L'Argentina vista come è/L'esercito argentino

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L'esercito argentino

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La polizia Argentina Il lusso nell'Argentina

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L’ESERCITO ARGENTINO.1

Negli ultimi giorni dello scorso anno, mentre la questione argentino-cilena prendeva un aspetto minaccioso, tanto che la guerra si credeva da alcuni imminente, inviai da Buenos Aires una corrispondenza sopra l’esercito argentino. La probabilità della guerra rendeva l’argomento della massima attualità; ma nello stesso tempo poteva sembrare inopportuna la pubblicazione di critiche sopra un esercito alla vigilia forse della sua entrata in campagna, e credetti mio dovere di far sospendere quella pubblicazione.

Ora l’orizzonte è schiarito; sulla Cordigliera delle Ande brilla l’arcobaleno. Un telegramma del 1 giugno al Times comunica che una convenzione è stata stabilita fra le due Repubbliche rivali, per la quale si limitano gli armamenti navali fino alla eguaglianza delle due flotte argentina e cilena, facendo inoltre assicurazioni di politica pacifica che non possono essere accolte senza una vera soddisfazione da noi italiani. Ma gli accordi stabiliti non accennano agli armamenti terrestri, e un telegramma della Stefani da Parigi ha [p. 94 modifica] annunziato ieri che l'Argentina ha ordinato armi in Germania per ottanta milioni. Adesso è dunque doppiamente opportuno un esame spassionato dell'esercito argentino al quale sono inerenti gravi problemi finanziarî e politici. Oggi le spese militari aprono grandi breccie nel non florido bilancio dell'Argentina, e noi che abbiamo il più legittimo desiderio della prosperità della Repubblica, non possiamo disinteressarcene; e nello stesso tempo non possiamo disinteressarci dal conoscere fino a quale punto quell'esercito risponda alle condizioni di garanzia per la tranquillità e la sicurezza della Repubblica, che è la tranquillità e la sicurezza di tanti nostri connazionali.


La probabilità d'una guerra risveglia in ogni pacifico cittadino l'animo d'uno stratega. Sorgono legioni formidabili di profeti militari, i quali muovono compatti le prime ostilità... al buon senso. Così per la possibile guerra fra il Cile e l'Argentina non mancavano critici militari che facevano ogni giorno la più abbondante distribuzione di vittorie e di sconfitte.

Nulla in verità è poi più difficile di un giudizio sopra una guerra come questa, nella quale ogni belligerante avrebbe da lottare con enormi difficoltà opposte dalle distanze, dalla conformazione territoriale di probabili campi di battaglia, dalla lunghezza sterminata delle linee di comunicazione, dalla impossibilità di regolari servizî logistici. L'inaspettato e la sorpresa avrebbero in una tale guerra una parte molto importante. Avevano torto coloro che prevedevano l'arrivo dei cileni sulla Plaza de la Victoria di Buenos Aires, come coloro che predicevano il bivacco degli Argentini per [p. 95 modifica] le vie di Santiago. Le condizioni nelle quali si svolgerebbe una tale campagna, che sarebbe stata lunghissima e fortunosa, potrebbero togliere valore alla affermata superiorità dell’organizzazione militare cilena e neutralizzare i difetti della difesa argentina.

Ciò non toglie però che questi difetti esistano, e che a noi europei specialmente si rivelino con maggiore crudezza per il paragone che istintivamente facciamo fra questo esercito ed i nostri.

Il sentimento militare nelle nostre nazioni ha preceduto tutti gli altri, persino quello della nazionalità, perchè è nato prima che nascessero le nazioni. Noi siamo stati popoli essenzialmente guerrieri; ci siamo tagliati le nostre patrie a colpi di spada; la guerra è stata la più nobile delle nostre occupazioni — a torto o a ragione, non discuto —; per secoli abbiamo considerato la guerra come l’unica fonte di ogni onore; la nobiltà non poteva nascere che fra lo strepito delle battaglie, e per le battaglie è vissuta fino ad oggi. Portare la spada è stato un privilegio ambìto, e i segni di onorificenza che anche oggi rendono tanto fieri i nostri imbelli soprabiti borghesi non hanno origine che nella guerra. L’esercizio delle armi è stato da noi sempre riconosciuto come fra i più eletti, e l’esercito è divenuto poi oggetto di ogni onore e di ogni amore quando il popolo tutto è stato chiamato a combattere nelle sue file le più sante battaglie; l’esercito è divenuto tutta una cosa, tutta una carne col popolo.

