Il fanciullo nascosto/Le prime pietre

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Le prime pietre

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Un uomo e una donna

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Le prime pietre.

L’appuntamento era alle sei precise: eppure quando un poco più tardi l’uomo gobbo fermò il suo carrozzino nuovo davanti all’afa deserta di sua cognata, nella casa in fondo nera sul chiarore dei pioppi battuti dal sole nascente, le persiane malandate erano ancora tutte ermeticamente chiuse. Tuttavia il gobbo non volle scendere: aveva il suo orgoglio, anche lui, e credeva di deprezzare la cognata vedova e bisognosa ma aristocratica, quanto lei disprezzava lui, ricco, ma villano e gobbo.

La porta e le persiane, però, rimanevano chiuse. Probabile che quella gente, là dentro, dormisse ancora. Non era mai stata puntuale, quella gente; dormiva anche se la casa cascava; anzi la casa cascava appunto perchè i padroni dormivano.

Bisognò che il gobbo si decidesse a schioccare la frusta, sogghignando, coi piccoli oc[p. 312 modifica]chi di gatto scintillanti nel viso rosso gonfio; e come nessuno appariva ancora, cominciò ad irritarsi sul serio. Cosa credeva, la cognata, di fargli un favore concedendogli per un giorno la compagnia del figliuolo? Ma lui, benchè gobbo e deriso da tutti, non aveva bisogno di compagnia; aveva i suoi fondi, le sue giovenche, le sue bottiglie e i suoi marenghi, per compagnia, che Dio stramaledica tutti gli uomini dritti e le donne aristocratiche: le altre almeno, pure burlandosi di lui, non lo sfuggivano, perchè il gobbo porta fortuna: porta fortuna agli altri, si sa. Lui intanto si masticava i baffi per la rabbia, ricordando, in quei pochi momenti di attesa davanti alla vecchia casa signorile, tutte le disgrazie e le umiliazioni della sua vita, dalle frustate che gli dava il fratello studente, da ragazzi, al rifiuto ultimo della cognata di andare ad abitare con lui nella sua casa nuova a tre piani; tutte, dal grido dei monelli dietro le siepi — gobbo gobbino — ai pugni che i suoi amici gli davano scherzando sulle spalle storte dopo aver bevuto e fatto saltare fino al soffitto il suo lambrusco chiassoso.

Ma di tutti voleva liberarsi, di tutti, comin[p. 313 modifica]ciando da questi parenti straccioni che non lo volevano vivo ma certo speravano in lui morto; e alzò la frusta per spingere il cavallino e andarsene....

Oh, ma ecco la signora cognata che finalmente si degna di apparire nel vano scuro della porta, alta, vestita di nero, con le treccie gialle intorno al viso bianco, rigida come la figura di un quadro: non le manca che la corona per sembrare la figlia di Carlo Magno.

— Ah, — disse con dolcezza lenta, — adesso Stellino viene. Eccolo.

Nascosto dietro di lei apparve Stellino: tale e quale lei, bianco, biondo, altino, vestito bene, con le scarpine gialline, le calze gialline, le ginocchia lucide sotto i bianchi calzoncini tirati su dalle bretelle bianche. All’ombra della pagliettina nuova col nastro di lutto gli occhi erano quelli dello zio, occhi di gatto, ma di gattino allegro pronto alla caccia di tutte le cose, anche d’un soffio d’aria. E se prima stava nascosto, non per la vergogna ma per il piacere, adesso d’un salto fu giù nell’aia e con un altro salto sulla ruota del carrozzino. Vi stette un bel po’, con la sola punta d’un piede, le braccia [p. 314 modifica] lunghe tese oscillanti come quelle d’una bilancia: e si volgeva a guardare la madre: e la madre, di lassù, pallida, immobile, col cuore che dentro le batteva forte, e lo zio sul carrozzino, pur sogghignando e minacciando con la frusta, pensavano la stessa cosa:

— Ecco Stellino che sarà la nostra vendetta.

— Da bravo, Stellino, adesso va dentro; obbedisci allo zio, su....

— Se no frustate quante ne vuoi.

Il carrozzino s’avviò: pareva andasse da solo perchè il cavalluccio, sotto una specie di gabbano grigio umido, non contava niente. Non si sentiva che il sonaglio, eguale, sempre eguale, e la polvere rosea metteva sempre un velo davanti nella strada eguale eguale, sempre eguale, bianca fra due fossi verdi quasi asciutti e due file di siepi e di ontani, e una striscia azzurra sopra. Qualche carrettino passava, con l’uomo ritto dentro; ma Stellino si voltava solo quando i grandi uccelli argentei delle biciclette scintillavano volando tra la polvere: allora si voltava, pensava a sua madre che puliva piano piano il vetro del quadro del babbo, sopra il cassettone, e si metteva a ridere.... [p. 315 modifica]

Lo zio per un poco aveva taciuto: inghiottiva la saliva e con la saliva le parole acerbe che non era conveniente dire a un innocente.

