L'Argentina vista come è/Le nostre lettere dall'Argentina - Continuando

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Le nostre lettere dall'Argentina — Continuando

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Le nostre lettere dall'Argentina — Continuando
L'Argentina e il capitale inglese Le basi dell'oligarchia Argentina

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LE NOSTRE LETTERE

DALL’ARGENTINA.1


CONTINUANDO...

Le prime lettere dall’Argentina, pubblicate nel Corriere hanno suscitato polemiche che l’amico lettore non ha forse dimenticato. Sono stato accusato di malignità, di menzogna e di peggio.

Al momento di continuare la pubblicazione delle «lettere argentine», nelle quali riassumo la imparziale osservazione dei fatti, permettetemi di parlarvi un poco delle pubblicazioni passate, per le quali tanti attacchi feroci e ingiusti mi sono stati mossi.

Non è per difendere me; no, è per difendere la verità.

Qualunque sdegno di uomo offeso, qualsiasi legittima indignazione di onestuomo attaccato ingiustamente, qualsiasi scatto d’amor proprio dolorosamente ferito sono ben poca cosa di fronte alla rivolta impetuosa che divampa nell’animo di chi, conoscendo il vero, lo vede calpestato, nascosto, lo sente negare senza pudore e senza vergogna. E specialmente quando questa verità si riferisce a sofferenze, lotte, dolori, miserie e lacrime di tanti e tanti nostri fratelli! [p. 46 modifica]

Qui la questione personale passa in seconda linea. Non vengo a parlarvi della guerra sleale che mi è stata mossa, degli ostacoli frapposti alla mia strada, delle ire e degli odî suscitati contro di me, come delle minaccie e degli insulti che ne sono stati le conseguenze, delle calunnie basse e ridicole con le quali si è aizzato contro di me il furore della folla argentina, come per porre un supremo ostacolo al compimento del mio dovere. Tutto ciò non interessa che me, al più. Voglio invece parlarvi di quanto ho scritto, che è la verità; e la verità interessa tutti.

È necessario che non solo sia conosciuta, ma creduta. Pensate che ora, mentre ben trentatre Società operaie dell’Argentina lanciano agli operai italiani un manifesto esponendo la loro miseria coi dati ufficialmente riconosciuti esatti, continuano a salpare per quella Repubblica nostre navi cariche d’emigranti, i quali vanno con la credula mente piena di errori e l’anima piena di sogni; e proprio in questo momento un maggior numero di disgraziati lascia l’Argentina in cerca di pane; pensate a questa enormità, che mentre migliaia di persone, le quali hanno vissuto laggiù, che parlano la lingua del paese, che conoscono l’ambiente, si riducono ad abbracciare la più disperata delle risoluzioni: la fuga, altre migliaia di persone ignoranti di tutto, ossia in condizione di enorme inferiorità, si dirigono ciecamente verso quella terra che li affascina. L’umile posizione che questi allucinati abbandonano in Patria e che ad essi sembra misera di fronte alla fortuna che sognano, diviene precisamente la meta agognata dalla triste e disfatta folla dei disillusi fuggitivi. E chi può fuggire è pur sempre fortunato! Quanti non ne hanno più la forza; oh! quando la miseria pone il piede sul vinto non se lo lascia facilmente sfuggire! Dodicimila e quattrocentosessantotto emigranti hanno lasciato l’Argentina nel solo mese di marzo, e dodicimiladuecento ottantatre vi [p. 47 modifica] hanno approdato! Pensate a queste cifre, e ditemi se non è necessario e urgente che la verità sia nota. Tutti questi nostri emigranti partirebbero forse se conoscessero niente altro che le cifre dei rimpatri? Non cadrebbe la benda dai loro occhi? Il tacere è un delitto.


Le prime «lettere argentine» sono state conosciute nella Repubblica per mezzo dei telegrammi dall’Italia diretti al giornale La Prensa. Quando vi avrò detto che questi telegrammi, che poi altri giornali hanno riportato, avevano dei titoli di questo genere: Insultos à los Argentinos, Nuevas apreciaciones injuriosas. Un enemigo de l’Argentina. Opiniones falseadas, ecc., vi avrò dato un’idea del modo antipatico col quale le mie lettere sono state portate a conoscenza del pubblico.

L’opera mia dunque è stata giudicata laggiù sulla base di questi documenti: ebbene, con tutto ciò la stampa indipendente si è schierata tutta dalla mia parte. E fra la stampa indipendente debbo notare prima di tutto la stampa estera.

