La Colonia Eritrea/Parte II/Capitolo XV

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Capitolo XV

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CAPITOLO XV.

(1895)


Arimondi comandante del Tigrè — Sue forze — Suoi provvedimenti — Il capitano Persico ad Amba Alagi — Il maggiore Toselli Ticino ad Ascianghi — Informazioni sul nemitro — Sorprese ed equivoci — Toselli si ritira ad Amba Alagi — Baratieri parte da Massaua — Glorioso combattimento di Amba Alagi — Scontro di Aderà — Ripiegamento di Arimondi su Adagamus — Il battaglione Galliano a Makallè


Le forze che il generale Arimondi, lasciato comandante del Tigrè, poteva opporre all’immensa invasione scioana sommavano complessivamente a 4350 fucili regolari a 2000 delle bande ed a 6 pezzi d’artiglieria; e queste forze erano sparse sopra un vastissimo territorio e dislocate tra Adigrat, Adua e Makallè, ed in parte impegnate in escursioni per la repressione del brigantaggio, per la sottomissione dei ribelli, per la sorveglianza dei confini e dei capi indigeni.

Altre forze di poco superiori erano a disposizione del Governatore, sparse su tutte le regioni a nord dei vecchi confini del Mareb-Belesa-Muna, da Massaua a Kassala e nei molteplici forti e presidi interni.

In base alle istruzioni ricevute dal Governatore, Arimondi si diede a riordinare tutta [p. 154 modifica]la nuova regione conquistata, procedendo alla investitura dei capi indigeni sottomessi, alla pacificazione interna, alla fortificazione delle principali località, alla formazione di nuove bande regionali, e proseguendo sulle trattative per attirare all’Italia i capi incerti.

A capo dell’Enderta fu designato ras Sebath, che indi a poco aiutato d’armi e di denaro istituì una sua banda di oltre 300 fucili; ad un altro capo spodestato, certo degiac Alì, fu promesso il retaggio de’ suoi padri nell’Enda Moeni; al vecchio ras Agos dello Scirè, tentennante tra la sommissione e la ribellione, fu offerto il Semien.

Tutto il Tigrè fu poi diviso nelle zone di Adua, Adigrat e Makallè; ed in quest’ultima località il 20 novembre alla presenza dei notabili indigeni fu inaugurato sull’altura di Enda Jesus un piccolo forte ove doveva poi immortalarsi l’anima eroica di Giuseppe Galliano.

Frattanto il Governatore rimaneva a Massaua tutt’altro che preoccupato della sorte della Colonia e del Tigrè, sebbene i nemici si addensassero di già alle sue porte.

Egli, malgrado le voci e le notizie che già correvano di concentramenti di truppe scioane e ahmariche, intorno ad Ascianghi giudicava ancora che esse avessero uno scopo piuttosto difensivo che offensivo, che fossero tutt’altro che numerose e che mirassero piuttosto a fermare le trionfanti armi Eritree sulle porte del Lasta, che a riconquistare il dominio perduto di Mangascià.

Tali speranze (che in parte nutriva ancora [p. 155 modifica]il 31 dicembre, come risulta nella sua relazione sul fatto di Amba Alagi) erano avvalorate anche da informazioni, da lui ritenute attendibili, le quali assicuravano che il re del Goggiam ed altri capi ad ovest del lago Tsana si erano ribellati; che i galla e i mussulmani della costa avrebbero molestato la marcia delle truppe scioane, e che grandi scissure regnavano fra tutti gli altri capi; per cui era difficile che sovrastasse un imminente pericolo all’Eritrea.

Tuttavia, persistendo le voci d’arrivi di truppe scioane dal sud, il 13 novembre, d’accordo con Arimondi, fa partire la compagnia Persico in distaccamento avanzato ad Amba Alagi; ed il 24 successivo anche il maggiore Toselli fu inviato da Arimondi a quella volta con 3 compagnie indigene, 2 sezioni d’artiglieria e le bande di ras Sebath, con incarico di sorvegliare i confini meridionali del Tigrè, mantenere a freno i capi dipendenti e dirigere il servizio d’informazioni.

