Juvenilia/Prologo

Da Wikisource.
Prologo

../A G.C. In fronte a una raccolta di rime.Pubblicata nel MDCCCLVII IncludiIntestazione 18 febbraio 2011 100% Poesie

A G.C. In fronte a una raccolta di rime.Pubblicata nel MDCCCLVII
[p. 3 modifica]



I.

PROLOGO1


Ah per te Orazio predica al vento!
Del patrio carcere non sei contento,
La chiave abomini grata a i pudichi,
Agogni a l’aere de’ luoghi aprichi.
5E dove, o misero, dove n’andrai,
Dove un ricovero trovar potrai,
O de’ miei giovini lustri diletto,
O mio carissimo tenue libretto?
Non sai fastidio c’ha de le rime
10Questa de gli arcadi prole sublime?
Né de’ romantici ti vuol la fiera
Che siede a i salici libera schiera.
Tu, se tra’ lirici pur tenti il volo,
Poco, o mio tenero, t’ergi dal suolo;
15Ed oggi innalzasi per nova via
Fin da’ suoi numeri l’economia,

[p. 4 modifica]

Né omai piú reggono piedi né ale
Dietro la lirica universale.
Oggi ciclopica s’è fatta l’arte;
20E Bronte e Sterope su per le carte
Con vene tumide, con occhi accesi
E con gli erculei muscoli tesi
A prova picchiano: Venere guata,
E gli rimescola la limonata:
25Mentre il monocolo pastore etnese,
Succiando il femore d’un itacese,
Con urli orribili divelle un pino
E a le Nereidi fa il mazzolino.
Deh, quanti, o misero, d’ispirazioni
30Litri raccogliere puoi ne’ polmoni,
Quanti chilometri de l’infinito
Puoi tu percorrere con passo ardito,
Quanti ravvolgerti chili d’affetto
Giú ne lo stomaco puoi tu, libretto,
35Da uscire a gloria tra le persone,
Senza pericolo d’indigestione?
Te con le tenui miche d’Orazio
Crebbe la pallida musa del Lazio,
A te quell’aere parve bastante
40Che respirarono l’Ariosto e Dante:
Chiede il novissimo stadio altre bighe:
Libro, rincàsati, cansa le brighe.
Vedi? minacciano Cariddi e Scilla:
Ti preme Davide con la Sibilla.
45D’amor tu chiacchieri, e questo va:

[p. 5 modifica]

Ma non santifichi la voluttà,
Non metti a Venere lo scapolare,
Non fai gli adulteri sermoneggiare:
Onde, o me misero!, flebili e tristi
50Già t’interdissero gli atei salmisti,
E il buon Petronio predicatore
Che a sé convertami pregò il signore.
Vinca ei di Taide le ritrosie
Con un trar mistico d’avemarie,
55E de la cantica nel pio latino
Le infiori i dialoghi de l’Aretino.
Al limpidissimo suon de l’argento
Dietro un davidico cento per cento
Alfio gli sdruccioli deduca, e macro
60Consoli il prossimo d’un inno sacro.
Per me in van prèdica ballonza e canta
Ebra l’Arcadia pur d’acqua santa,
Il sacro quindici refulse in vano
Per me: son reprobo piú di Claudiano,
65E de’ Timotei e de’ Basilii
Provai già i moniti e i supercilii.
Ma quel Timoteo che a gli anni andati
In chiesa l’organo sonava a i frati,
E di serafica broda satollo
70Al pan de gli angeli rizzava il collo,
Cantando monache e Filomene
Pien di libidine tetra le vene;
E quel Basilio biondo e ventenne
Che al sacro fulmine tingea le penne

[p. 6 modifica]

75Ne l’aromatico miel del Loiola,
Al sacro fulmine de la parola
Che da l’iberichee fiamme già mosse
E ne gli eretici sterpi percosse;
Oggi levatisi di ginocchione
80Anche rinnegano la dea Ragione,
E sempre al solito mo’ tolleranti
Già già si cavano rugghiando i guanti,
Pronti a pur arderti, libretto mio,
Se in un avverbio c’entrasse dio.
85Me al men, filosofi, non arderanno,
Come, teologi, volean l’altr’anno.
Ma chi, mal docile talpa infingarda,
Chi da ’l neofito furor mi guarda?
Quali su i ruderi de le memorie
90Di laide maschere corsi e baldorie!
E sempre piangere plebe affamata,
E sempre ridere plebe indorata,
E basir tisica sotto le bíche
La impronta logica de le formiche,
95E de le favole, baie del nonno,
Schifi già i bamboli cascar di sonno
Io veggo; e torpido nel gran lavoro
Non canto e prèdico l’età de l’oro.
Chi dunque, indocile talpa infingarda,
100Chi dal neofito furor mi guarda?
Gl’innocentissimi Nando e Poldino,
Che già l’immerito sermon latino
Stroppiaro in distici per nozze auguste,

[p. 7 modifica]

