

Desiderii infiniti, ricerche infinite, insazietà infinite, cantate il bisogno di Dio che è in noi.

E voi l’avete fatta figlia vostra, o mio Dio, questa creatura umana, questa terra e questo cielo, questo tempo e questa eternità, sposati insieme. E per farla figlia vostra le avete dato il sangue del Figlio vostro rendendola degna di vivere eternamente beata della vostra vita nei cieli.

Eccola qui dunque la creatura umana, fatta sintesi di tutto il creato, perchè tutto il creato in essa trovi la via del ritorno al suo principio mediante una libera offerta. Eccola qui la creatura umana venuta da Dio, incamminata a Dio, destinata a finire in Dio.

A questo punto, una cosa si appalesa, che è tutta del nostro tema, che anzi è il nostro tema; ed è che quando la creatura umana redenta, si ferma colle creature nel suo viaggio a Dio, e a queste creature cerca gioje proibite nella propria dissoluzione, essa leva il piccone contro tutto il creato della natura e della grazia monumentato nell’uomo; per conseguenza resta tanto più inquieta e infelice quanto più si avanza nella demolizione, risentendo quasi il lamento di tutto il creato disonorato in se stessa e finalmente, se la grazia riesce a trionfare, essa non può darsi più pace fino a che con la [p. 294 modifica]penitenza e con l’amore non abbia ricostruito il monumento abbattuto.

Or bene, ecco tutta la storia della nostra Santa: Una donna che ha demolito sè stessa, ma che tra le macerie cadenti nella distruzione, si incontrava sempre col carbone accesole da Dio nel cuore: il bisogno di lui. Una donna che all’ultimo colpo vide questo carbone diventare fiamma e incendio, che illuminò la via perduta, e in questo incendio si buttò lasciandovi tutto il passato, uscendone rifatta e santa.

Poche anime, io credo, sentirono profondamente come ella sentì le parole d’Agostino: Ci hai fatti per te, o Signore, ed inquieto è il nostro cuore fino a che non riposi in te.

Era fatta per Dio e fu sempre inquieta fino a che non ne ottenne il possesso.

Nasceva nel 1247 in Laviano. Una selva, campagne di grani, le acque del Trasimeno, i monti toscani, furono la cornice della sua culla. Il suo villaggio sedeva nel verde e sospirava verso il cielo con la sua chiesina su il colle che lo domina. In quella chiesina pregò fervente i suoi primi anni. Si conosce di lei il padre Tancredi, buono ma fiacco. La mamma non ci lasciò il suo nome; ci lasciò nella bambina l’irradiazione delle sue virtù. La bambina crebbe gentile, buona, facile a commuoversi davanti al dolore, generosa nelle carità, molto pia. Il fratello Bartolomeo l’amava come la piccola perla tra gli smeraldi di quei prati. La casa sua, non ricca e non povera, una casa colonica co’ suoi agi sufficienti, piena di sole, di odori di fieno, di grano, di sorriso, del nome e del timore di Dio, divise con la Chiesa del paese la fortuna di assistere ai primi suoi slanci di pietà. Ella amava avvinghiarsi al collo della mamma perchè era là dove trovava riposo essendo là più che altrove che ella trovava Iddio. Ma presto ella, si trovò con le braccia allargate e levate in alto senza la mamma che le prendesse e se la stringesse al cuore. Aveva otto anni. La mamma l’avevano portata via per sempre. Allora amò il cimitero e prese aspetto de’ suoi fiori, mesta di già, un po’ pallida, conobbe il pianto e apprese a guardare vagamente per le croci e su in alto il cielo cercando un punto di riposo.

Passarono due anni così. Il padre non la capiva. Era unico suo conforto la Chiesa e qualche vecchia povera cui dava il pane.

A 10 anni vide una donna entrare in casa, occupare tutti i posti della mamma. Ella brillò, provò a dire ancora: mamma; ad allargare e a innalzare ancora le braccia, ma quella non era la mamma; le braccia non furono accolte; ricaddero con un senso infinito di pianto.

La matrigna vedeva in quella figurina gentile un ricordo di quella passata. Anima rozza, cattiva, pensò soffocarne le rimaste bellezze. La fanciulla sentì ogni sfogo del cuore urtare contro di lei, come contro una piastra di ferro; si vide intorno un lago di odio immeritato, ma che doveva affogarla. Capiva che a poco a poco calava a fondo. Non si poteva durar molto così con un cuore come il suo. La casa divenne un tormento; le sue opere di pietà schernite, le sue gentilezze giudicate stupidità; il suo cuore rimase senza una vibrazione di contraccambio.