Toselli, congiuntosi colla compagnia Persico, si spinse fino a Belegò sui confini meridionali dell’Enda Moeni, e quindi potè accertare che a sud del lago Ascianghi si concentravano numerose forze nemiche.

Le notizie che egli raccoglie da’ suoi informatori più fidati, e che trasmette tosto al generale Arimondi e al Governatore, affermano che sulla linea Borumieda-Ascianghi è un continuo affluire di Abissini da tutte le parti; che il 23 novembre ras Alula e Oliè erano a Mai Cobbò e i ras Maconnen e Micael nel Jeggù, e che il Negus era rimasto ad Entotto; che [p. 156 modifica]alcuni giorni dopo i ras Alula, Mikael, Darghiè ed il Fitaurari del Negus erano a Mai Sciambucò, e Mangascià presso Ascianghi; che il 27 i Ras predetti erano tra Balomata e Uofflà, e che vi si erano aggiunti anche il capo del Lasta, ras Mangascià Atichim del Beghemeder, e ras Maconnen dell’Harrar, mentre Tesfai Antalo, l’amico di Mangascià, era corso verso il sud a sollecitare il Negus.

Relativamente all’entità delle forze a disposizione dei vari capi, Toselli poteva dare tali notizie, che apparvero gravi a tutti, salvo che all’ottimista Governatore.

Egli tuttavia comincia a muoversi e sollecitato dalle corrispondenze di Arimondi, suggerisce la concentrazione di un corpo di truppe a disposizione di lui in Makallè consistente in 16 compagnie regolari, 1 batteria e le bande del Tigrè, Agamè, Serae, Okulè-Kusai, Enderta, Enda Moeni: non più di 6000 uomini in tutto, coi quali ritiene di poter fronteggiare vittoriosamente qualsiasi attacco nemico anche se osassero avanzare tutte le forze dei Ras riuniti. (vedasi Allegato 11 alle relazioni ufficiali, su Amba Alagi).

E contemporaneamente mobilita le sue truppe coloniali, chiama in servizio la milizia mobile e le altre bande, e ordina poi il concentramento di tutte le truppe disponibili ad Adigrat; radunandovi in tutto 5 battaglioni, 1 batteria e le bande, ossia poco più di altri 4000 fucili e 6 pezzi.

Finalmente egli stesso in persona il 3 dicembre partiva per l’Asmara e si dirigeva [p. 157 modifica]verso Adigrat, dopo aver consigliato ad Arimondi un’azione energica oltre il Tacazzè, da eseguirsi da una compagnia e dalle bande del tenente Mulazzani, allo scopo di decidere l’incerto ras Agos e gli altri capi del Semien in favore dell’Italia.

Si vede che temeva ben poco se riteneva sufficienti 200 uomini ad esplicare un’azione energica in quelle condizioni.

Infatti egli credeva di andare a fare la pace; non solo perchè con una lettera del 26 novembre aveva ricevuto da Nerazzini l’annuncio che Maconnen prima di partire pel Tigrè aveva dichiarato di venire ad abboccarsi col Governatore per intendersi circa la pace, ma anche perchè lo scaltro Ras appena giunto a Balomata, alquanto a sud del lago Ascianghi, gli aveva scritto le seguente altra lettera:


Che arrivi all’illustre amico mio generale Baratieri

Governatore dell’Eritrea

e di tutti dipendenti paesi (provincie).


Balomata, 26 novembre 1895.


Sia a voi pace e salute!

Mandata da ras Maconnen governatore di Harrar e di tutti i dipendenti paesi. Se domandate della mia salute fino a quest’ora sto bene. Quando ero in Harrar io e monsieur Felter abbiamo conferito a quanto riguarda il bene (utilità) che sarà per il vostro Governo e per il nostro. Egli mi disse che queste parole sono del vostro Governo.

Ora se questo affare (oggetto) può essere conchiuso facendo io e voi un colloquio personalmente sarebbe un beneficio per non versare il sangue cristiano senza un motivo.

