La Chioma di Berenice - Discorsi e considerazioni (1913)/Considerazione decimaquarta - Codici

Da Wikisource.
Considerazione decimaquarta - Codici

../Considerazione decimaterza - Mirra ../Commiato IncludiIntestazione 6 marzo 2022 75% Da definire

Considerazione decimaterza - Mirra Commiato

[p. 331 modifica]

CONSIDERAZIONE DECIMAQUARTA

codici.

Dirò qui de’ quattro codici ambrosiani citati nelle varianti, dove, per non imbruttirle di tutti gli abbagli degli amanuensi, ho recato soltanto quelle lezioni in lite, nelle quali i mss. convengono. Il primo, da noi chiamato Y, è in-8° grande, cartaceo, di caratteri non anteriori al 1400. Nella biblioteca Ambrosiana è segnato M, 38. Il codice A, in-4°, in pergamena, contiene Properzio e Tibullo, dopo Catullo, con dorature e con una impresa di casa Bolognini milanese. È segnato S, 67. Il codice B, in-8° grande, in pergamena, con Properzio e Tibullo prima di Catullo, di caratteri piú recenti. Era giá posseduto da Gian Vincenzo Pinelli. È segnato H, 46. Il codice C, in-8°, pergamena, con caratteri bellissimi, piú degli altri coerente all’edizione principe, è per tutti gli indizi posteriore alla stampa. È segnato D, 24.

Sopra il B e C non cade questione: chiunque abbia appena salutate le librerie, li giudica piú recenti del codice A. Or io proverò questo stesso codice contemporaneo all’edizione principe o di pochi anni prima. La impresa è un angelo ed un lione con un pomo cotogno nella zampa. I Bolognini vennero investiti del feudo di Sant’Angelo da Francesco primo Sforza (Bellalius, Elenchus familiarum mediolanensium). Il duca era degli Attendoli di Cotignola (Verri, Stor. milan ., tomo i, cap. xv, p. 453); e concesse a’ Bolognini di portare questo nome ed i cotogni nell’arme (Theatrum nobilit. Mediolan., p. 216). * Lo Sforza s’insignorí di Milano nel febbraio del 1450 (Machiav., Istor. fior., lib. vi), e premiò i Bolognini due anni dopo.* Il codice dunque non può essere anteriore al 1452; ma chi prova che non fosse fatto piú anni dopo l’investitura del feudo? Il Bolognini, guerriero che meritò la ricompensa del duca, morí l’anno 1464, otto anni prima dell’edizione principe. Né si canti l’usato responsorio de’ fregi posteriori alla scrittura. L’architettura del libro ed i versi del frontespizio persuadono che anzi sia stata fatta la scrittura per li fregi. [p. 332 modifica]

Il codice cartaceo, sebbene scorretto né anteriore al xv secolo, è degno di essere attentamente esplorato. Il Vossio, nel suo comento a Catullo, cita spesso un codice ch’ei chiama «eximiae pulchritudinis», cognominandolo or «italiano», or «milanese». Tutte le lezioni vossiane della Chioma berenicea concordano con parecchie del codice A, e con tutte quasi di questo cartaceo (vedi nostre varianti e note, passim). Un’altra pruova che il Vossio parli di uno di questi due codici si è ch’ei viaggiò in Italia verso l’anno 1650 * (nacque il Vossio a Leide l’anno 1618, morí sul principio del 1689);* né la biblioteca Braidense era ancora fondata, bensí l’Ambrosiana aperta sin dal 1609. E, sebbene sieno stati negli ultimi anni molti codici δορύκτητα, si sa di certo che niuno de’ catulliani è stato carpito. Vero è che il Vossio, nel corso del suo comento, cita alcuna lezione del suo codice favorito, a cui l’ambrosiano non risponde: ma chi credesse di buona fede un erudito, ove si tratti di «varie lezioni» e di dottissime «emendazioni», gli farebbe piú torto che onore. I codici, citati a dozzine e sí vantati dagli editori ed interpreti de’ classici, non sono perduti. Tutti, o la piú parte, si possono vedere nelle biblioteche, specialmente d’Italia e d’Olanda. Chi li svolgesse con critico acume, s’accorgerebbe che la maggior parte o sono triste copie d’amanuensi venali ed ignoranti, o simulazioni di letterati per arricchire le loro biblioteche e sostenere le proprie opinioni; e queste dei letterati posteriori alla stampa. *L’Heyne, esaminati i codici tibulliani tutti, li trovò posteriori al secolo xiv (Praefatio ad Tibul., edit. 1, Lipsiae, 1755).* Chi non sa le gare, i rancori, le villanie degli eruditi nel secolo xv e xvi? Marc’Antonio Mureto, il piú gentile di tutti, lasciò anch’egli due esempi di mala fede; e Gioselfo Scaligero, ὁ πάνυ, due esempi di ignoranza. L’Inno a Cibele, che si trova nel carme xlii di Catullo, è in metro galliambo, raro fra’ latini. Lo imitò il Mureto. Piponzio Valente (nel ii delle Georgiche virgiliane, v. 392) citò come antichi alcuni galliambi foggiati dal Mureto; nel quale errore cadde lo Scaligero. Donde vennero contumelie erudite ed eruditi e scabrosissimi nulla. Pendendo tanta lite, lo Scaligero stabili nel carme xvii, v. 6, di Catullo la seguente lezione:

In quo vel salisubsuli sacra suscipiunto,

fidando nel verso di Pacuvio:

Pro imperio sic salisubsulus nostra excubet.

