Iliade (Romagnoli)/Canto XII

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Canto XII

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Omero - Iliade (Antichità)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1923)
Canto XII
Canto XI Canto XIII

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     Cosí Pàtroclo, il prode figliuol di Menezio, curava
dentro le tende il ferito Eurípilo. E Argivi e Troiani,
gli uni confusi con gli altri, pugnavano. E fato non era
che resistesse piú a lungo dei Dànai la fossa ed il muro
5alto sovr’essa. A schermo dei legni l’avevano alzato,
ed una fossa intorno scavata, che fosse riparo
dell’opulente prede, dei rapidi legni; ma ostie
poi non offersero ai Numi: levato fu contro il volere
degl’immortali Celesti; né in piedi restò lungo tempo.
10Sinché durò lo sdegno d’Achille, e fu Ettore vivo,
in piedi anche l’eccelsa muraglia restò degli Achivi;
ma quando spenti furon quanti eran piú prodi Troiani,
e degli Argivi, questi caduti, superstiti quelli,
e saccheggiata, dopo dieci anni, di Príamo la rocca,
15e sopra i legni tornati gli Argivi alla patria diletta,
pensarono anche al modo d’abbattere il muro, due Numi,
Posídone ed Apollo, guidando la furia dei fiumi,
quanti dai monti d’Ida ne scorrono giú verso il mare,
e Reso, ed Eptapòro, e Rodio, e Carèso e Graníco,

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20ed Èsepo, divina fluente, e Scamandro e Simèta,
dov’eran tanti scudi di cuoio ed elmetti crestati
piombati al suolo, e insieme le stirpi d’eroi seminumi.
Febo le foci di tutti distolse, e sul muro le spinse
per nove giorni; e Giove continua pioggia versava,
25perché piú presto il muro sommerso restasse nell’onde.
E il Dio stesso che scuote la terra, stringendo il tridente,
l’acque guidava; e i sostegni del muro, i macigni ed i tronchi
che avean posti a fatica gli Achivi, disperse nell’onde,
ed una piana fece lunghesso il veloce Ellesponto,
30e, giú scomparso il muro, di nuovo celò con la sabbia
la vasta spiaggia, e i fiumi rivolse, a tornare nei letti
loro, dov’essi prima volgevano limpide l’acque.
Questo dovevano fare Posídone e Apolline un giorno.
Ma come un fuoco, allora, la zuffa e le grida guerresche
35ardeano intorno al muro: rombavan le travi percosse
sopra le torri; e gli Achei, dalla sferza di Giove domati,
presso le concave navi restavano chiusi e addensati,
ch’Ettore troppo temevan, l’artefice fiero di fuga.
Ed ei, come già prima, pugnava, e sembrava procella.
40E come quando in mezzo fra i cani e fra gli uomini in caccia,
fiero della sua forza, s’aggira un cinghiale o un leone,
e quelli l’uno all’altro si stringono, a foggia di torre,
fronte gli fanno, e contro gli lancian, con mano gagliarda
fitte saette: alla fiera non trema il magnanimo cuore,
45non si sgomenta, e la sua prodezza l’adduce alla morte:
spesso si volge e tenta l’assalto alle file nemiche;
dove si volge, la schiera degli uomini cede: del pari
Ettore in mezzo alle turbe moveva, eccitava i compagni
a traversar la fossa. Ma i suoi pie’ veloci cavalli,

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50far non ardivano il salto; ma fermi, con alti nitriti,
stavano all’orlo estremo: ché troppo l’amplissima fossa
li sgomentava: ché facil non era varcarla d’un balzo,
né traversarla; ché tutto d’intorno, da un lato e dall’altro,
sorgevano scoscese le ripe, e munite di pali
55aguzzi: ivi confitti li avevano i figli d’Acaia,
spessi ed immani, perché respingesser le genti nemiche.
Qui mal poteva un cavallo, traendo il volubile carro,
oltre balzare: tentarlo potevano solo i pedoni.
Polidamante prode, cosí disse ad Ettore allora:
60«Ettore, e tutti voi che guidate Troiani e alleati,
stoltezza è che i cavalli si spingan traverso la fossa,
è malagevole troppo, varcarla; e vi sono confitti
aguzzi pali, e intorno v’eressero un muro gli Achivi.
Possibile non è discendere al fondo, e coi carri
65pugnare: in quella stretta, saremmo di certo distrutti.
Se il danno lor disegna, se addotti li vuole a sterminio
Giove che tuona dall’alto, se vuol favorire i Troiani,
io certo bramerei che súbito questo avvenisse,
che, senza gloria, lungi morissero d’Argo gli Achivi;
70ma se volgesser la fronte, se ardesse di nuovo la pugna,
e dalle navi respinti noi fossimo giú nella fossa,
neppure uno di noi, se gli Achei c’inseguissero in fuga,
tornar potrebbe indietro, per dar la notizia ai Troiani.
Ma su, come io consiglio, cosí tutti quanti facciamo:
75tengan fermi gli aurighi sull’orlo del fosso i cavalli;
e noi tutti, ben chiusi nell’armi, moviamo pedoni,
Ettore tutti seguiamo, serrati in falange; e gli Achivi
non reggeranno, se il laccio di morte già stretto è per essi.
Tale di Polidamante fu il mònito; e ad Ettore piacque.