Oh belle sere infantili domestiche, oh preghiere fatte con le mani nelle mani della povera mamma, guardando la campagna! Tutto finito, tutto finito.

Ed ella intanto cresceva. Quattordici, quindici, sedici anni. La vita che in quella età è piena di incanti e di seduzioni, piena di bisogni e di rivolte, di aspirazioni a Dio e di passioni per la terra, trova suo rifugio in Dio e nella famiglia. E’ quella l’età per la giovane, in cui solitamente si formano gli ideali e il cuore dolcemente e appassionatamente vi si inclina, e traverso ai casti sogni dell’anima, vede delinearsi la sua vita futura.

Ella sentiva una vita piena in sè, un ardente bisogno d’amare. Stanca d’essere schiacciata, con una famiglia a cui ormai s’era fatta straniera, incominciò a guardare di fuori e a cercare. Amava veder sola i tramonti. Le nebbie azzurrine della sera le parevano ritratto della sua anima mesta. Si accasciò alquanto nella pietà. Parve che la mamma si fosse ritirata lontana lontana, più che al di là della tomba. A Dio non diede più la punta de’ suoi sospiri; sospirò un terreno amore; lo invocò.

Ah fanciulle, nessune vi ama come Dio e nessuno come Egli può cercarvi un cuore degno su cui appoggiarvi; non distaccatevi dalla sua mano quando cercate la mano di uno sposo; Egli è che vi guida per l’ardua via degli affetti e solamente sarete felici quando il cuore di Dio sarà nel mezzo, tra il vostro e quello che voi amate. Ella invece volle andar sola. Si smarrì.

Vide la prima volta chi cercava, in una festa campestre. Egli le passò l’anima col fuoco del suo sguardo. Tutta la campagna rideva: gli ulivi, gli olmi, la vite, le betule lungo i fossi; l’aria era come una malia: Ecco qui, ecco qui, io sono felice, disse. Aperse l’anima; vi entrò la fisionomia di Arsenio dei Marchesi del Monte, con tutti gli aromi dei campi aprichi; e quando fece per serrarsela dentro, il carbone di Dio la scottò. La mamma le diceva in fondo: sei fatta per Dio! Una lagrima le corse dentro il cuore e parve ritornasse fino a quella pia che parlava così intimo la parola di Dio. Ma Arsenio da quel dì non la perdette un istante di vista. Se ella era ferita, egli ardeva. Ricco, giovane, d’un casato potente in quelle terre, non conosceva rifiuti. Quando la interrogò, ella vide in fondo l’abisso, ma vide dall’altra parte la casa fredda della matrigna, non vide Dio o finse non vederlo; rispose di sì tremando tutta nel sangue e nello spirito.

Un giorno, dal cielo, sua mamma la vide venire agitata dal campo, rossa, vestita bene, ma a capo chino, quasi a sbalzi nel passo.

Era caduta. Aveva appena compiuti i 16 anni!

O mio Dio quale rovina! Ella vide quella sera andarsene via la pace del cuore. Ogni foglia, ogni erba le mandava un rimprovero. Il cimitero, la chiesina, il canto delle compagne di ritorno dal campo, le case, tutta Laviano avvolta nell’aria calda e nel suono dolce delle campane dell’Angelus, le misero l’inferno nel cuore. E un dì le metteva tanta poesia di pace! Si vide quale era diventata. Arse il carbone di Dio.

[p. 295 modifica]Dio mio, Dio mio perchè non vi chiamò mentre ella lasciò detto che vi sentiva tanto?

Ella si appoggiava sopra una promessa di Arsenio; conosceva la cavalleria: la parola d’un cavaliere è sacra, diceva, egli mi farà sua sposa.

Ciò che la casa sia per lei divenuta allora, appena si può ideare.

Ella si trincerò nel suo orgoglio per celare il rimorso.

La matrigna si vide vinta dalla fierezza di Lei. Ella andava e veniva con quell’aria che prende chi ha tutto perduto, aria indifferente.

Bisognava però arrivare fin in fondo; anime come la sua non si fermano sulle chine. Fuggiamo, le disse Arsenio; il mio castello di Valiano è una reggia; le mie tenute di Montepulciano ti aspettano.