S. M. mi ha mandato verso il Tigrai, prima di tutto per conferire con Voi e definire.

Ora ho la speranza che farete sapere subito quello che vi fa comodo. Monsieur Felter se assente sarebbe bene di chiamarlo.

Auguro che il Dio dia salute a voi ed al vostro Governo.

Maconnen.

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Baratieri credette sincere le proposte del Ras scioano e le attribuì alla paura inspirata dalle precedenti vittorie eritree. Così si affrettò a incaricare telegraficamente per mezzo di Arimondi il maggiore Toselli di disporre per le particolarità del colloquio, e mandò tosto un messo a Maconnen colla risposta seguente, che doveva arrivargli soltanto dopo lo scoppio delle ostilità.


Mandata dal generale Baratieri, governatore dell’Eritrea

al caro e illustre amico ras Maconnen

governatore di Harrar.


Asmara, 3 dicembre 1895.


La pace e la salute sia con Lei.

Sono contento che Ella goda ottima salute. Io pure grazie a Dio sto bene.

Quando si versa sangue cristiano, anche se mi arride la vittoria, è un gran dolore per me. Perciò sarò molto lieto se un colloquio fra noi due potrà evitare lo spargimento di sangue. Anche S. M. il Nostro re Umberto lo desidera ed ho avuto da Lui pieni poteri. Anche Lei sono certo verrà al colloquio munito di pieni poteri di S. M. negus Menelik.

Per tutti i particolari del colloquio ho dato incarico al maggiore Toselli. Anche Lei invii una persona che possa trattare col maggiore Toselli.

Il signor Feiter mi ha riferito tutti i colloqui che ha avuto con Lei, e siccome siete veri amici l’ho mandato a prendere a Zeila.

Arriverà domani a Massaua con una delle navi della nostra squadra da guerra che ora sta fra Aden e Zeila.

Ella non abbia alcun timore per i suoi paesi.

Auguro che Dio conceda salute a Lei ed a tutta l’Etiopia.

Baratieri.


Frattanto intorno al lago Ascianghi era avvenuto il concentramento di oltre 35000 abissini e tutti i principali Ras anelavano di venire alle armi. [p. 159 modifica]

Tra Toselli e Maconnen furono scambiati per alcuni giorni dei messi per stabilire le condizioni del colloquio col Governatore. Ma in breve il primo ebbe ad accorgersi che il Ras fingeva e cercava pretesti per avanzare indisturbato e perlustrare le posizioni dei nostri, senza mai concludere nulla. Finalmente Toselli avvertì Maconnen che se veramente aveva intenzione di trattare la pace facesse proposte chiare e frattanto si ritirasse ad Ascianghi; e poichè il Ras sdegnato gli rispose intimandogli di sgombrare il passo, Toselli si preparò alle armi opponendogli un fiero rifiuto.

Ormai il dado era tratto, e si vide lo strano spettacolo di un battaglione di 2000 uomini che lanciava il guanto di sfida ad un’intera armata di 35000.

Certamente il prode maggiore quando lanciava tale sfida al prepotente Ras, ignorava che in seguito a due gravi inconvenienti già successi nelle corrispondenze tra lui ed il comando del Tigrè, si sarebbe trovato nel momento della lotta completamente isolato e abbandonato.

Toselli alcuni giorni prima, trovandosi ancora sulla fortissima posizione di Belegò, si era accorto che essa era facilmente aggirabile dal nemico, e con lettera del 28 novembre aveva manifestato al generale Arimondi l’intenzione di ripiegare su Amba Alagi. Il Comandante del Tigrè autorizzò non solo tale ripiegamento, ma gli mandò un telegramma che concludeva colle seguenti parole: Lascio in facoltà V. S. mantenersi ancora Belegò o ripiegare ai piedi di Amba Alagi, o secondo circostanze più [p. 160 modifica]indietro ancora. Senonchè questo telegramma per una causa strana, inconcepibile, giunse al maggiore Toselli errato e mutilato nella forma e nella sostanza col periodo suddetto che si esprimeva così: Lascio in facoltà V. S. mantenersi ancora Belegò oppure ripiegare ai piedi Amba Alagi secondo circostanze.