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80Súbito giú dal carro balzò, tutto chiuso nell’armi;
né piú gli altri Troiani rimaser sui carri addensati,
ma giú saltaron tutti, com’ebber veduto il divino
Ettore; ed affidò ciascuno i cavalli a l’auriga,
ché li tenessero in fila, disposti su l’orlo del fosso;
85e, separati, poi, da sé disponendosi a schiere,
formaron cinque gruppi, seguendo ciascuno il suo duce.
     Questi or, con Ettore, e Polidamante, guerrier senza macchia,
ivano, i piú valorosi, i piú numerosi e bramosi
di far breccia nel muro, pugnar presso i concavi legni;
90e li seguiva terzo Cebríone: ché a guardia dei carri
Ettore aveva un altro lasciato, di lui men valente.
Paride l’altro gruppo guidava, e Agenore e Alcàto;
Eleno il terzo, e seco Dëífobo, simile ai Numi,
figli di Priamo entrambi. Con loro Asio andava, l’eroe
95Asio, d’Ìrtaco figlio, che avevano addotto i cavalli
grandi, di crine ardente, dai rivi del fiume Sellento.
Quelli del quarto gruppo seguivano il prode figliuolo
d’Anchise, Enèa: due figli d’Antènore andavano seco,
Archiloco, Acamante, ben pratici d’ogni battaglia.
100E Sarpedonte infine, guidava gl’insigni alleati,
che seco Asteropèo fortissimo e Glauco prese,
ché questi erano a lui sembrati fra tutti i piú prodi,
dopo di sé: ch’ei, pure fra tutti i piú prodi, era insigne.
Ora, poi che gli scudi di cuoio appressâr gli uni agli altri,
105mossero contro i Dànai, furenti, e pensaron che quelli
non reggerebbero, e in fuga cadrebber sui neri navigli.
     Qui tutti quanti i Troiani, coi celebri loro alleati,
s’attennero al consiglio di Polidamante. Solo Asio,
d’Ìrtaco figlio, re di genti, lasciare non volle

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110sovra la sponda, all’auriga, che qui li reggesse, i cavalli,
ma, sovra il carro, contro si spinse alle rapide navi.
Stolto! Ché non doveva sfuggire alle Parche maligne,
né dalle navi, pompa facendo del carro e i cavalli,
tornare ancóra ad Ilio battuta dai venti: ché prima
115sopra gli fu, lo avvolse la Parca dall’orrido nome,
d’Idomenèo con la lancia, del figlio di Déucali prode.
A manca ei s’era spinto dei legni, laddove gli Achivi
con i cavalli ed i carri tornare solevan dal campo.
Asio qui, dunque, aveva sospinti i cavalli ed il carro;
120né della porta serrate le imposte trovò, né la sbarra:
v’erano genti, a tenerle dischiuse, se qualche compagno,
dalla battaglia fuggiasco, salvassero presso le navi.
Quivi i cavalli sospinse, furenti; e con alto clamore
dietro gli furono i suoi: credevan che reggere all’urto
125piú non potrebbero, e in fuga cadrebber gli Achei su le navi.
Stolti! Ché sopra le porte trovaron due prodi campioni,
figli superbi dei Lapíti maestri di lancia:
l’uno, Polípete, prode guerrier, di Pirítoo figlio,
l’altro Leonte, a Marte, sterminio degli uomini, uguale.
130Or bene, questi due, dinanzi all’altissima porta,
stavano, come sui monti due querce dal capo sublime,
che giorno e notte all’urto resiston dei venti e le piogge,
abbarbicate al suolo con grosse radici profonde.
Cosí quei due, fidando nel saldo vigor delle braccia,
135il grande Asio attendevano qui; né l’invase sgomento.
E quelli, contro il muro saldissimo, l’aride pelli
levando alte sui capi, movevan con grande frastuono,
dintorno ad Asio re, dintorno a Iamèno, ad Oreste,
ad Adamante, d’Asio figliuolo, a Toòne, a Enomào.