La Patria degli Italiani ha dichiarato che quanto avevo detto era una verità nota e ripetuta, e quando il testo delle lettere è giunto, lo ha integralmente riportato. The Standard, organo della Colonia inglese, ha detto fra l’altro:

«Queste corrispondenze potranno fare più bene della malsana massa di altre pubblicazioni la cui schifosa adulazione eccita sospetti. Siccome il paese è commercialmente, politicamente e socialmente malato, il Barzini fa bene a dirlo, dissipando così malintesi e disperdendo illusioni. Noi non crediamo che abbia calcato le ombre, poichè queste crescono invece di diminuire; l’incauto emigrante che crede [p. 48 modifica] di trovare integrità di governo e di giustizia è messo in guardia. Togliendo di mezzo le false idee, egli ci rende un buon servizio. I nostri migliori amici non sono quelli che ci adulano, e la stampa indigena dovrebbe porsi bene in mente ciò nel pesare il valore delle opinioni del Barzini.»

Le Courrier de la Plata, giornale della collettività francese, conclude così un articolo sulla questione, dopo avere accennato agli errori dei Governi, ai furti ufficiali, ai deficit dei bilanci, e agli altri mali che rendono la situazione sempre peggiore e che compromettono gravemente tutte le speranze fondate sull’avvenire argentino:

«Le ragioni che il Barzini invoca non sono che troppo fondate, e i giornali del paese che le discutono l’accusano solo di esagerazione.

«Non si gridi al partito preso di malevolenza! Gli articoli del Corriere della Sera segnalando il male, rendono un vero servizio alla Repubblica. Il giorno in cui si terrà conto di questi consigli e in cui si cambierà strada, le profezie favorevoli espresse dal signor Martinez nelle sue conferenze, si convertiranno in una realtà.»

Il Correo Español, organo della importante Colonia spagnuola, dopo aver riportato i telegrammi della Prensa, accompagnandoli con apprezzamenti lusinghieri per il Corriere, aggiunge, rivolgendosi alla stampa argentina:

«Potrebbero i giornali indignati, con la mano sul cuore, affermare che sono falsi questi giudizî?

«L’affermazione li lascerebbe a molto mal partito, poichè essi ci presentano con tinte molto più oscure la situazione del paese, e ci presentano quadri terrorizzanti sulla situazione dei lavoratori nella Repubblica, come pure ci descrivono lo stato economico della Nazione, che attribuiscono al Governo, alla sua mancanza di tatto, ai suoi abusi e alla totale corruzione dei poteri pubblici.»

Tralascio tutti gli altri giornali stranieri, che ripetono le stesse cose. Gli apprezzamenti concordi di tanti giornali che rappresentano collettività diverse, [p. 49 modifica] cioè interessi diversi e diverse tendenze, spesso in opposizione fra di loro, sono una prova luminosa che le verità da me affermate sono proprio di quelle inconfutabili. E ciò prova inoltre che la necessità di propalare il vero è egualmente, imperiosamente sentita da tutti gli stranieri che vivono nell’Argentina, i quali sono precisamente le prime vittime dei malanni del paese.

Ma anche fra gli argentini stessi abbondano uomini imparziali che l’amore per la verità e per il bene spinge valorosamente contro la turbolenta corrente del malinteso orgoglio di razza ed il cieco chauvinisme della massa criolla. Non tutta la stampa indigena si è unita al coro d’insulti contro il Corriere e contro di me.

Un importante giornale argentino, El Municipio, con un articolo intitolato: Un corrispondente italiano che ardisce di dire la verità, ha per il primo levato la sua voce serena sul tumulto degli improperî. Esso ha scritto:

«Nelle sue corrispondenze il Barzini si occupa della crisi argentina, e per studiarla ed esporre le sue cause ed i suoi effetti, ha il coraggio di dire la verità intiera, portando alla superficie il fango sociale e amministrativo.

«Non vediamo ragioni per censurare il Barzini per aver detto la verità, questa verità nuda che la stampa argentina dovrebbe proclamare ad alta voce.

«Malgrado gli attacchi anche grossolani, dei quali è oggetto il menzionato corrispondente, dichiariamo che il Barzini merita il nostro più alto concetto di considerazione e stima, per la sua autorità, per la sua franchezza, per la sua indipendenza.

«Molto vale chi, come lui, ha saputo sottrarsi all’atmosfera di corruzione che asfissia la maggior parte dei rappresentanti dell’opinione pubblica, e trasmette alla penna le sue osservazioni ed i suoi studî con l’impulso della sua coscienza e di profondi sentimenti d’imparzialità e di giustizia.

«Si protesta contro lo specchio che denuncia le nostre deformità, ma non si protesta contro la nostra bruttura. [p. 50 modifica] Che colpa ha la macchina fotografica di prendere un brutto ritratto se non è migliore l’originale? Dicendo ciò che ha detto, il Barzini non ha fatto che trasmettere alla carta delle verità.