Nell’America no; il sentimento militare è l’ultimo arrivato fra i sentimenti del popolo. Si è formata una società di politicanti, commercianti, industriali, agricoltori, la quale quando ebbe bisogno di un esercito se ne assoldò uno, come si assolda un guardiano, componendolo di tutti coloro che non avevano o non potevano far di meglio. L’on. Belin Sarmiento, deputato federale, nipote del grande statista argentino Sarmiento, in una pubblicazione fatta nel 1892, ci dipingeva i [p. 96 modifica] soldati d’allora come «provenienti dallo scolo degli elementi sociali che non trova altra uscita, uomini indegni della vita civile, molti avventurieri, déclassés, indiani incapaci al lavoro e persino criminali». Si comprende in quale considerazione nell’opinione pubblica doveva esser tenuto questo esercito e in quale disdegno per il militarismo sia cresciuto il popolo argentino. Dio mi guardi dal discutere se questo sia un bene o un male; se la mancanza del fardello delle tradizioni militari — dalle quali pur sgorga quello spirito di disciplina che compagina le forze e le volontà — renda realmente più leggero un popolo sulle vie del progresso. Constato dei fatti e nulla più. I nuovi popoli, anche senza il militarismo, pare che si odiino precisamente come i vecchi.

L’anima collettiva argentina, pronta sempre agli entusiasmi, alla presunta vigilia d’una guerra, inneggia all’esercito; ma nel sentimento individuale le diffidenze, le prevenzioni e la poca simpatia persistono, e ciò forma oggi il maggiore ostacolo alla buona organizzazione della difesa nazionale. Una legge sulla coscrizione militare è ora in vigore, ma i risultati non sono certo soddisfacenti, perchè non è penetrato nello spirito di tutto il popolo — e non lo potrebbe essere — il sentimento del dovere militare, perchè sottrarsi all’obbligo di far parte dell’esercito non è sempre considerato indegno e vergognoso, perchè chi può eludere la legge troppo spesso la elude senza che senta gravarsi intorno il disprezzo del popolo, che potrebbe essere il più potente stimolo al compimento del dovere. La legge è benigna, le autorità sono clementi, la rilassatezza e l’indifferenza generale sanzionano tutto.



Due altri mali antichi affliggono l’esercito, e sono la politica e la speculazione — i due mali del resto [p. 97 modifica] che rodono la Repubblica intera. Per la politica, l’esercito non è risultato uno strumento di difesa nazionale; il nemico esterno è stato perduto di vista nella preoccupazione del nemico interno.

Nella lunga serie delle rivoluzioni l’esercito ha sempre preso parte attiva con i suoi pronunciamientos, dimenticando il suo alto ufficio, e distruggendo a colpi di cannone la sua compagine.

Per la speculazione, l’esercito, divenuto campo di sfruttamento, è costato somme favolose, restando male equipaggiato e male organizzato. Nella citata opera del Belin Sarmiento trovo questo dato ufficiale: il costo del soldato argentino era nel ’92 di 2025 pesos all’anno; le cose non sembrano molto cambiate poichè, non contando la farraggine delle spese straordinarie, il soldato argentino costa oggi sui tremilaottocento franchi all’anno, cifra enorme se si pensa che il soldato europeo costa in media meno di mille lire all’anno. Come mai?

