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Il comento sopra la Commedia di Dante Alighieri di Giovanni Boccaccio. Tomo I/Avvertimento

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Avvertimento

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Copertina Errata Corrige

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La stima grandissima che il Boccaccio faceva del divino Alighieri, e delle sue opere, appare da molte testimonianze che ce ne ha lasciate nei suoi scritti, ove costantemente chiama Dante suo maestro, non perchè egli fosse da lui ammaestrato, poichè nacque pochi anni avanti la morte di Dante, ma per la dottrina che aveva attinta nello studio della divina Commedia. Benchè di questa opera esistessero molti e diffusi commenti, parve al Boccaccio di poter far meglio di quel che era stato fatto, e intraprese negli ultimi anni della sua vita l’illustrazione dell’Inferno di Dante, la quale non si estese oltre il Canto decimosettimo, che la morte lo sopravvenne. Questo prezioso Commento che di lui ci è rimasto, non sono che Lezioni da esso pubblicamente lette in Firenze per ordine della repubblica, ed abbiamo dal Monaldi nel suo Diario, che il Boccaccio cominciò a spiegar Dante in Firenze, Domenica, a di 23 [p. vi modifica]Ottobre 1373. Lodevolissimo parrà a ciascuno il divisamento della fiorentina repubblica di avere ordinato una cattedra per la spiegazione di Dante, ed averla affidata all’uomo più dotto ed eloquente di quel tempo.

Questo commento rimasto così incompleto per la morte dell’autore, giacque inedito fino all’anno 1724, epoca in cui fu pubblicato in Napoli per opera del Ciccarelli, con la falsa data di Firenze, in due volumi in ottavo. Quest’edizione fu eseguita sull’autorità di un codice appartenuto ad Antonio Magliabechi, la copia del quale fu fatta per cura dei due celebri letterati Anton Maria Salvini e Anton Francesco Marmi. Questa edizione era generalmente assai stimata, benchè modernamente qualche dotto studioso di Dante abbia dubitato della fedeltà della sua lezione. Procedendo sempre nel primitivo assunto di voler riscontrare su i manoscritti le opere volgari del Boccaccio, mi accinsi a questo non piccolo lavoro, e trovato nella libreria Magliabechiana lo stesso codice che servì per la precedente edizione del 1724, ne intrapresi il confronto, piuttosto per volontà di effettuare scrupolosamente la mia promessa, che per la supposizione di trovar da emendare. Ma non andò così la bisogna, poiché nel corso di questo primo volume, che è un terzo di tutta l’opera, ho potuto rilevare più di duecento fra errori e omissioni, senza tener conto di molte altre inesattezze: nel successivo volume gli errori, e le omissioni d’interi periodi, faranno certamente sorpresa. Questo fatto mi ricondusse alla memoria l’acerbe critiche che ai giorni [p. vii modifica]nostri si divulgarono contro il benemerito editore dell’Ottimo Commento sopra Dante, il Sig. Alessandro Torri. Dopo parecchi anni di assidue fatiche per dare alla luce un’opera desideratissima, dovendo lottare con un’antica scorretta copia, la sola che si conosca di quest’opera, ed avendo di più trionfato nell’emendare più di due mila lezioni errate, fu inurbanamente rampognato per pochissimi errori, e molti non lo sono neppure, che scorsero nella sua edizione. Che avrebbe mai scritto il critico contro Anton Francesco Marmi, e il celebre Anton Maria Salvini, se fosse vissuto in quell’epoca? Sull’autorità della copia da essi trasmessa al Ciccarelli di Napoli fu stampato il Commento del Boccaccio sopra Dante; questa copia fu tratta da un manoscritto eccellente, interissimo, e scritto a parole chiare e rotondeggianti; pure vi scorsero un’infinità di errori, omissioni, e controsensi, non per colpa del codice, che questo leggeva benissimo, ma di chi ne trasse la copia. E che la colpa sia tutta della copia, e non dell’editore napoletano, si rileva da qualche nota apposta dall’editore in alcuni passi di dubbia lezione, ove avverte il lettore, qui sembra che manchi, e il manoscritto di fatto era stato copiato infedelmente, come sono stato in grado di riscontrare. Nessuno al certo vorrà dubitare della critica e della capacità di un Marmi e di un Salvini, ma molti converranno facilmente che è impresa assai più agevole il criticare che il fare, e che è affatto impossibile poter pubblicare senza errori un’opera antica che per la prima volta si tolga dai manoscritti: ma di questa verità [p. viii modifica]non possono pienamente convenirne, che tutti quelli che hanno provato per esperienza la difficile impresa di sì fatto lavoro.

Il manoscritto sopra il quale fu fatta l’edizione di Napoli sopra indicata, è quello stesso di cui mi son giovato per emendare il testo dell’edizione da me procurata: esiste nella biblioteca Magliabechiana al numero 58. È stato scritto sul principio del secolo XV, tutto dall’istessa mano, ed è cartaceo in foglio, consistente di pagine 467. Questo bel codice è correttissimo, ed è facile accorgersi che fu copiato da persona di non comune intelligenza: reca però dispiacere di osservare il margine delle pagine occupato da inutili postille, e spesso anche il testo, con goffi freghi e richiami il carattere di queste postille è di mani diverse, dei secoli XVII, e XVIII.

Io non ho certamente la presunzione di offrire agli ammiratori del Boccaccio e agli studiosi di Dante quest’edizione del Commento perfettissima e senza errori di sorta, so che affermerei l’impossibile. È però vero che molti editori e antichi e moderni proclamano le loro edizioni come il tipo della perfezione, con quella medesima indiscretezza, con la quale bene spesso i critici censurano gli editori. Il lettore intelligente giudicherà quanto gli uni e gli altri siano valenti speculatori dell’umane forze. Ben lungi da supporre perfetta l’opera mia, ho bensì la convinzione di avere adempito all’impegno contratto nel miglior modo che per me si poteva, e la certezza di avere infinitamente migliorato il testo del Commento del Boccaccio, che assai infedelmente si leggeva nella [p. ix modifica]prima ed unica edizione del 1724. Per avvalorare quanto asserisco non dispiacerà al diligente lettore di osservare una serie delle principali emendazioni che ho procurate a questa edizione in questo primo volume, la quale può servire di Errata-Corrige all’edizione del 1724.