Dopo questo inconveniente che obbligava o per lo meno autorizzava Toselli a non abbandonare l’Amba fatale avvenne l’altro seguente non meno grave.

Il generale Arimondi, giustamente impressionato dalle gravi notizie che giornalmente Toselli mandava da Amba Alagi, il giorno 5 lo aveva mandato ad avvertire che all’indomani sarebbe corso in suo aiuto; però avendo dopo tale promessa chiestone facoltà al Governatore, ne ebbe invece la proibizione, così che la partenza fu sospesa.

Alla mattina del 6 Arimondi mandò per lettera ad avvisare Toselli di tale rifiuto; ma il messo incaricato di tale servizio non giunse poi a destinazione.

Questi due inconvenienti del telegramma sbagliato e del messo non arrivato furono certamente quelli che trassero in inganno il maggiore Toselli, ed esposero il suo eroico battaglione alla gloriosa ma dolorosa giornata del 7 dicembre; perchè in seguito ad essi non solo il prode maggiore si credette autorizzato a mantenersi fermo ai piedi dell’Amba, ma vi fu confortato colla promessa di aiuti, che non potè essere revocata.

Nella giornata del 6 altre gravi notizie [p. 161 modifica]mandate da Toselli annunziarono la situazione criticissima e l’attacco imminente ed inevitabile, e questa volta determinarono Arimondi a muovere in suo soccorso e Baratieri a consentirlo; ma era già troppo tardi.

Frattanto l’eroe si disponeva a sostenere l’urto scioano coll’esigua forza che aveva a suoi ordini; la quale, in seguito all’arrivo di alcuni reparti e della banda di sceich Thala raggiungeva complessivamente la forza di 2000, fucili circa; e cioè:

Il 4.° battaglione Indigeno colle compagnie Canovetti, Issel, Rizzi e Bruzzi;

La compagnia Persico del 3.° indigeni;

Una centuria del 6.° indigeni (tenente Pagella);

Due sezioni della prima batteria da montagna (capitano Angherà);

Bande di ras Sebath, degiac Alì e di sceich Thala;

Bande dell’Okulè-Kusai (tenente Volpicelli);

Amba Alagi è uno dei soliti massi granitici isolati, a pareti quasi verticali che caratterizzano il suolo dell’Abissinia; ai piedi di essa e tutt’intorno si diramano delle propagini montuose, sul cui fianco orientale passa la strada principale serpeggiante intorno alla dorsale etiopica.

Ma oltre a questa via, che fu già percorsa dalle truppe inglesi, e che è il più importante mezzo di comunicazione tra i paesi del sud e quelli del nord, altre due stradicciuole da essa diramatesi un poco a sud di Atzalà girano largamente e quasi ad arco intorno all’Amba, [p. 162 modifica]passando l’una ad est pel colle di Felegà e l’altra ad Ovest pel colle di Togorà, donde poi si ricongiungono alla via principale.

Toselli conobbe le necessità imposte da questa aggirabilità della sua posizione, ma i suoi mezzi erano troppo inferiori al bisogno. Dopo la fiera negativa da lui data a Maconnen, intimantegli di sgombrare il passo per Makallè, prevedendo inevitabile l’attacco per la mattina del 7 dicembre, egli dispose sino dal 6 le sue truppe alla difesa in questo modo:

Sulla sinistra le bande di ras Sebath e degiac Alì (350 fucili) vanno ad occupare le alture che sovrastano al sentiero del colle di Felegà; alla loro destra la compagnia del capitano Issel; davanti a questa e scaglionata in avanti, colla centuria del tenente Mazzei spinta fino ad Atzalà, la compagnia Canovetti che fa il servizio d’avamposti; al centro, sullo spianato anteriore dell’Amba, la compagnia del capitano Persico colla batteria del capitano Angherà; all’estrema destra la banda di Sceich Thala con 350 fucili a difesa del colle di Togorà, e tra questa e il centro, sulle propagini occidentali dell’Amba, le bande dell’Okulè-Kusai del tenente Volpicelli (300 fucili) a difesa di un sentiero a mezza costa che si inerpica al colle predetto; le compagnie Bruzzi e Ricci e la centuria Pagella sono lasciate in riserva ad est sotto l’Amba presso la chiesa, ove è pure stabilito il posto di medicazione.

