Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo XII

Da Wikisource.
../Capo XI

../Capo XIII IncludiIntestazione 15 marzo 2024 100% Da definire

Libro secondo - Capo XI Libro secondo - Capo XIII


[p. 186 modifica]

CAPO XII.

Arimino assediata dai Gotti. — Generoso provvedimento e sermone di Giovanni. — Il presidio spedito da Belisario ai Milanesi apporta a Genova, combatte al Ticino dov’è spento Fidelio prefetto dell’annona. — Teudeberto re de’ Franchi manda aiuti ai Gotti. Questi assediano Milano.

I. Non guari tempo dopo Vitige con tutto l’esercito approssimatosi ad Arimino ed alzatevi le trincee lo [p. 187 modifica]assediò; costruita quindi in fretta una torre di legno più alta de’ merli con quattro ruote al disotto fecela condurre laddove il muro s’appresentava più agevole da espugnare; ed acciocchè i suoi non venissero incolti da sciagura simile a quella provata nel romano assedio non fece uso nel trasportarla di buoi aggiogati, ma uomini ascosivi nell’interno con le mani loro davanle moto. Aveavi di più entro una larghissima scala per cui a tutto bell’agio salire; laonde siavansi tutti pieni di fiducia che l’accostare la torre alle mura e l’impossessarsi de’ merli, arrivando a questi la sommità della macchina, senza una fatica al mondo, sarebbe la cosa stessa. Proceduti con tale artifizio, il comparir delle tenebre persuaseli di abbandonare lor membra al riposo, e tutti vi aderirono, dopo aver messo guardie alle torre, nella ferma persuasione che un ottimo successo coronerebbe la meditata impresa, imperciocchè nessun ostacolo, salvo una piccolissima fossa, eravi frapposto.

II. Il pensiero della futura strage col nuovo dì tenne agitatissimi i Romani in quella notte, ma Giovanni intrepido e superiore ad ogni pericolo escogitò simigliante cosa. Ordinato al presidio di starsene entro le mura, egli con gl’Isauri, forniti di zappe e di altri opportuni stromenti, all’impensata dell’universale tra le più dense tenebre uscito della città comanda a’ suoi di profondare silenziosi la fossa; questi obbediscono, e quanta terra scavano tanta accumulanne sul margine di lei prossimo al muro, formandovi quasimente una seconda parete. Così, tenendosi bene ascosi al nemico tutto immerso nel sonno, riducono in brev’ora lo scavamento di regolare altezza [p. 188 modifica]e larghezza; in ispecie laddove agevole essendo la espugnazione del muro i barbari colla torre avrebbonvi dato l’assalto. Avanzatasi vie più la notte i nemici fatti accorti dell’operato scagliansi contro ai zappatori, i quali presto riparano entro la città avendo ottimamente compiuto l’intrapreso lavoro. Allo spuntare del giorno Vitige rimirata l’opera de’ Romani, dando pel dispiacere nelle furie, punì di morte alcuni custodi, e fermo nel pensiero di condurre a termine sua gesta ordinò ai Gotti di gittare all’istante nella fossa molti fasci di legne per quindi trascinarvi sopra la torre. Eseguisconsi i reali comandi con ogni diligenza avvegnachè la guernigione dal muro vi si opponesse fortemente; ma la catasta delle legne aggravata dal peso della sovrapposta mole, com’era il caso, affondò. Allora i barbari giudicando insuperabile ostacolo quello di spignere innanzi l’artifizio loro, poichè era molto cresciuta l’erta laddove i Romani, giusta il detto, aveano accumulato la terra, e temendo non il nemico tra le tenebre della prossima notte con una sortita appiccassevi fuoco, la trascinarono indietro. Ma Giovanni risoluto di opporvisi con tutte le forze arma i soldati, e raccoltili a parlamento così favella: «Messi a tale ripentaglio, o miei commilitoni, se v’ha tra voi cui sia caro il vivere ed il rivedere finalmente i suoi in patria, e’ sappia innanzi tutto in null’altro essere riposta la speranza di questi due beni che nelle proprie sue mani. Egli è vero che da principio quando fummo qui spediti da Belisario, l’amore e il desiderio di molte cose ne inducevano ad accingerci di buon grado all’impresa. [p. 189 modifica]Conciossiachè non pensavamo di soggiacere ad assedj sopra un littorale dominandone i Romani sì agevolmente il mare; nè uom sarebbesi potuto persuadere che fossimo per venire in cotanto disprezzo alle imperiali truppe. Di più eraci stimolo ad imprendere la futura lode di un ottimo volere a pro della repubblica, e la celebrità della fama che di noi andrebbe ovunque dopo i combattimenti. Ora, oppositamente, costretti di correre questo aringo a fine di cansare la morte, indarno spereremmo sorvivere mal fidando nella nostra fortezza. Con tutto ciò non riscuoterà minor gloria di qualsivoglia altro chi di voi nutre valore, se con predare azioni s’accinga a farne mostra. Certissimo essendo che non i vincitori de’ più deboli riportano gloria e rinomanza, ma quanti per grandezza d’animo escono vittoriosi d’un nemico superiore nei militari apprestamenti. Fin quelli cui più sta a cuore l’amor della vita riporteranno armandosi di coraggio grandissimo profitto. E di vero chi ha la somma delle cose pericolante al maggior segno, e per servirmi del comun detto, sulla punta del coltello, qual è il caso nostro, costui le più volte rinviene salvezza nel dispregiare i perigli1.» Terminata così l’esortazione Giovanni conduce le truppe contro ai barbari, lasciando poca gente alla custodia dei merli; quindi si viene ad ostinatissima pugna, ed i Gotti fanno da principio vigorosa resistenza; ma alla fine sull’annottare ritraggono la torre ne’ loro accampamenti, dopo [p. 190 modifica]cotanta perdita di ben prodi guerrieri quanta voleavene a persuaderli di non più tentare l’espugnazione delle mura e di rimanersene pel timore inoperosi, restando loro unicamente la viva fiducia che la fame avrebbe costretto il nemico ad arrendersi, consapevoli ch’esso già difettava moltissimo di vittuaglia.