[p. 333 modifica]

Or chi crederebbe che questo Pacuvio è pur quello stesso Mureto, che tornò ad ingannare Io Scaligero, quel dottissimo, che il Volpi chiama «padre de’ critici»? Ma io vorrei che cessasse questa libidine di codici, e di varie lezioni, e di volumi sopra l’«abbicci» e sull’uso d’un pronome: e questi sono i fasti della bella letteratura italiana ne’ secoli passati! Quintiliano si querelava (Istit., lib. ix, cap. 4) sin dal suo tempo degli emendatori di Livio. E la libidine ricomincia a penetrare le fibre cornee degli eruditi italiani, che, violando le prime ed ottime edizioni di Dante Alighieri, e specialmente quella del 1495, vanno ripescando stravaganti lezioni nelle tarlature de’ codici, traendo, per cosí dire, il divino poema da quel santuario ov’è per tanti anni culto da’posteri. La edizione bodoniana di Dante ridonda di sí care eleganze; opera tutta di monsignore Dionisi veronese. Una sola recherò,

          . . . el crimine ab uno
disce omnes.

Scrisse Dante (Purgat., cant. xxx, v. 13), mirando alla risurrezione de’ morti nel giudizio finale:

     Quale i beati, al novissimo bando,
surgeran presti, ognun di sua caverna,
la rivestita carne alleviando.

Ove monsignore corresse, per sé e pe’ suoi pari, poiché noi profani non ci arriviamo:

la rivestita voce alleluiando.

Né io dirò, con l’amico mio Vincenzo Monti, che monsignore è uno «spiritato»; né, con altri, che monsignore è senza costumi, massime quando in quel suo libro sul Petrarca vuole persuadere a’ canonici che l’amante di Laura era un donnaiuolo scapestrato, e la «bella francese» una sguaiatella. Guardimi il cielo d’intolleranza! Dirò bensí che in tutte le cose, e fino ne’ codici e negli autori, ogni uomo travede le proprie passioni ed i propri costumi: qual maraviglia dunque se monsignore fa «alleluiare la rivestita voce», poich’egli da piú di ottantanni «alleluia»? e da piú di ottantanni...? Cosí l’«alleluia» si sentí cantare in Alessandria nel tempio di Giove Serapide (Cassiodoro, Epitome histor. eccles. tripartit., [p. 334 modifica] lib. ix, cap. 17). Cosí Uezio (Quaest. alnetan., lib. ii, cap. 3) vede in un passo di Seneca

1


Cosí, quando il reverendissimo Giovanni Kalb andò di Germania a Roma per far abbruciare certi letterati eretici, trafitto dal desiderio della patria, citò Ovidio (Epist . obscur. virorum , tom. i, p. 304):

Dulcis amor patriae, dulce videre suas.

Gridava un gesuita «suos», un teresiano «sues»: e la lezione non fu pertanto corretta. Or, poiché ho parlato del reverendissimo Kalb, non dispiacerá al lettore una epistola di un suo discepolo scritta al maestro Ortuino Grazio, dottore in teologia: se per altro il lettore nel corso di questa operetta s’è dilettato con me di etimologie e di allegorie. Nota latina eleganza?