Il mattino del 7 verso le ore 6 1/2 i nostri piccoli posti cominciano a segnalare dei nuclei di Abissini che si dirigono su [p. 163 modifica]Atzalà puntando sul fronte delle nostre linee. Ne succedono le prime fucilate colla centuria avanzata e poi col resto della compagnia Canovetti, la quale li respinge e giusto gli ordini ricevuti ripiega sulla destra della compagnia Issel. Ma poco appresso dal colle di Bootà si scorge avanzare ed irrompere celeremente contro la nostra ala sinistra una grossa colonna forte di 7000 uomini agli ordini di ras Oliè, che si dirige verso il colle di Felegà.

Questa colonna impegna tosto un vivo combattimento colle bande di ras Sebath, il quale subisce gravi perdite ed è costretto a ripiegare verso destra.

Allora entrano bravamente in lizza anche le due compagnie Issel e Canovetti che al nemico irrompente e minaccioso oppongono una fiera ed efficacissima resistenza, subendo ed infliggendo gravissime perdite; in loro aiuto più tardi vengono mandate le compagnie Ricci e la sezione d’artiglieria del tenente Manfredini, i cui vigorosi attacchi ed i tiri bene aggiustati producono lo scompiglio nel corpo nemico, costringendolo a ripiegare.

Se non che poco appresso, cioè verso le 10 si vide sbucare dal colle di Bootà nella valle un’enorme massa nemica di oltre 15000 fucili agli ordini di ras Maconnen, che si diresse tosto verso il centro della posizione al lato sud dell’Amba; e contemporaneamente giungeva notizia che anche ad ovest dell’Amba la nostra destra era stata attaccata, e che le genti dei ras Alula e Mangascià avevano fugato sceich Thala verso il colle di Togorà ed impegnato già le bande di Volpicelli. [p. 164 modifica]

Allora Toselli, che spera sempre i rinforzi di Arimondi, chiama sulla linea anche la riserva, mandando la centuria Pagella in aiuto a Volpicelli, e richiama presso all’Amba le compagnie già vittoriose dell’ala sinistra apprestandosi ad una disperata difesa.

Succede una lotta tremenda, disuguale e micidiale. All’attacco diretto della grossa colonna di Maconnen segue la ripresa dell’offensiva per parte di ras Oliè, ed i miracoli di valore compiuti dai nostri, non valgono ad arrestare la preponderante massa nemica, la quale sotto il fuoco ben aggiustato degli ascari e della batteria del capitano Angherà subisce delle perdite enormi, ma procede impavida verso l’Amba, serrando sempre più da vicino l’eroico manipolo dei difensori.

Era già passato il mezzogiorno quando Toselli, perduta ormai ogni speranza nell’arrivo di Arimondi e vista ormai impossibile ogni resistenza, dopo quattro ore di accanito combattimento, cominciò a disporre per la ritirata a scaglioni, dirigendo prima salmerie, bagagli, donne e feriti per un sentiero che dal lato nord-ovest dell’Amba conduceva al colle di Togorà. Ma anche da questa parte le sorti della lotta erano state fatali pei nostri, perchè qui le genti dei ras Alula e Mangascià avevano già occupato il colle e costretto le bande di Volpicelli e la centuria Pagella a ripiegare sovra un lungo sperone sul cui fianco, sovrastante ad un precipizio di 400 m. di profondità, serpeggiava il difficile sentiero. In aiuto dei due Tenenti ed in difesa dell’unica [p. 165 modifica]via di salvezza che rimaneva ai vinti fu spostata in quella parte la sezione del tenente Manfredini il quale potè prendere posizione e sparare a mitraglia contro fitte masse nemiche alla distanza di 50 metri. Intanto sul fronte sud-est avvengono gli ultimi disperati sforzi della difesa per arrestare gli invasori, già saliti sullo spianato dell’Amba, e proteggere l’imboccatura della via di ritirata.