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140A lungo i due, restando pur dentro, eccitavan gli Achei,
che dalle navi tenessero lunge i nemici; ma quando
videro poi che i Troiani piombavano già sopra il muro,
e i Dànai, alte levando le grida, fuggíano sgomenti,
fuori balzati entrambi, pugnarono innanzi alle porte,
145simili a due cinghiali selvaggi, che attendon fra i monti
la furia ed il frastuono che avanza di cani e di genti,
quindi si lanciano obliqui, d’intorno spezzando la selva,
dalle radici sbarbando le piante; e stridore di denti
suona, sinché con un colpo qualcuno di vita li privi.
150Similemente, il bronzo fulgente squillava, percosso
sopra i lor petti: due fieri pugnavano, in sé confidando,
e nei compagni loro, che stavano in alto sul muro.
Giú dalle solide torri scagliavano quelli macigni,
ché difendevan sé stessi, le tende e le rapide navi;
155e a terra i sassi giú piombavano, come la neve
quando gagliardo vento, squassando le nuvole ombrose,
fitta la spande giú, sovressa la terra feconda:
fitti cosí dalle man’ degli Achei, dalle man’ dei Troiani,
massi volavano; e secco rimbombo mandavano gli elmi,
160gli umbilicati scudi, percossi dai grandi macigni.
E un lagno allora alzò, le man’ si batté su le cosce
Asio, d’Ìrtaco figlio, proruppe in parole di sdegno:
«O Giove padre, dunque, tu pure sei vago d’inganni,
solo d’inganni? Io non mai credevo che i prodi d’Acaia
165regger potrebbero al nostro furore, all’indòmito braccio;
ed ecco, or, come vespe dall’agil corsale, come api
ch’abbian costrutto il nido sovressa una strada rocciosa,
non abbandonano mai la concava casa, ma ferme
lottano, contro chi vuole predarle, a difesa dei figli:

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170cosí, benché due soli, non lasciano quelli le porte,
se pria strage di noi non facciano, o cadano spenti».
     Cosí disse; né Giove mutò, pei suoi detti, la mente,
però ch’esso voleva concedere ad Ettore gloria.
     E intorno all’altre porte venivano a zuffa altre genti;
175ma non posso io, che un Nume non sono, narrare di tutti:
ché d’ogni parte, al muro d’intorno, dei sassi l’incendio
cresceva ardente; e a forza, per quanto avviliti, gli Argivi
pugnavano a difesa dei legni; ed afflitti i Celesti
erano, quanti erano usi proteggere i Dànai in guerra:
180ed appiccata i Lapíti aveano la guerra e la pugna.
     Qui Polipète, gagliardo figliuol di Pirítoo, l’asta
contro Damàso vibrò, lo colpí nella bronzea celata:
né resistette l’elmo di bronzo; e fuor fuori passando,
l’osso spezzò la punta di bronzo, e di dentro il cervello
185si sfracellò: l’abbatte’, mentr’ei si lanciava all’assalto.
Quindi, Pilone tolse di vita, quindi Òrmeno; e il germe
d’Are, Leonte, trasse di vita d’Antímaco il figlio,
Ippòmaco, d’un colpo che a mezzo la cintola il còlse.
Dalla guaina poi tratta fuori l’aguzza sua spada,
190primo Antifàte, su lui piombando fra mezzo la turba,
colpí da presso; e quello piombava sul suolo rovescio.
E dopo loro, Oreste, poi Mènone e Iàmeno, tutti,
l’uno sull’altro abbatte’, sovressa la terra feconda.
     Mentre spogliavano essi dell’armi lucenti i caduti,
195i giovani che mossi con Ettore e Polidamante
s’erano, ed erano i piú numerosi, i piú forti e bramosi
di far breccia nel muro, di mettere a fuoco le navi,
su l’orlo della fossa rimasero tutti perplessi:
ché, mentre eran lí lí per varcarla, un prodigio era apparso:

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200un’aquila alta in cielo, tagliando l’esercito a manca,
che fra gli artigli un immane recava dragone cruento,
vivo, guizzante ancóra, né ancor della pugna oblioso:
ché, ritorcendosi indietro, nel petto ferí, presso il collo,
la ghermitrice; e quella, crucciata di spasimo, a terra
205lunge da sé lo spinse. Piombò quello in mezzo alle schiere:
essa, mandando uno strido, volò via coi soffi del vento.
Abbrividirono, quando giacere nel campo i Troiani
videro l’agile serpe, prodigio del figlio di Crono;
e allor Polidamante, cosí disse ad Ettore ardito:
210«Ettore, tu nei consigli di solito sempre m’investi,
anche se bene io parlo; perché non conviene, tu dici,
che contro te, nei consigli, si levi a parlare un gregario,
né fra le zuffe; ma è bene che ognor la tua forza prevalga.
Or tuttavia ti dirò tutto quello ch’io credo pel meglio:
215sui Dànai non si muova, né intorno alle navi si pugni:
perché questo avverrà, credo io, se pur giunse ai Troiani
simile augurio, mentr’essi tentavan varcare la fossa.
L’aquila, ch’alta nel cielo, tagliava l’esercito a manca,
e negli artigli immani stringeva un dragone cruento
220vivo tuttora, via lo gittò pria che al nido tornasse,
né li potè recarlo, per darlo ai suoi figli in pastura:
e cosí noi, se pure potremo espugnare le porte
a viva forza, e il muro dei Dànai, e respingerli vinti,
non torneremo in pace, dai legni sul nostro cammino,
225ché lasceremo molti dei nostri, che avranno col ferro
uccisi ivi gli Achei, pugnando a difender le navi.
Rispondere cosí dovrebbe un profeta, se chiara
scienza d’auspici avesse, se fede gli avesser le genti».
     Ettore lo guardò biecamente, e cosí gli rispose:

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230«Polidamante, queste non sono parole d’amico:
certo, pensare sapresti parole migliori di queste;
ma se davvero questo che dici, lo dici per zelo,
allora sí, che i Numi t’avranno sconvolto il giudizio,
quando consigli che noi trascuriamo i decreti di Giove
235sire del tuono, che a me pur diede promessa ed assenso,
e invece tu consigli che ascolto si porga al veloce
volo d’augelli! Io no, di lor non mi curo, né bado
se vanno a destra, verso l’aurora ed i raggi del sole,
se vanno a manca, verso la densa caligine ombrosa.
240Obbedïenti noi saremo al decreto di Giove,
che sui mortali tutti, che regna su tutti i Celesti:
ottimo auspicio è solo combattere in pro’ della patria.
E tu, che cosa dunque paventi di guerre e di zuffe?
Anche se tutti noi cadessimo, quanti qui siamo,
245presso alle navi argive, paura non c’è che tu muoia,
ché il cuore tuo non è coraggioso, non è bellicoso.
Però, se dalla pugna t’astieni, se con la lusinga
delle tue ciance, qualche altro distoglier tu vuoi dalla pugna,
súbito dalla mia lancia percosso, dovrai qui morire».
     250E, cosí detto, mosse per primo; e seguirono tutti,
con infinito clamore. E Giove, dei folgori sire,
una procella di venti scagliò dalle vette de l’Ida,
che verso i legni recava la polvere, e torpide rese
le menti achee, concesse ad Ettore gloria e ai Troiani.
255Nei suoi prodigi dunque fidando, e nel proprio valore,
nel muro degli Achei tentarono aprire una breccia.
Strappavan le bertesche, crollare facevano i merli,
scalzavano coi pali dal suolo i pilastri sporgenti
che primi avean gli Achivi piantati a sorregger le torri.