Frater Conradus Dollenkopfius ord. praed. niagistro Ortuino Gratio salutem et devotionem humillimam cum orationibus quotidianis apud Dominum nostrum Iesum Christum. Venerabilis vir, non habealis molestiam quod scribo vobis de negotiis meis, cum vos bene habetis maiora pro agendo: sed dixistis mihi olim quod deberem vobis semper scribere quomodo studerem, et non deberem cessare in studendo, sed deberem procedere, quia haberem bonum ingenium et possem cum adiutorio Dei bene proficere, si met vellem. Ergo debelis scire quod ego pro nuc contuli me ad studíum Heydelbergense, et studeo in theologia. Sed, cum hoc, audio quotidie unam lectionem in poëtria, in qua incepi proficere notabiliter de gratia Dei, et iam scio mentetenus omnes fabulas Ovidii [p. 335 modifica] in Metamorphoseos, et scio eas exponere quadrupliciter, scilicet naturaliler, literaliter, historialiter et spiritualiter; quod non sciunt isti poëtae seculares. Et nuper interrogavi unum ex illis: — Unde dicitur «Mavors»? — Tunc dixit mihi unam sententiam, quae non fuit vera. Ego dixi quod «Mavors» dicitur quasi «mares vorans», et correxi eum, et fuit confusus valde nimis. Et dixi: — Quid significatur per novem musas? — Tunc etiam ignoravit: et ego dixi quod novem musae significant septem choros angelorum. Tertio dixi: — Unde dicitur «Mercurius»? — Sed, quando non scivit, tunc dixi ei quod «Mercurius» dicitur quasi «mercatorum curias,» quia est deus mercatorum et habet curam pro eis. Ita videtis quod isti poëtae nunc student tantum in sua arte literaliter, et non intelligunt allegorias et expositiones spirituales, quia sunt homines carnales valde nimis; et, ut scribit Apostolus (Corinth., i, 2): «Animalis homo non percipit ea quae sunt spiritus Dei». Sed possetis dicere:— Unde habetis istam subtilitalem? — Respondeo dicens: quod nuper acquisivi unum librum, quem scripsit quidam magister noster de ordine nostro, et habet nomen Thomas de Walleis; et compositus est ille liber super librum Metamorphoseos Ovidii, exponens omnes fabulas allegorice et spiritualiter. Et ita profundus est in theologia, quod non creditis. Certissimum est quod Spiritus Sanctus infudit huic viro talem doctrinam: quia scribit ibi concordantias inter Sacram Scripturam et fabulas poetales. Sicut potestis notare ex istis, quae iam ponam. De Pithone serpente, quem interfecit Apollo, scribit psalmista2: «Draco iste quem formasti ad illudendum ei». Et iterum: «Super aspidem et basiliscum ambulabis». De Saturno, qui semper ponitur homo senex et pater deorum, comedens filios suos, scribitur ab Ezechiele: «Comedent patres filios in medio tui». Diana significat beatissimam Virginem Mariam, ambulans cum multis virginibus hinc inde, et ergo de ea scribitur in Psalmis: «Adducentur virgines post te; curremus in odore unguentorum tuorum». Item de Iove, quando defloravit Calistonem virginem et reversus est ad caelum, scribil Matth., xii, 44 et Luc. xi, 24: «Revertar ad domum meamunde exivi». Item de Aglauro pedissequa, quam Mercurius vertit in lapidem, illa lapidificatio tangitur. Job., xiii: «Cor eius indurabitur ut lapis». Item quomodo Iuppiter supposuit Europam virginem. etiam habetur in Sacra Scriptura: «Audi, filia, et vide et inclina aurem tuam, quia concupivit rex speciem tuam». Item Cadmus quaerens sororem suam gerit personam Christi, qui quaerit suam sororem, idest Ecclesiam. De Acteone vero, qui vidit Dianam, prophetizavit Ezechiel, cap. xvi, dicens: «Eras nuda et confusione plena, et transivi per te, et vidi te». Et non est frustra in poëtis scriptum quod Bacchus est bis genits, quia per hoc significatur Verbum, quod etiam est bis genitum uno modo ante secula, [p. 336 modifica] et alla vice humaniter et carnaliter. Et Semele, qui nutrit Bacchum, significat beatam Virginem, cui dicitur Exod., ii: «Accipe puerum isltum, et nutri mihi, et ego dabo tibi mercedem tuam». Item fabula de Piranio et Thisbe sic exponitur allegorice et spiritualiter. Piramus significat filium Dei, et Thisbe significat animam humanam, quam amat Christus, et de qua scribitur in Evangelio: «Tuam ipsius animam pertransibit gladius» (Lucae, ii, 35); sic Thisbe interfecit se gladio amasii sui. Item de Vulcano, qui eiicitur de coelo et efficitur claudus, scribitur in Psalmis: «Expulsi sunt nec potuerunt stare». Haec et talia multa didici ex isto libro. Vos videretis mirabilia si essetis mecum; et ista est via qua debemus studere poëtriam. Sed parcatis mihi quod praetendo quasidocere Vestram Dominationem, quia vos scitis melius quam ego; sed feci in bona opinione. Scriberem novalia, si scirem; sed iam nihil scio, alias vellem notificare. Sed iam valete in charitate non ficta. Datum Heydelbergae.

Se questo saggio piacerá a’ letterati, io procaccerò la ristampa di queste preziose lettere, molte altre aggiungendo d’inedite, le quali si serbano in una biblioteca, fra’ libri giá posseduti da Giovanni Reuchlin e da Erasmo di Rotterdam. Per ora

Praetereo, ne sic, ut qui iocularia, ridens
percurram.

  1. Con questo triangolo, che è nell’ediz. originale, curala dal F., egli volle alludere certamente alla Trinitá. Infatti il passo dell’ Huet, cui egli si riferisce (Alnetanae quaestiones de concordia rationis et fidei, ii, 3, ediz. Francoforte, 17J9. p. 95), suona cosí: «...manifesta est trium sacrae Trinitatis personarum significatio in his verbis Senecae [Consolat. ad Helviam , cap. 8] : ‘Quisquis formator universi fuit, sive ille Deus est potens omnium [hic ille est Pater omnipolens], sive incorporalis Ratio ingentium operum artifex [en ibi Filium, λόγον nempe, sive Verbum, per quod omnia facta sunt], sive divinus Spiritus per omnia maxima minima aequali intentione diffusus [quae denotant Spiritum Sanctum]’» [Ed.].
  2. * Psalm., ciii, vers. 27.*