Non è facile immaginare il saccheggio della speculazione nei bilanci della guerra. Partite di cavalli e di muli pagate effettivamente la metà meno dei prezzi che figurano pagati (un fatto simile è stato denunciato il 12 aprile da due giornali), forniture di sellerie e di armi fatte a prezzi disastrosi, somme rilevanti passate in tramitaciones per ottenere contratti di forniture, ecc. A capo dell’amministrazione del Ministero della guerra vi è un «intendente di guerra», impiegato borghese. Ora, non tutti gl’intendenti sono stati di una regolarità scrupolosa; ve ne sono stati di quelli che hanno preso percentuali di discutibile legalità sugli affari di forniture e di altro, senza misteri, ritirandosi dopo due o tre anni con delle vere fortune. (È doveroso dire che il presente intendente di guerra gode fama di uomo onesto; ma certi suoi predecessori!...).

Il giornale El Diario, qualche anno fa, con una serie di articoli — che si è saputo scritti da persona assai [p. 98 modifica] addentro in questioni militari — ha rivelato molti mali che bruttano l’esercito argentino. Pare persino che vi siano talvolta dei fornitori imposti «per ordine» ai colonnelli. Un colonnello che si rifiutò ad una tale obbedienza sarebbe stato punito inviando il suo reggimento a soffrire i rigori di cinque mesi d’inverno nelle regioni andine, senza equipaggiamenti e senza vestiario invernale!

L’esercito, come disgraziatamente tante altre istituzioni argentine, è stato considerato una specie di greppia, alla quale con un po’ d’influenza si poteva fare una mangiatina. E a furia d’influenze e di appoggi non è stato difficile a molti persino di ottenere le spalline. A questo si deve in grande parte se l’esercito argentino, composto d’un effettivo di 8691 uomini, ha l’onore d’essere comandato da ventisette generali (senza contare tutti i generali fuori di attività di servizio), da quattrocentoquattordici colonnelli, da duecentoquarantasei maggiori — notate la decrescenza — da centosettanta capitani, quattrocentocinquantasei tenenti e duecentosessantuno sottotenenti. Totale 1575 ufficiali in attività, fra i quali i colonnelli sono due volte e mezza più numerosi dei capitani, ed i sottotenenti quasi eguali in numero ai maggiori. Ciò significa un ufficiale per ogni cinque soldati... e mezzo.

È facile comprendere il valore di questa massa di comando. Eccettuati un quindici o venti ufficiali superiori, molti dei quali di sangue straniero, veramente colti e moderni, licenziati da scuole militari europee — e specialmente italiane — e un buon gruppo di giovani promettenti, il resto, nella buona maggioranza, sarà formato da eroi capaci di farsi ammazzare senza batter ciglio — e lo hanno qualche volta dimostrato — ma digiuni di scienza militare, e spesso anche... civile. È noto un vecchio colonnello che non sa nè leggere, nè scrivere. Firma col timbro, come Carlo Magno. L’uso della carta topografica risulta per molti antichi [p. 99 modifica]ufficiali un vero rompicapo cinese, davanti al quale capitolano esclamando: Es mas practico el baequiano! — È più pratica la guida!



Naturalmente i giovani, i moderni, si trovano in lotta con i vecchi. Formano il partito dei riformatori, capitanato dallo stesso ministro della guerra Ricchieri — di origine italiana — uomo di vedute ampie e di solida coltura, dal quale l’esercito aspetta salvezza. Ma i «giovani» sono alla loro volta divisi fra i «figli del paese» e gli stranieri ed i figli di stranieri!... Ne vengono continue polemiche, critiche acerbe che si trascinano sulle colonne dei giornali, con evidente nocumento della disciplina.

E questa benedetta disciplina sarebbe tanto necessaria in un esercito, che, come l’argentino, conserva ancora una parte degli elementi torbidi, dei quali parlava l’on. Belin Sarmiento, formata in maggioranza da indiani e meticci. Non bastano a mantenere la disciplina le crudeli pene corporali che si applicano con frequenza e spesso con eccessiva durezza.

All’indisciplina concorre in parte il regime di vita del soldato, la libera uscita che ottiene alla notte, durante la quale non di rado si ubbriaca. I soldati escono senza le armi, ma hanno quasi tutti il coltello infilato negli stivali, pronto ad uscir fuori quando il vino o la caña annebbiano la mente. Tornano al quartiere insofferenti del giogo disciplinare, stanchi, impreparati alle dure esercitazioni della milizia.