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260Questi smovevano indietro, sperando che avrebbero infranto
il muro degli Achei. Né i Dànai cedevano ancora;
bensí, facendo siepe coi scudi di pelle sui merli,
di qui colpivan quanti nemici giacessero sotto.
     E sulle torri entrambi gli Aiaci, partendo comandi,
265correvano qua e là, gli Achivi eccitando a prodezza,
questo con detti soavi, quell’altro con dura rampogna,
se mai vedeano alcuno che in tutto la lotta obliasse:
«O cari, o degli Argivi chi ottimo sia, chi mediocre,
e chi da meno — perché di certo non son tutti uguali
270gli uomini in guerra — adesso c’è proprio da fare per tutti!
Ben lo potete vedere da voi! Piú nessuno si volga
verso le navi, adesso che avete udito il comando:
anzi, spingetevi innanzi, spronatevi l’uno con l’altro,
se pure Giove Olimpio vi dia, che, respinto l’assalto,
275sino alla loro città possiate incalzare i nemici!».
     Cosí, dinanzi agli altri gridando, eccitava gli Achei.
E come allor, che i fiocchi di neve, in un giorno d’inverno
cadono fitti, quando comincia il saggissimo Giove
a nevicare, se vuole mostrare i suoi strali alle genti,
280che fa sopire i venti, e nevica senza mai tregua,
sin che nasconde i fastigi dei monti, e le vette dei colli,
e del trifoglio i piani fiorenti, e degli uomini i campi;
poi sovra i golfi e le coste del mar che biancheggia s’effonde:
quindi la scaccia il flutto che giunge; ma tutta ravvolta
285ogni altra cosa resta, se cade la neve di Giove:
cosí d’ambe le parti volavano fitti i macigni,
ché ne scagliavano d’ambe le parti, gli Achèi sui Troiani,
questi su quelli; e sul muro tutto era un immenso frastuono.
Né allora Ettore avrebbe fulgente, né seco i Troiani,

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290frante dell’alto muro le porte e la solida sbarra,
se Giove non lanciava Sarpèdone, il proprio figliuolo,
contro gli Achivi; e parve leone su lucidi bovi.
Súbito a sé dinanzi lo scudo librato egli pose,
bello, di bronzo, foggiato coi màllei. Battuto l’aveva
295un fabbro: entro cucite v’avea fitte pelli di bovi;
e verghe d’oro, all’orlo correvano via torno torno:
fattosi schermo di questo, due lance vibrando, si mosse,
come leone cresciuto fra i monti, digiuno di carne
già da gran tempo: lo spinge l’intrepido cuore a far preda
300di greggi, anche se deve balzare in un saldo recinto:
ché, pur, se, giunto qui, trovasse sul luogo i pastori
che con le lance stanno, coi cani, a far guardia alle greggi,
lungi però, se prima non tenta, non va dall’ovile,
ma con un balzo dentro si lancia e fa preda; o ferito
305cade alla prima egli stesso, colpíto da mani veloci.
Cosí l’animo fiero spronò quel divino campione,
che sovra il muro balzasse, che i merli frangesse; e all’istante
queste parole a Glauco, d’Ippòloco al figlio, rivolse:
«Glauco, perché nella Licia noi due piú d’ogni altro onorati
310siamo, che i posti eletti abbiam nei banchetti, e le carni,
colme le coppe, e tutti ci onorano al pari dei Numi,
e gran poderi abbiamo lunghesse le rive del Xanto,
dove frutteti, dove son campi di grano fecondi?
Ora convien che primi, in mezzo alle schiere dei Lici,
315stiamo, a pie’ fermo affrontiamo, dov’essa piú arde, la zuffa,
perché dica qualcuno dei Lici dal solido usbergo:
— No, senza gloria i re non sono, che in Licia l’impero
stendono sopra noi, che mangian le floride greggi,
bevono il vino eletto di miele: ché pure è ben grande

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320la loro forza, quando combatton fra i primi dei Lici. —
E poi, diletto mio, se noi, qui sfuggiti alla morte,
viver potessimo eterni, immuni da morte e vecchiezza,
non mi vedresti allora lanciarmi fra i primi alla pugna,
né te sospingerei nella pugna che onora le genti;
325ma perché, invece, sopra ci stanno la Parche di morte
innumerevoli, e l’uomo schivarle non può, né fuggire,
avanti! E alcuno a noi dia gloria, o da noi la riceva!».
     Disse cosí; né sordo fu Glauco, né indietro si trasse.
Mossero entrambi, dei Lici guidando le fitte caterve.
330E Menestèo Petíde li scòrse, ed un gelo lo colse,
ché verso la sua torre moveano, recando il malanno;
e per la torre guardò, se alcuno dei duci vedesse
che dai compagni suoi potesse schermir la sciagura.
Ed ecco, entrambi vide gli Aiaci, mai sazi di guerra,
335saldi sui piedi, e Teucro che usciva lí lí dalla tenda.
Erano presso; ma invano gridava: nessuno l’udiva,
sí grande era il frastuono, fra urli che andavano al cielo,
rombe di scudi e d’elmi criniti percossi e di porte;
ch’erano tutte quante serrate le porte, e dinanzi
340stava il nemico, e tentava di frangerle a forza, e d’entrare.
E súbito ad Aiace mandò messaggero Toòte:
«Muoviti, corri, Toòte divino, ed Aiace qui chiama,
oppure, tutti e due: ché questo sarebbe pel meglio:
ché qui sovrasterà ben presto l’estrema rovina:
345tanto c’incalzano i capi dei Lici, che pur nel passato
impetuosi tanto lanciavansi ai fieri cimenti.
Ché poi, se pure lí la zuffa infierisce e il travaglio,
almeno il prode Aiace figliuol di Telàmone venga,
e Teucro insieme venga con lui, gran maestro dell’arco».