III. Non altrimenti procedevano quelle bisogne quando Belisario spedì mille armati, parte Isauri e parte della Tracia, cogli ambasciatori venuti da Milano; duce dei primi era Enne, degli altri Paolo. Mundila poi scortato da pochi pavesai di Belisario comandava a tutti, ed avea seco Fidelio prefetto del Pretorio, imperocchè questi, originario di Milano ed autorevolissimo presso i Liguri, sembrava poter molto giovare accompagnando l’esercito. Partitisi colle navi dal porto romano afferrarono a Genova, ultima città della Tuscia ed acconcissima stazione pe’ naviganti alla volta de’ Galli e degli Ispani. Lasciate qui le navi proseguono pedestri il cammino, conducendo sopra carra i loro palischelmi per togliere ogni indugio al valicamento del fiume Po, e così ne toccano le opposte sponde. Passato il fiume e giunti a brevissimo intervallo da Ticino2 città furono sfidati a battaglia dai Gotti venuti pieni di coraggio ed in molto numero ad incontrarli. Conciossiachè tutti i barbari abitatori di quella regione aveano quivi trasportato, come luogo munitissimo, tra grandi ricchezze e messovi forte presidio. Fatta giornata, i Romani vincitori cagionarono molta strage al nemico fuggente, e per poco non [p. 191 modifica]s’introdussero a un colpo nella città, lasciandogli appena, tanta era la foga dell’inseguire, il tempo di chiudere le porte. Al ritirarsi de’ barbari Fidelio, andato in un tempio ad orare, si rimaneva indietro; laonde intrapreso poscia a correre di tutta carriera, il cavallo inginocchiatoglisi precipitosamente lo balzò giù d’arcione. Alla qual vista i Gotti, caduto essendo vicino alle mura, usciti della città gli diedero morte all’insaputa affatto degli imperiali; ma venuti non guari dopo in cognizione essi e Mundila della triste fine di lui, ne piansero amaramente, e di là giunti a Milano rendonsene padroni con tutta la Liguria non trovandovi resistenza di sorta.

IV. Vitige, uditone, vi spedisce un grande esercito sotto gli ordini di Uraia, figlio di sua sorella, avendo ottenuto di que’ tempi dieci mila ausiliarj da Teudeberto re dei Franchi, gente franca non già, ma burgunzia3, non volendo costui almeno apparentemente mostrarsi ingiurioso verso di Augusto, e però i prefati aiuti fingevano marciare anzi di propria volontà ed elezione che indottivi da reale comando. I Gotti adunque pigliatili in lor compagnia all’imprevista de’ Romani arrivano a Milano, e formate le trincee cingonne d’assedio le mura; laonde il presidio, mancatogli affatto il tempo di provvedere a sua vita, cominciò subito a patire d’annona. Nè eranvi tampoco sufficienti militi alla custodia, avendo il duce Mundila occupato le forti città vicine, quali Bergamo, Como, Novari4 con altri castelli, e [p. 192 modifica]collocatevi numerose guernigioni, di maniera che egli stanziava in Milano con Ennio e Paolo e con trecento guerrieri al sommo, ed i cittadini stessi per turno aveano l’incarico di vegliare alla propria difesa; tale passavano le cose nella Liguria. Terminò il verno e con esso l’anno terzo di questa guerra, che Procopio scrivea.


Note

  1. Una salus miseris nullam sperare salutem.
  2. Pavia.
  3. Borgognoni.
  4. Novara.