«Non c’è nè cortesia, nè coltura in un popolo che s’infuria contro un uomo solo, un ospite che dovrebbe venir circondato di rispetto perchè ha coscienza del suo dovere, e lo compie.»

Mi dispiace d’intrattenere il lettore sopra cose che sembrano personali; ma di fronte alle accuse di malevolenza, di esagerazione e di falsità, con le quali si è tentato di togliere ogni valore a ciò che ho scritto, io ho più che il diritto, il dovere di difendere con me il lavoro mio.


In riassunto, che ho detto nelle prime «lettere argentine?» Che vi è una crisi spaventosa. Ebbene, oggi il Commissariato generale per l’emigrazione comunica ufficialmente le stesse notizie sulla crisi, sconsigliando l’emigrazione perchè vi sono ora centoventimila disoccupati nell’Argentina. Ho detto che Buenos Aires ha una vita artificiosa che assorbe le ricchezze del paese e che inutilizza quasi un quarto della popolazione. Ed ecco che cosa dice nel numero del 2 marzo un giornale argentino su questo argomento:

«Si sta facendo una vera mistificazione della prosperità del paese, prendendo come base dello stato economico e sociale della Repubblica la metropoli argentina.

«Tutto è una mistificazione.

«La grandiosità della capitale contrasta con l’esistenza miserabile che trascinano le provincie, e poi la sua vita di lavoro e di attività non è propria, perchè capitali, braccia, intelligenze e sforzi sono genuinamente stranieri, si debbono al capitale inglese, al braccio italiano, alla iniziativa degli uomini di tutte le nazioni che sono venuti a popolare questa terra, a convertire in fertili pianure le deserte pampas, ad ammassare col sudore della loro fronte le basi del presente e a marcarci la via dell’avvenire. [p. 51 modifica]

«Gli ospiti illustri che arrivano a Buenos Aires dovrebbero essere strappati dall’aspetto seducente della metropoli, e condotti nelle provincie, perchè possano formarsi un concetto esatto di ciò che è la Repubblica Argentina, politicamente, socialmente, economicamente; si dovrebbe far loro percorrere la campagna e mostrar loro la miseria che vi domina, la fame che fa bagnare di lacrime le misere abitazioni, l’abbandono che regna nelle amministrazioni.

«Bisognerebbe indicar loro la verità, e la verità non si rivela nelle immense avenues, nei superbi palazzi, nei comodi alberghi, nell’ambiente aristocratico dei clubs, fra lo sciampagna e i doppieri.

«Passino i limiti della capitale federale gli stranieri che ci visitano, se vogliono studiare il vero aspetto nazionale, se vogliono convincersi che questo è un paese senza libertà, senza morale, senza amministrazione e senza giustizia.»

Ho scritto che il così detto Hôtel de inmigrantes, dove albergano i nostri poveri connazionali che sbarcano laggiù in cerca di lavoro, è un immondo lazzaretto della miseria, lurido come un canile. Il giornale La Nacion un mese dopo scriveva:

«Non si può negare che a bella prima l'Hôtel de inmigrantes col suo corteggio di casettaccie e di capannette deve dare ai nuovi arrivati un’idea abbastanza sfavorevole dell’ospitalità argentina. Le deficienze dell’immondo padiglione possono essere praticamente comprovate anno per anno da migliaia di ospiti. Sarebbe da desiderarsi che il Governo d’un paese come il nostro, dove noi ci stanchiamo a furia di predicare la necessità di fomentare l’immigrazione, cominciasse ad albergarla meglio.»

Non basta. La Prensa, il 27 dello scorso marzo, scrive:

«Dice un rapporto tecnico che l’Hôtel si trova in uno stato di distruzione tale che riesce impossibile mantenerlo in piedi senza far tali spese da essere equivalenti al costo d’un altro edificio nuovo. Le conclusioni del rapporto non lasciano luogo al dubbio: l’edificio sta nel suo ultimo periodo e minaccia di cadere.»

Infine ho parlato di volo della sistematica irregolarità amministrativa e della profonda immoralità [p. 52 modifica]politica. Si è gridato al calunniatore! Ma ecco qua che cosa scrive recentemente un giornale argentino, intorno a questo doloroso argomento:

«Lo spettacolo che offre in questi momenti la politica militante è tale da irritare le anime più placide e far vergognare le persone meno suscettibili ai vituperî della morale. Mai questo paese ha conosciuto una decadenza simile alla presente. I governanti non si occupano che di ripartire le rendite pubbliche, gran parte delle quali sono aggiudicate al proselite e al favorito. Domina in assoluto la preoccupazione assorbente del traffico dei posti pubblici.»