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     350Disse cosí; né fu ritroso al comando l’araldo:
correndo, s’avviò degli Achei lungo il muro; e ristette
poi che fu giunto presso gli Aiaci, e di súbito disse:
«Aiaci, o degli Achei loricati di bronzo signori,
il figlio di Petèo nutrito da Giove, vi prega
355che andiate lí, per porre riparo, sia pure di poco,
al loro affanno: entrambi sarebbe di certo pel meglio:
ché li sovrasterà ben presto l’estrema rovina:
tanto c’incalzano i capi dei Lici, che pur nel passato
impetuosi tanto lanciavansi ai fieri cimenti.
360Ché poi, se pure lí la zuffa infierisce e il travaglio,
almeno il prode Aiace figliuol di Telàmone venga.
E Teucro insieme venga con lui, gran maestro dell’arco».
     Disse cosí; né sordo fu il gran Telamonio, ma queste
parole alate volse di súbito al figlio d’Ilèo:
365«Aiace, qui voi due, te dico, ed il pro’ Dïomede,
restate, ed eccitate gli Achivi a combatter da prodi;
ed io frattanto andrò laggiú, farò fronte alla guerra,
e poi qui tornerò, quando a quelli avrò dato soccorso».
     E, cosí detto, Aiace figliuol di Telàmone, mosse,
370e Teucro, a lui fratello, ché nacquero entrambi d’un padre,
seco moveva, e Pandíone, che l’arco di Teucro reggeva.
E quando nell’interno movendo, fûr giunti alla torre
di Menestèo, trovarono in dura distretta i compagni:
ché i prenci valorosi che in guerra guidavano i Lici,
375simili a negra procella piombavano contro gli spalti.
Ruppero a lotta gli uni sugli altri; e surse alto il frastuono.
Il Telamonio Aiace qui primo die’ morte ad un prode,
all’animoso Epiclèo, di Sarpèdone sire compagno,
ché lo colpí con un sasso tutto aspro, che presso agli spalti

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380giacea, dentro dal muro, sul sommo; né retto l’avrebbe
un uomo, anche fiorente, di quelli che vivono adesso,
pure con ambe le mani. Lo levò, lo scagliò dall’alto,
e gli schiacciò le quattro difese dell’elmo, ed insieme
l’ossa del cranio gl’infranse; ed egli piombò giú, che parve
385un palombaro, dall’alto del muro; e senz’anima giacque.
E Teucro colpí Glauco, d’Ippòloco il figlio gagliardo,
che si lanciava all’assalto del muro: ove il braccio scoperto
vide, quivi colpí, desister lo fe’ dalla pugna.
Lungi dal muro balzò, si nascose, perché degli Achivi
390niuno vederlo potesse ferito, e menarne alto vanto.
Ma molto si crucciò Sarpèdone, ch’egli partisse,
súbito ch’ei se n’avvide; né pure lasciò la battaglia,
anzi, Alcmeóne abbatte’ con la lancia, di Tèstore il figlio,
poi trasse l’asta a sé: seguendo il piagato la lancia,
395cadde bocconi; e su lui rombarono l’armi di bronzo.
E poscia, ecco, afferrò con le mani gagliarde uno spalto,
e a sé lo trasse; e quello cedette per quanto era lungo;
e il muro fu scoperto di sopra, e schiuse ampia una via;
e Aiace, e Teucro insieme, piombaron su lui. Con un dardo
400questi il colpí sul petto, sovressa la lucida cinghia
del grande scudo — Giove però, da suo figlio lontane
tenne le Parche, sicché non cadesse vicino alle navi — ;
e Aiace anche balzò, lo colpí su lo scudo: la punta
non penetrò fuor fuori, ma pure, a respingerlo valse
405mentre moveva all’assalto. Indietro d’un poco si trasse;
ma non cede’ del tutto; ché il cuore sperava alta gloria;
e lanciò un grido, indietro rivoltosi, ai Lici divini:
«Lici, perchè cosí la nera prodezza obliate?
Difficile è per me, per quanto possa essere prode,

