Il proclama di Rimini (1861)

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Alessandro Manzoni

1815 Indice:Poesie di Giovanni Berchet.djvu Poesie Letteratura Il proclama di Rimini Intestazione 28 febbraio 2023 100% Da definire

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IL PROCLAMA DI RIMINI

FRAMMENTO DI CANZONE


APRILE, 1815.


O delle imprese alla più degna accinto,
     Signor che la parola hai proferita,
     Che tante etadi indarno Italia attese;
     Ah! quando un braccio le teneano avvinto
     Genti che non vorrian toccarla unita,
     E da lor scissa la pascean d’offese;
     E l’ingorde udivam lunghe contese
     Dei re tutti anelanti a farle oltraggio;
     In te sol uno un raggio
     Di nostra speme ancor vivea, pensando
     Ch’era in Italia un suol senza servaggio,
     Ch’ivi slegato ancor vegliava un brando.
     Sonava intanto d’ogni parte un grido,
     Libertà delle genti, e gloria e pace!
     Ed aperto d’Europa era il convito;
     E questa donna di cotanto lido,
     Questa antica, gentil, donna pugnace
     Degna non la tenean dell’alto invito:

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     Essa in disparte, e posto al labbro il dito,
     Dovea il fato aspettar dal suo nemico,
     Come siede il mendico
     Alla porta del ricco in sulla via;
     Alcun non passa che lo chiami amico,
     E non gli far dispetto è cortesia.
     Forse infecondo di tal madre or langue
     Il glorioso fianco? o forse ch’ella
     Del latte antico oggi le vene ha scarse?
     O figli or nutre, a cui per essa il sangue
     Donar sia greve? o tali a cui più bella
     Pugna sembri tra loro ingiuria farse?
     Stolta bestemmia! eran le forze sparse,
     E non le voglie; e quasi in ogni petto
     Vivea questo concetto:
     Liberi non sarem se non siam uni;
     Ai men forti di noi gregge dispetto
     Fin che non sorga un uom che ci raduni.
     
     Egli è sorto, per Dio! Sì, per Colui
     Che un dì trascelse il giovinetto ebreo
     Che del fratello il percussor percosse;
     E fattol duce e salvator de’ sui,
     Degli avari ladron sul capo reo
     L’ardua furia soffiò dell’onde rosse;
     Per quel Dio che talora a stranie posse,
     Certo in pena, il valor d’un popol trade;
     Ma che l’inique spade
     Frange una volta, e gli oppressor confonde;
     E all’uom che pugna per le sue contrade
     L’ira e la gioia de’ perigli infonde.

     Con Lui, signor, dell’itala fortuna
     Le sparse verghe raccorrai da terra,
     E un fascio ne farai nella tua mano
     . . . . . . . . . . . . .

ALESSANDRO MANZONI