Tutto però ha un limite, nel mondo, e varcato questo limite non ci sono più, nel mondo, nè innocenti nè non innocenti.

— Dimmi un poco, Stellino, perchè tua madre ti ha messo il vestito nuovo? Credeva che ti conducessi alla fiera? Si va al fondo a lavorare, a diventare bifolchi....

Il ragazzino si guardò le bretelle, la camicetta nuova, si sporse per veder meglio le sue belle calze e le sue belle scarpe gialline.

— Eh, così! — disse sorridendo a tutte queste cose che gli piacevano molto.

— Come, così? Così e così! Così faceva tuo padre; perciò è morto miserabile, lontano dalla patria. E tua madre cosa si crede, la figlia di Carlo Magno? Poteva almeno dirmi di entrare.

— Eh, perchè era tardi, e aspettavamo da tanto. Era notte, quasi, quando mi sono alzato. E la mamma diceva: chissà che lo zio Juacchino non cambi parere.

— Io, cambiare parere? — egli gridò mettendosi un dito entro il fazzoletto al collo [p. 316 modifica]

Lo zio per un poco aveva taciuto: inghiottiva la saliva e con la saliva le parole acerbe che non era conveniente dire a un innocente.

Tutto però ha un limite, nel mondo, e varcato questo limite non ci sono più, nel mondo, nè innocenti nè non innocenti.

— Dimmi un poco, Stellino, perchè tua madre ti ha messo il vestito nuovo? Credeva che ti conducessi alla fiera? Si va al fondo a lavorare, a diventare bifolchi....

Il ragazzino si guardò le bretelle, la camicetta nuova, si sporse per veder meglio le sue belle calze e le sue belle scarpe gialline.

— Eh, così! — disse sorridendo a tutte queste cose che gli piacevano molto.

— Come, così? Così e così! Così faceva tuo padre; perciò è morto miserabile, lontano dalla patria. E tua madre cosa si crede, la figlia di Carlo Magno? Poteva almeno dirmi di entrare.

— Eh, perchè era tardi, e aspettavamo da tanto. Era notte, quasi, quando mi sono alzato. E la mamma diceva: chissà che lo zio Juacchino non cambi parere.

— Io, cambiare parere? — egli gridò mettendosi un dito entro il fazzoletto al collo [p. 317 modifica]dosi che ogni volta che adoprava quel metodo con sua madre, anche se lei era arrabbiatissima, facevano subito pace.

— Lasciami, birbante; mi fai male.

— No, no, no e no, se non mi date un bacio anche voi. Così, va bene: un altro.... un altro ancora; e datemi anche la frusta....

La frusta gli fu data, e lo seppe a sue spese il cavalluccio, che parve risorgere sotto il suo manto e capì ch’era passato sotto un nuovo padrone.

Il gobbo era diventato un po’ bianco in viso: si frugava con due dita il taschino del panciotto e inghiottiva la saliva.

Quando non ne potè più disse:

— Ti voglio dire perchè andiamo al fondo delle Tre Case. Ne voglio fabbricare una quarta, di casa, ma bella; le fondamenta sono già fatte e oggi si comincia la fabbrica. Metterai tu le monete in fondo: hai capito? Tu.

— Quanto, zio? Tante, vero?

— Perchè tante?

— Eh, così!

Ma vedendo che lo zio s’irritava di nuovo per l’«eh, così!» aggiunse:

— Così quando la casa è distrutta e le tro[p. 318 modifica]vano dicono: il padrone era un uomo ricco, ricco, ricco....

— Speriamo, — disse il gobbo, ammansito.


Gli operai aspettavano, fra i mucchi bianchi delle pietre pronte per la fabbrica. Stellino fu di volo sulla cima del mucchio più alto, con le braccia lunghe tese come quelle d'una bilancia. Di lassù vedeva bene tutto: il fondo composto di quattro immensi quadrati verdi, intorno ai quali i festoni della vite già carichi di grappoli rosei pesanti parevano pronti a una danza coi peschi e i meli che li sostenevano: le tre casupole nere in fondo, col fumo azzurro che si spandeva basso sul tetto, là dove fra i salici biancheggiava la linea netta dell'argine del Po; e ai suoi piedi le fondamenta simili a due grandi zeta scritte sulla pagina nera della terra scavata. E sulla cavdagna1 erbosa lo zio che si avanza calpestando la sua ombra rotonda, senza testa. Tutto è bello, anche lo zio con la sua ombra senza testa: tanto bello che Stellino per sfogare la sua gioia sente il bi[p. 319 modifica]sogno prepotente di lanciare pietruzze qua e là, dove capita capita, anche sulla schiena degli operai e sulla gobba dello zio, curvandosi e sollevandosi sempre in equilibrio con un solo piede su una sola pietra che traballa.