Ah fuggire! Andare incontro al disonore pubblico, romperla perfino con la speranza di un rimedio! Ella non pensò più a nulla, pensò a chi le preparava una casa. Sognava sempre una casa.... Ora la porta le veniva aperta.

Andiamo.

Fuggirono di notte, dicono le memorie del suo confessore; ella col rimorso, Arsenio con la gioia del rapimento. I boschi dormivano mezzo allagati dalla Chiana straripata, i prati si riflettevano qua, là, di sotto all’acqua come grandi cristalli verdi. Per andare a Valiano bisognava traversare uno di questi stagni, la barca era pronta; vi si enti ò. Dio aspettava quella infelice per scuoterle il cuore in quei silenzi; il suo nome le veniva ripetuto dal gorgolio dell’acqua tra un tonfo e l’altro del remo. Stretta a chi la portava via, sentì oscillare la barca, mandò un grido, la barca si capovolse.

(Continua).

Can. Pietro Gorla.

ECHI E LETTURE


L’editore Perrin ha pubblicato un volume di interessantissimi ricordi di Charles Sainte Foi nel quale si parla a lungo di Lamennais, perchè egli, messo dapprima al piccolo seminario di Nantes, legato d’amicizia coi fratelli Borè decise poi di ritirarsi con loro alla Chesnaie — il famoso collegio diretto dal celebre abate — per compiere gli studi sotto la guida di Lamennais. Dalla Chesnaie passò a Malestroit, dove si accorse di non aver la vocazione sacerdotale. Prese quindi a viaggiare, finchè stabilitosi a Parigi incominciò la pubblicazione di una serie di lavori che denotano un’intelligenza vivissima ed un sentimento religioso serio e profondo. Tra questi lavori le Heures se’rieuses d’un jeune homme, e le Heures sérieuses d’une jeune femme godono ancora oggi in Francia di grande popolarità. Quando Sainte-Foi arrivò alla Chesnaie, vi trovò riuniti parecchi giovani, che sotto la guida dell’abate Lamennais e dell’abate Gerbet si preparavano ad essere i membri della nuova congregazione, che l’abate Fel), aveva in animo di fondare per sostituire i gesuiti. Del suo primo incontro con Lamennais così lasciò scritto il nostro A.: «Egli fu affascinante, spiritoso, allegro, pieno di abbandono e di confidenza, seducente come sapeva esserlo quando nulla lo contrariava, affettuoso fino alla tenerezza, amichevole fino alla familiarità. Eppure credetti scorgere in quell’espansione qualcosa di forzato. Mi meravigliai di un affetto, che nulla poteva ancora spiegare, poichè gli ero sconosciuto... Sotto il peso stesso di quell’ammirazione, che curvava la mia anima davanti al genio di quell’uomo, indovinai le debolezze del suo carattere e questa prima impressione mi ha salvato da molti errori ed ha preservato il mio spirito da un accecamento funesto». Per quanto Lamennais sia da biasimare per la sua apostasia, pure è giusto riconoscere che diede a tutti i suoi discepoli, principi così solidi e ortodossi, che quasi nessuno di essi, pur adorandolo quasi come una divinità, ne seguì i fatali errori. «Non vi era nulla (scrive il nostro A.), che angosciasse e turbasse Lamennais, quanto la bestemmia contro Iddio, contro Cristo e contro la sua Chiesa. Il suo viso più mobile che la superficie del mare, sembrava allora corrugarsi come l’oceano durante la tempesta. Sono convinto che la bestemmia ammessa sotto forme crude e violenti avrebbe sconvolto i nervi di quel debole corpo al punto di fargli venire le convulsioni.

  1. Vita et miracula Sanctae Margaritae de Cortona, autore Juncta Bevegnate.
    Bollandisti. Acta SS. Februarii III, pagg. 758 e 300-356.
    Lodovico da Pelago. Antica leggenda della vita e dei miracoli di S. Margherita, Lucca, 1793.
    Crivelli (E.). Antica leggenda della vita e miracoli di S..V. di Cortona, Siena, 1897.
    Wadding. Annales Minorum, anno 1297, tip. Rochi Bernabò, Roma 1733, tom. V, pagg. 20-24, 371-376.
    Marchese Francesco. Vita di S. M. d. C., raccolta dai processi per la sua canonizzazione (Venezia e Parma, 1747).
    Lorini Gaetano, Vita di S. Margherita da Cortona, Siena 1897,