E ancora:

«Nulla è al suo posto. Nell’ordine politico, economico, finanziario tutto è fuori della sua orbita. La nazione precipita nel sentiero che conduce al disastro. La corruzione domina con impudenza e con ostentazione: la inettitudine si fa infermità cronica nelle alte sfere governative, e la decomposizione avanza senza incontrare ostacoli.

«La frode elettorale eretta a sistema è fonte e germe di tutti i mali. Il personale delle amministrazioni, composto dei premiati nello sport politico, inocula nell’ingranaggio amministrativo il virus della decomposizione. La somma dei mali costumi forma una quantità voluminosa di elementi funesti... ecc.»

Il giornale che parla così è la Prensa, il più diffuso giornale dell’Argentina. Precisamente quella Prensa, amico lettore, che ha dato il la dell’indignazione per le mie povere lettere, le quali, con molta meno crudezza, accennavano genericamente alle stesse cose che tanto giustamente la preoccupano.

Ma c’è di più. La Prensa ha inventato la Campagna anti-argentina! «Possiamo dire — ha scritto — che quasi tutta la stampa europea, comprese le riviste illustrate, è compromessa in questa campagna.» Si tratta di «giudizî interessati pubblicati nei giornali più serî d’Europa, fra i quali menzioneremo il Times di Londra e il Temps di Parigi.» E non si salva nemmeno l’Agenzia Havas! Si capisce [p. 53 modifica]che è tutta propaganda cilena in questa «campagna che aprirono contro la Repubblica quasi tutti i giornali europei.»

In queste ridicole accuse che insultano in blocco la migliore parte del giornalismo europeo, colpevole solo di aver raccolto un po' di verità — la quale ha pur sempre le gambe più lunghe della bugia — di quella verità che la Prensa non nasconde, vi è uno strano e mostruoso miscuglio di orgoglio cieco e di palese malafede.

All'estero non si deve parlare dell'Argentina se non per lodarla ed adularla ad ogni costo. È un vecchio costume, al quale il paese ha l'abitudine.

Soltanto i giornalisti argentini hanno il diritto di «osservare tutti i dettagli in relazione con la vita nazionale» — ha proclamato la Prensa in un articolo insolente che era indirettamente dedicato a me. E un altro giorno, lavando la testa al Temps, ha ripetuto: «Noi abbiamo il diritto di tollerare i nostri errori e di accogliere gli apprezzamenti della stampa nazionale, perchè sono i nostri proprî interessi che discutiamo con l'ampio diritto di cittadinanza, e con il merito di provati servizî ad una nobile causa; però, quando si tratta di giornali stranieri che debbono mantenersi estranei ai dettagli delle passioni delle altre nazioni, la missione del giornalismo argentino è altra...»

Ah! no!

Quando anche non fosse un diritto innegabile del giornalismo la serena critica di tutto quanto interessa l'umanità, se anche non fosse un suo sacrosanto dovere il desiderio del bene in qualsiasi luogo dove vivono uomini, e la persecuzione del male sotto tutte le latitudini e in ogni suo rifugio, anche se occorresse questo diritto di cittadinanza per interessarsi a ciò che voi chiamate i dettagli delle vostre passioni, ebbene noi potremmo parlare, perchè noi questo diritto di cittadinanza lo abbiamo! [p. 54 modifica]

Pensate che vi è più d'un milione d'italiani nell'Argentina, e che più della metà degli abitanti è di sangue italiano. Le nostre braccia sono invitate anche ora che, a centinaia di migliaia, altre braccia laggiù penzolano inerti lungo i fianchi con l'abbandono della disperazione. Abbiamo il dovere di vedere che cosa avviene di questo esercito di nostri lavoratori che abbandona la Patria per dare l'immensa sua forza ad un altro paese.

Noi abbiamo come voi, giornalisti argentini, il diritto di additare e studiare nelle loro origini e nel loro sviluppo le gravi malattie del vostro paese, perchè quanto voi, se non di più, noi ne desideriamo la guarigione.

Nessuno più sinceramente degli italiani può augurare al paese, che alcuni chiamano la Giovane Italia, quel completo risanamento morale, politico ed economico, che solo potrà sollevarlo dalle sue sciagure, e che gli darà finalmente la forza di occupare il posto che per le sue latenti energie si merita.

Purtroppo non ho ancora esposto che una parte dei mali, e prima di occuparmi diffusamente delle condizioni e dell'opera degli italiani, dovrò consacrare parecchie lettere alla descrizione talvolta dolorosa, ma sempre necessaria dell'ambiente nel quale i nostri connazionali esplicano la loro attività.

Non è col tacere o col mentire, perpetuando equivoci, errori e disinganni, che si può giungere al bene! È per questo che io continuo la mia via con la serena coscienza di compire un dovere.



Note

  1. Dal Corriere della Sera del 23 maggio 1902.