Ma ormai tutto era perduto; sull’angusto sentiero si affollano i pochi superstiti inseguiti ed incalzati dal nemico furente che s’affaccia ed irrompe da tutte le parti emettendo delle grida selvaggie. La lotta si cambia in una sanguinosa ed orrenda carneficina, ed i nostri compiono dei prodigi di valore che fan pagar cara la vittoria agli Scioani. Gli eroici artiglieri resistono fino all’ultimo vomitando la strage dai loro pezzi, e ridotti agli estremi, piuttosto che cederli ai nemici, li precipitano nei burroni, travolgendosi con essi; ad uno ad uno quasi tutti gli ufficiali evadono combattendo alla testa dei loro reparti, e tra essi e gli ascari è un gareggiar di coraggio, di generosità, di sprezzo del pericolo. Toselli, disceso ultimo dall’Amba fatale colla luce della gloria aleggiantegli sull’ampia fronte serena, dopo aver fatto degli sforzi sovrumani per assicurare ai pochi superstiti la via di ritirata, li commette agli ordini del suo aiutante maggiore Bodrero, e volgendo la fronte al nemico, cade col sorriso degli eroi sulle labbra.

La sua figura gloriosa s’impose all’ammirazione degli stessi nemici ed inspirò la [p. 166 modifica]musa etiope, che oggi ancora nei canti popolari del Tigrè e dell’Ahmara, esalta il valore del nostro eroe.

Questa gloriosa ed infelice giornata costò la vita a circa 1500 indigeni ed a 20 italiani; degli ufficiali si poterono salvare solamente i Tenenti Bodrero, Pagella e Bazzani i quali raccolsero e condussero in salvo 300 ascari1.

Giunti, sempre inseguiti alle calcagna dal nemico, a Aderà, a circa 12 Km. da Amba Alagi, trovarono il generale Arimondi, il quale, informato del disastro, dispose tosto le proprie truppe in loro aiuto, cercando di trattenere gli Scioani e sostenendo contro di essi un combattimento nel quale egli stesso corse grave pericolo di vita, essendogli stato ucciso il cavallo.

Arimondi, che disponeva di poco più di 2000 uomini, riuscì ad arrestare l’inseguimento ed a permettere che i superstiti di Amba Alagi si portassero in testa alla linea di ritirata; quindi, avvicinandosi la notte e ingrossando il nemico, si ritrasse in buon ordine verso il nord, molestato per un buon tratto dalla cavalleria galla.

In questo combattimento di Aderà si ebbero da parte nostra 1 morto e 15 feriti.

Dopo una marcia penosissima Arimondi giunse all’indomani verso le 8 a Makallè, dove, premendogli di non abbandonare quel forte munito abbondantemente di viveri e di [p. 167 modifica]munizioni, e ritenendo opportuno di conservarlo anche come linea di difesa avanzata della nostra Colonia, lasciava il prode maggiore Giuseppe Galliano con 20 ufficiali, 16 sottufficiali, 150 soldati italiani, e circa 1000 ascari; ritirandosi egli col rimanente della truppa e dopo un’altra penosissima marcia, molestata dalle popolazioni, nelle alture di Adagamus e sud di Adigrat.

Anche questa seconda marcia di ritirata costò la vita ad un’ascaro ed a parecchie donne del seguito e si ebbero pure 3 ascari feriti.







Note

  1. Lasciarono la vita ai piedi dell’Amba fatale i seguenti ufficiali: il maggiore Toselli; i capitani Canovetti, Issel, Angherà, Ricci e Persico; i tenenti Mazzei, Volpicelli, Messina, Libera, Sansoni, Molinari, Bruzzi, Tiretta, Jacopetti, N. Mulazzani, Manfredini, Barale, Cariello, Battistoni. Rimase ferito e prigioniero degli Scioani il tenente Scala d’artiglieria.