L'Economico/Capitolo XVII

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Capitolo XVII

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Senofonte - L'Economico (IV secolo a.C.)
Traduzione di Girolamo Fiorenzi (1825)
Capitolo XVII
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CAPITOLO XVII.


Intorno all’apparecchiare la terra alla semina tu vedi, disse, o Socrate, che ambedue già pensiamo che debba farsi a un modo stesso. Così è in fatti, risposi. Intorno poi al tempo di spargere la semenza pare a te, disse, o Socrate, che per avventura alcun altro ve n’ahbia più opportuno di quello, che già tutti gli uomini, i quali furono innanzi a noi per averne preso esperimento, e tutti quelli che sono ora altresì esperimentandolo, hanno conosciuto essere il migliore? Perocchè non è appena venuta la stagione autunnale, che tutti gli uomini a Dio riguardano, quando, mandando le piogge a inumidire il terreno, permetterà ad essi di seminare. Bene appresero, diss’io, tutti gli uomini, o Iscomaco, a non voler seminare nella secca terra, vedendo manifestamente colpiti da molti danni coloro, che seminarono prima di averne avuto l’ordine da Dio. In ciò adunque, disse Iscomaco, tutti quanti siamo d’accordo. Perchè, diss’io, cotesto accordo si scorge in ogni cosa, che Dio ne insegna: siccome a tutti par meglio portare nel verno le più grosse vesti, che si abbiano e tutti si avvisano di accender il fuoco, purchè abbiano legna. In questo però, disse Iscomaco, molti [p. 87 modifica]sono di vario parere, o Socrate, circa la seminagione, se sia cioè migliore quella fatta per tempo, o quella di mezzo, o piuttosto quella che si fa in ultimo. Ciò addiviene, dissi, perchè anche Dio non dà ordinatamente a ciascun anno la medesima temperatura, ma ora questa si è favorevole alla seminagione fatta per tempo, altre volte a quella di mezzo, o all‘ultima. Tu adunque, o Socrate, disse, come stimi che sia da farsi, o che si elegga una di queste seminagioni, sia che molto, o poco abbiasi a seminare, o che incominciando dalla più sollecita così si vada continuando finchè si giunga alla più tarda? Miglior cosa, risposi, mi sembra, o Iscomaco, il partecipare di tutte queste seminagioni, poichè giudico assai più utile l’avere in ogni anno una sufficiente quantità di grano, che alle volte ricoglierne molto, e alle volte mancare di quello ch’è necessario. Ed anche in questo, disse, ti accordi, o Socrate, a pensare quello medesimo, che io già ne pensava: e tu che impari sei stato il primo a dirlo a me, che ti sto ammaestrando. E che, diss‘io, il saper gittare nel campo la semenza come si conviene non è forse un’ arte, che ha in se molte difficoltà? Ora, disse, o Socrate, ci faremo a considerarlo, e in prima tu sai che la semenza si sparge colla mano. Ciò, dissi, lo so benissimo avendolo già veduto. Ma, seguì egli, altri poi sanno spargerla con eguaglianza, ed altri no. [p. 88 modifica]Ma, diss’io, per apprendere a spargerla con eguaglianza basterà l’usare un poco di attenzione, acciocchè la mano siccome ai ceteratori, così ubbidisca alla volontà di colui, che semina. Certamente, disse, così è. Ma se poi la terra fosse in parte sottile, e in parte di maggior sostanza? Cosa vuoi tu con tali parole significare? diss’io; forse chiami sottile la terra magra, e di poco vigore, e di maggior sostanza chiami quella ch’è valida e grassa? Così appunto, rispose, e ti dimando, se all’una, e all’altra terra daresti eguale quantità di semenza, o a quale ne daresti di più? Quanto al vino, parmi, dissi, che in quello che sia più gagliardo si possa infondere maggiore quantità di acqua, e ad un uomo più vigoroso quando gli accadesse di averti a trasportare alcuna cosa, potrebbesi far portare un più grave peso, che ad altri di quello più debole: e dovendosi distribuire il vitto a varie persone, ordinerei che alle più robuste se ne desse in maggior copia: per altro se una terra magra s’impingui, quando alcuno gli somministri grano in abbondanza, come avviene ai giumenti, questo tu insegnamelo. Allora Iscomaco ridendo disse: ben mi avveggo, che mi vai burlando, o Socrate, tuttavia sappiti questo, che quando siasi sparsa nella terra la semenza, crescendovi poi assieme con quella anche molta cattiva erba per la troppa pioggia caduta dal cielo, se allora tu di nuovo la rivolgerai sotto [p. 89 modifica]terra, questa sarà ad essa di nutrimento, e come dal concime ne verrà ingrassata; ma se tu lasci, che la terra l’allevi fino al maturare del frutto, certo che sarà assai malagevole ad una terra magra il condurre a maturità molto frutto, come ad una magra scrofa sarebbe malagevole il nutricare molti grassi porcelli. Tu dici adunque, o Iscomaco, diss’io, che alla terra più magra si abbia dare minor semenza? Si certamente, e tu ancora sei del mio parere, dicendo, che a chi abbia minor vigore si abbia anche a dar meno che fare. Per qual cagione poi, soggiunsi io, o Iscomaco, adoperiamo noi i sarchielli nel grano? Tu già sai, rispose, che nel verno cadono dirotte pioggie? E come no: dissi. E non vedremo allora molte pianticelle di grano ricoperte dal loto condottovi sopra dall’impeto delle acque, e molte altre poi per lo scorrimento delle medesime acque rimanersi colle radici scoperte? Egli è ben naturale, diss’io, che così accada. E non ti sembra, soggiunse, che standosi in tale stato il grano, abbia d’uopo di alcun soccorso? Si al certo, diss’io. A quello adunque che fu ricoperto dal loto, con quale rimedio a tuo parere, o Socrate, si avrebbe a soccorrere? Coll’alleggerirlo , diss’io, dalla terra, che lo aggrava. E a quello, seguitò, che abbia le radici scoperte? Riconducendogli sopra la terra. E che dovremo poi fare, disse, se le nocevoli erbe, spuntando rigogliose [p. 90 modifica]volessero soffocare il grano, e gli venissero a rubare il proprio nutrimento, a quel modo, che i calabroni non sapendo essi fabbricare il mele, rubandolo alle api, si divorano quel nutrimento, ch’esse colle loro fatiche si erano procacciato? Queste, risposi, senza dubbio dovremo tosto svellere, siccome si discacciano i calabroni dall’arnie. E non ti par egli, disse, che a far tutto questo convenevolmente si adoperino i sarchielli? Certamente; ma io, dissi, o Iscomaco, vado considerando quanto gran cosa sia l’addurre delle ben appropriate similitudini, perocchè tu assai più mi hai fatto sdegnare con queste malvagie erbe assomigliandole come facesti ai calabroni, che quando dei danni di quelle mi ragionasti.