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Il vecchio bizzarro/L'autore a chi legge

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L’autore a chi legge

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Lettera di dedica Personaggi
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L'AUTORE

A CHI LEGGE1.


N
EL rivedere la presente Commedia coll’oggetto di darla al torchio, la memoria mi suggerisce l’evento sfortunato ch’ella ebbe sopra le Scene, allora quando fu per la prima volta prodotta; e mi sovviene, che allora subito desiderai di poterla stampare, perchè il Pubblico avendola sotto l’occhio, sapesse dirmi con verità, se tanto parea cattiva in leggendola, quanto apparve nella sua rappresentazione. S’io mi credessi ch’ella tal fosse, quale in allora fu giudicata, vorrei nasconderla, vorrei lacerarla, anzichè a nuovi insulti esporla miseramente; ma esaminandola senza passione, non parmi essere indegna di quel generoso compatimento, che tante altre Commedie mie, di questa ancora più difettose, hanno dal Pubblico riportato. Molte combinazioni si uniscono spesse volte per fare che scomparisca un’opera sfortunata; e molte altresì favorevoli contribuiscono all’esito avventuroso. Nell’anno primo ch’io presi a scrivere per la Compagnia del Teatro de’ Nobili Vendramini, fatta non avea in pochi mesi la pratica delle persone che la componevano, e andava cercando in ognuno l’abilità e il carattere per far qualche cosa di nuovo. Eravi in allora un celebre Pantalone, di cui vive ancor la memoria dopo la morte della persona2; e mi lusingai, che quanto era egli valente colla sua maschera, potesse riuscire egualmente col volto scoperto; e quanto era lepido e gentile nelle conversazioni, avesse a comparire, nel suo naturale aspetto, piacevole sulla Scena. Scelsi per tal oggetto un carattere non meno grazioso che cognito e familiare nel paese nostro, uno cioè di quei Vecchi bizzarri, che noi vediamo frequentemente, i quali avendo passata l’età migliore con della vivacità e dello spirito, conservano [p. 420 modifica]nella vecchiaia lo stesso brio, la stessa disinvoltura. Certi tali uomini popolari, spiritosi, brillanti, da noi si chiamano Cortesani; e siccome altre volte aveva io dato alle Scene il loro carattere in gioventù, pensai farlo comparire nella sua verità conservato nella vecchiaia, e intitolai la Commedia Il Cortesan Vecchio, ch’è lo stesso che dire Il Vecchio Bizzarro. Lettor carissimo, se di quelli non sei che lo ha veduto rappresentare, non puoi figurarti l’irritamento del Popolo contro di esso, e le ingiurie che contro di me medesimo si scagliarono in quella occasione.

È vero che la Commedia riuscì malissimo; il personaggio suddetto, ch’era l’attor principale, avvezzo sempre a recitar colla maschera, e all’improvviso, si trovò talmente imbarazzato e confuso, che parea un principiante, e in luogo di animare le cose, come era solito, le faceva miseramente languire. Qualche altro personaggio, posto come lui nell’impegno di recitare le cose scritte, contro l’antico di lui costume, si confuse egualmente; e là dove la Commedia dovea brillare,

„Non cadde no, precipitò dal Palco.