— Stellino, scendi: che roba è questa, Dio ti stramaledì....

No, non bisogna maledire un innocente, anche se commette del male: eppoi, non sapeva perchè, lo zio gobbo provava gusto a vedere Stellino fare il monello. Gli operai si erano tirati indietro; ed egli ebbe l’impressione che fossero più rispettosi e timidi, quel giorno, solo perchè Stellino buttava le pietre.

— Ebbene, scendi! Ecco le monete: se no, le metto io, birbante.

D’un balzo Stellino fu giù, con le mani giunte concave, che richiuse tosto per farvi suonare dentro le monete. E così saltò dentro in una delle zeta, ove già l’operaio aspettava con la paletta, tre mattoni e un mucchio di cemento.

Gli altri si curvavano a guardare dall’orlo delle fondamenta, e di lassù gli occhi verdi del gobbo guardavano luccicando Stellino dritto là dentro come una statuina appena scavata. [p. 320 modifica]

— Indietro tutti; fabbrico io, — gridava il ragazzino, sempre facendo suonare le monete e guardando con un occhio solo dentro la scatola delle sue manine. Eccole, c’erano tutte, dentro, il centesimino, il soldo, il soldone, il nichelino, la lira, lo scudo. Questo sembrava il padre, la lira la madre e le altre i figliuoli.

— Indietro, tutti, dico; se no non faccio nulla.

Il gobbo tese le braccia davanti ai due operai che si protendevano con lui e li tirò un poco indietro: bisognava obbedire al vero padrone. Anche l’uomo dentro dovette andar fuori: e per qualche momento Stellino curvo dentro la buca sparve, fu come la statuina sepolta. Nel silenzio assolato del campo si udiva il rumore della cazzuola ch’egli batteva sui mattoni: poi come un grido di falco attraversò l’aria, ed egli fu di nuovo su, dall’altra parte della buca, proteso a guardare la sua opera.


Fu una giornata indimenticabile. Lo seppero tutti i grappoli a cui mancarono gli acini più maturi, e le galline che dovettero ritirarsi spaurite sulle loro travi fin dalla mattina, come avvenisse l’eclissi. Il vecchio [p. 321 modifica] bifolco che preparava gli gnocchi con l’accuratezza d’una massaia si passò il dorso della mano sulla fronte e disse al gobbo:

— Lo manderai a studiare, quello sgambirlotto, di’, cosa pensi?

Il gobbo, che aiutava a preparare il sugo, pensava alla sua signora cognata.

— Se la mia signora cognata vuole!...

— Perdiana! Adesso che è vedova e che avete fatto pace, la superbia le sarà passata. Se ti ha concesso il ragazzino oggi, te lo concederà domani: potreste anche vivere assieme, adesso, che hai la casa a tre piani.

Ritornando alla sua casa a tre piani, la sera, il gobbo ripensava a tutte queste cose. Stellino era stanco e gli si appoggiava addosso, tenero e molle. La luna rossa saliva in fondo alla strada eguale, sempre eguale, e tutte le cose nella vita sembravano dritte eguali sempre eguali come quella strada.

Stellino mezzo addormentato sognava acini e acini d’uva, e gli pareva di avere dentro le manine tanti centesimini che crescevano, diventavano soldi, lire, scudi, e scappavano da tutte le parti. D’un tratto si svegliò sbadigliando e rise, un risolino dolce, lontano, di sogno. [p. 322 modifica]

— La questione è questa, — disse, — che la mamma non vuole.

Il gobbo gli si chinò sull’orecchio.

— Che cosa?

— Ch’io diventi tuo figlio. Dice che meglio ce ne andiamo lontano e che lei fa la serva; meglio. Tanto i poveri diventano più bravi dei ricchi. Però....

— Però, Stellino, però?... Cosa?

Stellino spalancò gli occhi che brillarono e tosto si spensero.

— Eh, così! Quando lei sarà vecchia ed io sarò lontano, lei verrà a stare con te....

Tornò ad appoggiarsi, anzi mise la testina sulle ginocchia dell’uomo; e questo fece un movimento per scacciarlo, ma poi strinse le ginocchia perchè il ragazzino stesse meglio, e si allargò il fazzoletto sul collo perchè di nuovo provava un senso di soffocamento; infine si scosse e inghiottì la saliva guardando la luna, che a sua volta dal fondo della strada pareva lo guardasse, gonfia e rossa come lui, sola come lui. Però....

Note

  1. Sentiero.