Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo XXXII

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CAPO XXXII.

Arsace punito dall’imperatore congiuragli contro unitamente ad Artabano. Disvela i suoi pensieri a Caranange ed a Giustino di Germano. — Questi appalesa il segreto al padre, il padre a Marcello. — Leonzio ascolta di soppiatto le parole di Caranange, e riportale a Marcello, il quale ne avverte Giustiniano. — I congiurati posti in carcere manifestano il tradimento. Giudizio. Marcello ottimo patrocinatore. Germano in grave pericolo. Gastigo de’ rei.

I. L’imperatore non altrimenti avea composto gli affari con Artabano e Germano. Eravi in Bizanzio un Arsace armeno, di sangue arsacide e stretto in parentado con Artabano. Questi non guari prima tentando novità contrarie alla repubblica era stato messo in carcere e convinto a chiare note di fellonia per macchinamenti col re de’ Persiani Cosroe a danno dell’impero. Laonde Giustiniano limitossi a sentenziare che venissegli frustato lieve il dorso intanto che lo si conducea su d’un camello per la città. La condanna del resto non aggiugnea mutilazione di membra, non multa od esiglio. Arsace tuttavia esacerbatosi pel gastigo principiò a covare nell’animo suo insidiose trame contro al monarca ed alla repubblica. Il perchè non appena consapevole de’ lamenti mandati da Artabano pe’ sofferti dispiaceri, vie più gagliardamente ne aizza lo sdegno, stimolandolo giorno e notte senza posa colle sue parole a prenderne di compagnia vendetta. Rimproveravalo inoltre d’intempestiva generosità [p. 393 modifica]ed effeminatezza adducendo come per lo passato a sollievo degli altrui mali avesse tolta da magnanimo e prode la tirannide, e addivenuto padrone di Gontari con proprio danno lo morisse di sua mano, affatto immemore d’uccidere un amico e commensale; ora poltrire fiaccato da vile timore, lasciando che sia consunta la patria da straordinarie gravezze a sostentamento de’ continui presidj. Nè taceva la violenta morte data al padre di lui sotto menzognera accusa di tradigione, ed il servaggio e lo sperperamento per tutto l’orbe imperiale dell’intiero parentado; nondimeno passarsela egli contento del titolo di maestro della romana milizia e dell’altro, ben vano, di consolare. «Tu in mia fe, proseguiva, non compassioni punto un consanguineo vittima di cotanti mali; io in cambio, o uomo illustre, attristomi delle tue sciagure in causa di donne, toltati vituperosamente l’una, e l’altra mal tuo grado restituita. Non fia dunque che alcuno, comunque tu vuoi di pochissima levatura, ritraggasi o per vigliaccheria o per timore dallo spegnere Giustiniano, solito a dimorare senza guardie co’ vecchi sacerdoti nel Museo, e tutto intento a ravvolgere i sacri codici de’ Cristiani.» Quindi conchiudeva: «Nè avrai oppositori tra’ parenti suoi, anzi Germano, il più potente di tutti, molto volontieri, a mio avviso, colla prole di già sul fiore degli anni, piena di fuoco inseparabile da quella età ed invidiosissima di lui, ti porgeranno aiuto: eglino di ottimo animo, se pur la speranza non mi tradisce, piglieranno le nostre parti; sin da ora così ricolmi d’ingiurie dall’Augusto, che nè altri di noi, nè [p. 394 modifica]armeno chiunque ad eguali soggiacque. Arsace continuando mai sempre ad istigare con simiglianti prestigj Artabano non sì tosto ebbelo dalla sua che manifestò la trama ad un persarmeno, di nome Caranange, forte giovine ed avvenente della persona, ma di assai limitato e puerile ingegno.

II. Arsace aperto il suo cuore al Persarmeno e posto fine al sermocinare con Artabano si partì colla promessa di trarre a sè l’animo di Germano e de’ figli, il cui maggiore, Giustino, era tuttavia del primo pelo, coraggioso, pronto a far pruove di sua valentia, ed inalzato di fresco alla sedia consolare. Avvenutovisi mostragli gran desiderio d’un colloquio seco in certo qual tempio, ed entrativi inducelo con prieghi a giurare che non isvelerebbe a chicchessia, eccetto il padre, le udite cose. Di questo modo obbligatolo al segreto lo rampogna che unito con legami di sangue a Giustiniano vegga tranquillo iniquamente inalzati alle prime onoranze uomini plebei ed il rifiuto della stessa plebe, e raggirato il maneggio della repubblica, tale e tanto egli essendo, in mani di persone affatto estranee alla schiatta reale. Sembrargli di più e lui ed il genitore, avvegnachè ricolmo d’ogni virtù in dispregio ad Augusto, ed il fratello Giustiniano a torto lasciato ognora nella condizione de’ privati; e qui ricorda come fossegli tolta ingiustamente la massima parte di quanto il zio Boraide in favor suo testava dichiarandolo erede: nè dubbiar che vie maggiormente soggiaceranno all’imperial dispregio non appena Belisario, già nel mezzo dell’Illirico giusta le comuni voci, tornerà dall’Italia. [p. 395 modifica]Arsace profferendo simiglianti discorsi e manifestandogli l’ordito in proposito con Artabano e Caranange lo invita a cospirare insieme contro la vita del signor suo. Il giovane, portovi orecchio, conturbatosi e quasi pigliato da vertigine, franco e libero protesta che mai nè egli nè suo padre verrebbero indotti a contaminarsi di così grave misfatto.