Compatisco il popolo, che s’è annoiato; io medesimo non ebbi la tolleranza di vedere il fine della Commedia; partii dal Teatro per sollevarmi, e per mia mala sorte, andai a terminar la sera al Ridotto. Colà sogliono ragunarsi le Maschere, terminato il teatrale divertimento, ed ivi si sentono gli elogi o i biasimi delle rappresentazioni vedute, e specialmente la prima sera delle cose nuove rappresentate; ivi3 si pronunziano i giudizi, per lo più appassionati, e le sentenze barbare ed inumane. Fu per me un caro divertimento sentirmi strapazzare nella più sonora e caricata maniera che dar si possa; e la maschera che mi copriva, mi dava campo di penetrare nei circoli senza essere conosciuto, e di godermi le ingiurie delle quali mi caricavano. Non si fermavano già a discorrere della Commedia, a rilevarne giudiziosamente i difetti, e molto meno a criticarne gli Attori; ma contro di me eccitati, io era l’unico scopo delle satire e delle invettive. Non mancarono degli amici miei, che [p. 421 modifica]si provavano per difendermi, ma guai a loro, se continuavano; li avrebbero lapidati. Se a dir movevasi alcuno, essere stata la colpa di qualche Attore, rispondevano in dieci: no, non è vero, la colpa è sol del Poeta. Se rifletteva alcun altro, essere compatibile il Poeta istesso, dopo averne un sì gran numero pubblicate, eravi chi rispondeva: ha finito, ha finito; vuotato è il sacco; ed una signora maschera di genere femminino, che ho conosciuto benissimo, sedendo ad un tavolino, ove da quattro galantuomini si giuocava al Tresette, inquietando la partita loro, perchè applauso facessero alla sua voce stridula ed alle sciocche parole che pronunciava, mostrandosi di me informata, quantunque io non abbia avuto mai la disgrazia di praticarla, disse ch’ella sapeva benissimo, ch’io era per lo passato provveduto del comodo di una buona raccolta di Commedie di vari tempi, incognite all’universale, dalle quali avea copiato tutto quel poco di buono ch’erasi di mio veduto, e che questa venuta al fine, io era rimasto in secco. Di questa signora maschera ho dato un cenno nella prefazione seconda del Tomo Ottavo della edizione mia Fiorentina, al proposito degl’Imprudenti4; e se ora mi do l’onore di nuovamente ricordarmi di lei, non è che per l’occasione profittevole che mi si presenta, e per dirle che il magazzino delle Commedie incognite non era in quel tempo altrimenti finito; poichè ne ho prodotte dopo d’allora altre venti almeno per la maggior parte felici, e tuttavia ne vo producendo.

Una cosa mi ha sempre fatto grandissima specie, e non posso dissimularla, e non mi avvezzerò mai a soffrirla senza maravigliarmi, e senza provarne sensibile dispiacenza. Che le Commedie mie non incontrino, non è maraviglia, anzi per lo contrario consolar mi deggio, che senza merito molte di esse vengono bene accolte e benignamente applaudite. Ma dopo il fortunato incontro di una Commedia, come successe in quell’anno medesimo alla Sposa Persiana, rappresentata trentadue volte con un concorso e con uno strepito universale sì grande, subito dopo, trovandosi il popolo malcontento di un’altra, abbiasi a dimenticare sì presto la sua compiacenza, e [p. 422 modifica]il merito che fortunatamente ho avuto di divertirlo; e in premio almeno delle mie fatiche non abbia la carità di compatirmi, e voglia con gli strapazzi ricompensare le mie fatiche, è una bibita troppo amara, e basterebbe a disanimarmi, se gl’impegni miei non mi tenessero incatenato. Ma il Pubblico è un capo che non ragiona se non col proprio piacere, e nella confusione di tanti oggetti raccolti, i nemici si sfogano dove trovano il campo aperto a poterlo fare; e gli amici istessi pare che si vergognino a giustificare l’Autore, nelle occasioni dei suoi difetti o delle sue sfortune.

Stampandosi ora questa male avventurata Commedia, spero non averà l’incontro di prima. Lascio al Lettore la libertà di considerarla da per se stesso; e siccome non fu partitamente attaccata, è inutile ch’io la difenda con apologia più particolare. Temendo non mi succeda lo stesso, s’ella venisse qualche altra volta rappresentata, per la difficoltà di ritrovare un Vecchio grazioso senza la maschera, l’ho posta io medesimo presentemente al Vecchio Bizzarro, facendolo rappresentare dal nostro benemerito Pantalone.

  1. Questa prefazione fu stampata in testa alla commedia nel t. II (1757) del Nuovo Teatro Comico di C. Goldoni, Venezia, Pitteri.
  2. Francesco Rubini, m. 1754: vedi a pag. 19, n. 1.
  3. Ed. Pitteri: .
  4. Vedasi pref. al Contrattempo, nel t. IX della presente edizione.