Oggi rosseggiano come aliguste;
105E l’eucaristico ìnno a Pio nono
Con lezion varia lusinga il trono
Di re Vittorio, da poi che aprile
A qualche anonimo spirto civile
Squagliò la gelida crosta, e, spavento!,
110Il prete attonito, nel sacramento
Lavando al pargolo le nuove chiome,
Sentiva d’Italo bociarsi il nome.
O infelicissimo libro, o sfatato,
O in man purissime mal capitato!
115Crollando il rigido frigio berretto
Fatto su ’l modulo che diè il prefetto,
Ei con iscandalo ti buttan là,
Come retrograda suipsità.
Rizzati e vàttene, ché il galateo
120Non è neofito. Ma, se ad un reo
Fucci filologo fia che t’abbatta
Rimpiallacciatosi da Guccio Imbratta,
Che vomitarono le sagrestie
De’ galantuomini su per le vie,
125Che ne le tuniche di pergamena
Tra la medicea ferrea catena
Tremano i codici quand’ei li guata
E dal liburnio remo invocata
La man lor applica, se a te vicino
130Ei sbiechi il livido occhio porcino,
— Deh, Fucci, — gridagli — mercede imploro;
Non vesto, vedimi, d’argento e d’oro,

[p. 8 modifica]

Non son de gli ordini privilegiati
Vuoi de’ rarissimi vuoi de’ citati,
135Non ne i cataloghi cercato appaio,
Non c’è da vendermi che al salumaio.
A queste pagine di poco affare
Le man dottissime non abbassare.—
Oh, s’ei la granfia distenda a vuoto,
140Appicca, o povero libro, il tuo vóto:
Ché a grandi e piccoli ei non perdona;
Ogni, anche minima, preda gli è buona.
Chiese, postriboli, caffè, spedali
Le sue sentirono unghie fatali,
145Da quando ei l’abile man giovinetta
De l’elemosine ne la cassetta
Imberbe chierico con occhio pio
Erudia, l’obolo rubando a Dio,
E i doni a l’umile Vergine apposti
150Per lui fumavano fusi in arrosti.
D’altro non dubito: se bene ancora
Lui la chiarissima viltade adora,
Trason ridicolo che incarna e avanza
L’idea platonica de l’ignoranza,
155Forte co’ i deboli, debol co’ i forti,
Prode a trafiggere gli uomini morti,
Prode a nascondersi, ferendo il tergo,
Di birri e ipocriti sotto l’usbergo,
Tal ch’io non credomi maggior ribaldo
160Redasse l’anima del Maramaldo.
Fuggi, o mio povero libro da bene,

[p. 9 modifica]

Il ceffo orribile, le mani oscene,
L’invidia rabida d’ogni opra buona
Che tutta gli agita la rea persona.
165Fuggi.... No: sorgigli diritto in faccia,
La mia ripetigli vecchia minaccia,
Con fronte impavida, con voce intiera:
Fucci filologo, frusta e galera.
Poi, se la fulgida ira s’alléni,
170Vola a i dolcissimi colli tirreni,
Ove dal facile giogo difese
In contro a borea d’ombra cortese
Svarian le candide magion pe’ clivi
Tra vigne e glauche selve d’olivi.
175Ivi di limpida luce piú viva
Riveste l’etere la sacra riva;
E il sole arridere come ad amiche
Pare a le splendide colline antiche,
Quando, partendosi, la favolosa
180Cima fesulea tinge di rosa.
De la virginea certa saetta
Ove ancor timido Mugnone affretta
Ad Arno e misero par che lamenti
I mal concessigli abbracciamenti,
185Tra il fiume e d’arido monte le spalle
Il pian riducesi in poca valle,
E in mezzo a’ nitidi cólti un’ascosa
Da placidi alberi magion riposa.
Ivi, o mio tenue libro, al Chiarini
190Chiedi pe’ profughi genî latini,

[p. 10 modifica]

Chiedi l’ospizio. Vedi: ei la porta
Già t’apre, ed ilare ti riconforta.
Ei di barbarica pelle odorata
Presto la tunica t’avrà comprata,
195Cui solchi d’aurei fregi un lavoro
E i lembi nitidi sien tutti ad oro.
O mio carissimo, già poverello,
Come or sei splendido, come sei bello!
T’invidia il tenero padre lontano,
200Fucci filologo stende la mano.
Ma tu non avido di mutar loco
A l’aure estranee fidati poco;
Ama de l’ospite ama il ricetto,
O mio carissimo tenue libretto.

Note

  1. [p. 281 modifica]Al libro [1866] — Petronio [pag. 5, v. 6] è quel del Satyricon divenuto dopo il 1815 scrittore di romanzetti mistici e d’omelie erotiche. Alfio [ivi, v. 14] è l’usuraio del II degli epodi: al tempo di Orazio faceva idilli campestri, dal 1815 al ’59 compose di molti inni sacri in settenari e in isciolti: oggigiorno credo faccia anche delle poesie sociali. Le altre figure, o figuri, sono studi ideali dal vero, per così dire, della società toscana poco avanti e poco dopo il 27 aprile 1859, cui si allude alla pag. 7, v. 4. Per l’allusione mitologica su ’l Mugnone (pag. 9, vv. 21-23), chi non se ne ricordasse vegga il Ninfale fiesolano. A chi poi gli rimprovera l’acerbezza giambica di alcuni di questi versi, come sconveniente alla civiltà odierna, Enotrio, veneratore degli antichi, ricorda quei di C. Trebonio a Cicerone, Famil. lib. XII: In quibus versiculis si tibi quibusdam verbis eythyrremonésteros videbor, turpitudo personae eius in quam liberius invehimur nos vindicabit: ignosces etiam iracundiae nostrae, quae iusta est in eiusmodi et homines et cives. E canticchia quei versi di Lucilio:

    Virtus, id dare quod re ipsa debetur honori,
    Hostem esse atque inimicum hominum morumque malorum
    Contra defensorem hominum morumque bonorum.