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410franger da solo il muro, aprire un passaggio alle navi!
Dunque, venite con me: ché in molti, piú agevole è l’opra».
     Cosí diceva; e quelli, pel grido del loro signore
impauriti, ressa facevano intorno a quel savio.
E, d’altro lato, dentro dal muro, serravan gli Argivi
415piú saldamente le schiere. Ben ardua l’opera allora
agli uni e agli altri apparve: poiché non potevano i Lici
frangere il muro dei Dànai, aprirvi il passaggio alle navi;
né i Dànai, maestri di lancia, poterono lungi
tener dai muri i Lici, poiché giunti v’eran dappresso.
420Ma come pei confini baruffano due contadini,
entro un promiscuo campo, che stringon le pertiche in pugno,
e sovra un tratto breve contendono uguali le parti:
cosí gli uni dagli altri tenevan divisi gli spaldi;
e su gli spaldi, l’uno colpiva sul petto dell’altro
425i saldi cuoi, gli scudi rotondi, e le targhe villose.
Molti trafitti avevan le membra dal bronzo crudele,
sia che scoperto alcuno lasciasse, volgendosi, il dorso,
mentre pugnavano; ed altri, puranche traverso gli scudi.
E d’ogni parte, le torri, gli spaldi, macchiati di sangue
430erano d’ambe le parti, di sangue troiano ed achivo:
però modo non c’era che andassero in fuga gli Achivi.
Come una donna proba, che vive filando, sospende,
ponendo il peso qui, la lana costí, le bilance,
che siano giuste, e ai figli non scemi la scarsa mercede:
435cosí si pareggiavan fra loro la zuffa e la pugna,
prima che Giove gloria piú fulgida ad Ettore desse
figlio di Príamo, che primo sul muro balzò degli Achivi,
e un grido alto levò, rivolto ai guerrieri troiani:

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«Su, di cavalli maestri, di Troia guerrier, degli Argivi
440frangete il muro, il fuoco fiammante avventate sui legni!».
     Cosí disse; e i guerrieri porgevano pronto l’orecchio,
e sovra il muro tutti piombarono a schiera, e stringendo
l’acuminate lancie, salian sugli spalti. E un gran sasso
Ettore allora ghermí, che stava dinanzi alla porta,
445lo sollevò: grosso era di sotto, ed aguzzo di sopra,
tal che neppure in due di quelli che vivono adesso,
neppure i due piú forti, potrebbero alzarlo dal suolo
sul carro; e senza stento, di Príamo il figlio, da solo
lo palleggiava: Giove leggero per lui lo rendeva.
450Come un pastore suole recare con sola una mano
la pelle d’un montone, ché il peso ben poco lo aggrava:
Ettore al pari di quello recava l’immane macigno,
contro le imposte, che alte, che doppie, sbarravano il varco
solidamente connesse: correvan di dentro due sbarre,
455l’una di contro all’altra: confitto era in ambe un sol perno.
Si fece sotto a quelle, ben salde le gambe allargando,
ché non fallisse il colpo, le còlse nel mezzo. Spezzati
furono i cardini entrambi, con tutto il suo peso il macigno
dentro piombò, mandò la porta alto mugghio, e le sbarre
460non resisterono, a pezzi, qua e là, sotto l’urto del masso,
volarono le imposte. Ed Ettore fulgido, dentro
balzò, che parve notte che piombi; e fulgeva, nel bronzo
ch’esso alle membra cingeva, terribile; e due giavellotti
stringeva in pugno: niuno l’avrebbe potuto frenare,
465tranne un Celeste, quand’egli la porta varcò. Pari a fuoco
ardea negli occhi; e, vòlto, gridava alle turbe troiane

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che valicassero il muro; né tarde eran quelle al comando.
Súbito alcuni il muro saltarono, irruppero gli altri,
pel vano della porta; e i Dànai fuggiron sgomenti,
470verso le concave navi, suonando frastuono perenne.