Un’altra causa d’indisciplina è la donna. Come il Creatore commosso dalla noia d’Adamo gli diede la donna, il Governo argentino ha dato la donna al suo soldato. Forse lo guidò l’idea d’evitare peggiori [p. 100 modifica] insubordinazioni, a meno che non sia stato invece il legittimo e antico desiderio di aumentare la popolazione con i... «fils du régiment!» I reggimenti fuori della Capitale hanno cinquanta e quelli di Buenos Aires dieci, diciamo così... attachées militari, le quali vivono nel recinto della caserma, o a cinquanta metri dall’accampamento, seguendo i soldati ovunque.

Questa istituzione dovuta certo ad un resto di uso indiano — poichè le donne si trovano in tutte le armate primitive — portata nell’esercito argentino dai numerosi indiani che vi hanno fatto parte, è fomite di mali disciplinari, sui quali è degno sorvolare.

Molto gravi sono le conseguenze di tutte queste svariate cause. Il soldato argentino è generalmente capace di coraggio e di audacia, ma non ha sufficienti doti militari. Marcia pochissimo, e sarebbe appunto la marcia, in una guerra fra la Pampa, l’arma più formidabile. L’artiglieria, creazione nuova, libera dei tristi mali originali, è buona. La cavalleria non riceve quasi istruzione di maneggio, non conosce il servizio d’esplorazione, che sarebbe il suo primo cómpito, e questo avviene anche perchè, in un paese di cavalli, la cavalleria non ha sempre i cavalli! I reggimenti della Capitale, si può dire che siano i soli regolarmente montati; quelli ai confini normalmente sono... a piedi. Quando c’è necessità si manda loro una cavallata — una mandria — si montano, e via!

Il Commissariato è allo stato embrionale; i servizî logistici non sono organizzati. Le condizioni dell’esercito scemano il valore delle cifre nei quadri della difesa nazionale. Ai dodici battaglioni di fanteria, agli undici squadroni di cavalleria, alle sei batterie di artiglieria che comprendono 8691 soldati, si aggiunge la fantastica cifra di 438,894 uomini della Guardia Nazionale, ma tra mausers, remington e carabine non vi sono armi che per la metà circa, riducendosi così alla metà anche il valore numerico. [p. 101 modifica]

L’Argentina deve preoccuparsi seriamente di questo esercito che le costa tanti e tanti denari, deve rintracciare le vere cause dei suoi mali e delle sue deficienze per sanarli.

E qui viene naturale il paragone fra l’esercito argentino e la marina. La marina, sorta da poco, non ha tabe originali, non ha sofferto per le vicissitudini delle ingloriose lotte politiche. Ha avuto una direzione omogenea ed una organizzazione senza troppi rimpasti, dovute alla mente del Rivadavia che fu molto coadiuvato dall’italiano Muscari. Per quanto anche qui si riscontrino errori e colpe di dolorosa memoria, tuttavia il progresso è rapido e sicuro. Una marina non s’improvvisa, perchè non bastano le navi formidabili quando mancano gli uomini da mettervi sopra: e la marina argentina ha bisogno ancora di tempo per creare tutti gli uomini che le necessitano, per non ricorrere, come ora, al personale straniero. Ma la strada che essa ha rapidamente percorso è certo una buona garanzia per l’avvenire suo.

Il paragone fra le forze di terra e quelle di mare ricorre molto sui giornali argentini. «Perchè — domandavasi giorni sono la Prensa — le nostre forze di terra decadono, mentre si migliorano invece le navali?»

Si potrebbe rispondere forse con le sue stesse parole:

«Perchè la marina ha la fortuna di stare in un campo dove non ci sono governatori, nè elezioni. La sua influenza si salva dal contagio corruttore della oligarchia, e può svolgere intanto le sue attitudini, e perfezionarsi!»



Note

  1. Dal Corriere della Sera dell’8 giugno 1902.