III. Arsace quindi riferisce ad Artabano l’esito del colloquio, e Giustino appalesa ordinatamente la faccenda al genitore; questi ne fa partecipe Marcello prefetto delle guardie palatine, addimandandogli ad una consiglio se debba informarne Giustiniano. Era Marcello personaggio gravissimo ed osservantissimo del silenzio, nullamente amico del danaro, alieno da ogni maniera di piacevolezze, accostumato a vivere anzichè splendida vita altra molto severa, ed affatto lontana dalle delizie; il vedevi di più zelantissimo del giusto ed assai amante della verità. Egli in allora distolse Germano dal comunicare a chicchesia il tradimento. «Male ti si addice, sono parole sue, il fartene disvelatore; imperocchè venendo tu a segreto colloquio con Augusto Artabano di colta n’avrà sospetto, ed ove Arsace con subitana fuga da noi sottraggasi il delitto rimarrà occulto. Non è poi mia costumanza di prestare incontanente fede a superfiziali esplorazioni, e di farne al monarca riferta. Piacemi averne a testimonj le mie proprie orecchie, o che tale de’ miei famigliari sia coll’opera vostra collocato là dove possa udire il colpevole a favellare intorno a queste mene.» Germano adunque comandò al figlio Giustino che si aoperasse nel dare [p. 396 modifica]eseguimento all’ordine di Marcello. Se non che Arsace dopo un fermo rifiuto, come scrivea, stettesi in guardia dal profferir verbo sulla congiura. Giustino allora domanda a Caranange se fosse a lui venuto Arsace per consiglio d’Artabano: «Nè tu, per Dio, avrai osato confidare l’arcano ad uomo di tal fatta; che se volessi aiutarmi di profittevoli suggerimenti, potremmo forse mettendoci d’accordo riuscire a grandi imprese.» Caranange disvelogli candidamente le pratiche di già tenute con Artabano ed Arsace.

IV. Promessasi da Giustino zelantissima cooperazione all’opera ed il consentimento del genitore, questi propose una conferenza coll’intervento di Caranange, e ne fu stabilito il giorno. Fatto quindi partecipe dell’appuntamento Marcello persuadelo a mandarvi amica persona, la quale possa testimoniare d’udita quanto verrebbe dal fellone esposto. Quegli destina Leonzio, genero di Atanasio, uomo fidissimo ed incapace di tradire la verità. Germano accoltolo in sua casa lo colloca nel triclinio, laddove appunto dispiegavasi una tenda stesa innanzi al letto su cui di consueto banchettava, ed egli con Giustino si tenne al di fuori. Introdottovi quindi Caranange, Leonzio chiaramente ascoltò le trame da costui ordite con Artabano ed Arsace; e tra le molte sue proposte eravi che s’eglino morissero l’imperatore prima della tornata di Belisario in Bizanzio, non potrebbe giugnere a buon fine parte alcuna de’ loro divisamenti; poichè volendosi consegnare a Germano il poter supremo avrebbevi ogni verisimiglianza [p. 397 modifica]che il duce si desse a raccogliere truppe nella Tracia, ed in allora al venire con esse e’ non avrebbero più mezzo di opporgli valida resistenza; doversi pertanto indugiare sino al comparir di lui, e non appena entrato in città, e messosi a frequentare la reggia, di notte ferma all’imprevista ed armati di pugnali assalirebbero il luogo per ispegnere d’un colpo ed il regnante, e Belisario, e Marcello, potendo così vie meglio disporre a buon termine le cose. Marcello udito il tutto da Leonzio non volle incontanente prevenirne Giustiniano, ma temporeggiò gran pezza, paventando colla troppa fretta perdere alla cieca Artabano. Il perchè Germano sul timore che il soverchio indugio desse adito a sospetti, come in realtà fu il caso, sciorinò per filo e per segno tutto il macchinamento a Buze ed a Costantiano.

V. Passato quindi un numero di giorni, al divolgarsi prossimo l’arrivo di Belisario, Marcello fece sua riferta all’imperatore, il quale ordina tosto la prigionia d’Artabano e degli altri complici fidandone ad alcuni magistrati il processo. Rendutasi già manifesta ed evidentemente da lettere comprovata la trama, l’intero senato per ordine di Augusto ragunossi nel palazzo ove era costumanza di giudicare i litigj, e letta la confessione avuta co’ tormenti dai ditenuti pronunciò felloni Germano ed il costui figlio Giustino; ma di leggieri purgaronli dalla colpa, testimoniando a pro loro, Marcello e Leonzio, imperocchè questi e Constanziano e Buzes con giuramento dichiararono esenti entrambi dalla colpa di reticenza, e le cose avvenute come io testè mirrava. Laonde il senato assolvè a pieni voti e [p. 398 modifica]padre e figlio da ogni reità verso la repubblica. Entrato poscia nell’aula imperiale Giustiniano tutto adiroso rimprocciava forte Germano della inopportuna tardanza a dirgliene. Ora due intra’ prefetti acconciandosi a sdegno con effeminata adulazione applaudivano alle sue parole, nè poco inasprivangli l’animo per bramosia di acquistare con altrui danno merito e grazia; i colleghi pigliati da stupore ammutolivano dissimulando consentire ai sovrani rimbrotti. Marcello solo con libera voce e colla rettitudine del parlar suo apportò salute all’infelice; conciossiachè addossandosi per intiero quell’indugio ognor più animosamente asseriva che Germano di colpo aveagli comunicato quanto sarebbe per avvenire; ma egli premuroso di conoscere vie meglio la faccenda, erasi dato a tenerne il segreto. Di tal guisa giunse a moderare l’animo imperiale, ed a far celebre ovunque il proprio nome riscuotendo fama di virtù somma nei più ardui perigli. Giustiniano Augusto levò di carica Artabano, nè proferì contro a lui ed ai complici pena maggiore, annuendo che tutti venissero custoditi anzi in dicevol luogo, vogliam dire il palazzo, che nelle pubbliche prigioni.