La Disfida di Golia (1797)

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Gabriello Chiabrera

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Questo testo fa parte della raccolta Poemetti italiani, vol. I


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LA DISFIDA DI GOLIA

POEMETTO

DI

GABRIELLO CHIABRERA

SAVONESE.


     Inclite muse, che nel ciel cantate
I veri pregi de’ beati spirti,
Voi con la forza de le note eterne
E tranquillate e serenate i cuori
E versate ne l’alme almi diletti:
Da voi, lunge da voi fugge l’affanno,
Da voi la noia, e se ne vanno in bando
Pure al vostro apparir doglie, e sospiri;
Però fervidamente i preghi invio,
Ch’or siate meco, onde cantando io vaglia
Alcuna volta raddolcir la mente,
E dilettare il cor d’alta Reina;
Ella crebbe di Senna in su la riva,
E fece que’ bei Regni un tempo altieri
Con sua dimora, or co’ begli occhi a l’Arno

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Là dove ella soggiorna i pregi accresce,
E l’alma Italia alteramente onora;
Seco è vero valor, seco è virtude
Onde il petto real sempre s’infiamma,
E sempre il suo pensier s’erge a le stelle:
Quinci tacete opre terrene, o Dive
E su nobile cetra a lei cantate,
Come a Donna del ciel cose celesti;
E pria l’assalto, onde David estinse
In val di Terebinto il fier Gigante.
Da l’aurea porta d’Oriente il sole
Era più volte d’Occidente al varco
Corso sferzando i corridor volanti;
E l’alte gemme del volubil carro
Lavò più volte ne’ cerulei campi,
Indi sorgendo più lucente al mondo;
E pur d’orgoglio il Filistèo Gigante
Gonfiava il petto, e con terribil voce
Sfidava i forti d’Israel guerrieri
Ch’alcuno uscisse a singolar battaglia;
Ma dentro i gran steccati ognun rinchiuso
Fermò le piante, e di timor gelato
Si venia men di quelle voci al tuono,
Qual tra le mura de’ notturni alberghi
Sta palpitando mansueto armento,
S’ode per l’ombra de l’insidie amica
Lupi ulular per gran digiuno in selva,

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Tal freddi il petto, impalliditi il volto
Erano udendo i Cavallier Giudei;
E di loro spavento alto cordoglio
Al lor sommo tiranno empieva il seno;
Ei ne la real tenda altera immensa
D’astro contesta e di gran gemme aspersa
Sovra ricco tesor d’eburnea fede
Stava pensoso, e nubiloso il guardo,
E con la manca sosteneva il mento
Sovr’essa alquanto ripiegando il tergo,
Quando il bon germe del canuto Isai
Al suo cospetto alteramente apparve
Vermiglio ambo le gote e biondo il crine,
E tutto ardito in sul fiorir degli anni;
Nè prima scorge il suo Signor che ’l capo
Inchina umile, e le ginocchia ei piega,
Poi riverente il favellar discioglie
Così dicendo: or non perturbi il petto,
O sommo Re, fra le tue Squadre, alcuno;
Io tuo fedele accetterò l’invito,
E pugnerò col Filistèo Gigante,
A cui rispose d’Israele il Rege:
Mal fornito d’etade e di possanza
Non durerai contro sì fier nemico;
A questi detti sfavillò dal guardo
Nobile ardire il buon figliuol d’Isai
Indi soggiunse il tuo fedel sovente

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Pascea ne’ campi le paterne, gregge:
Ed or venia leone, or venia orso
E de le torme depredava il fiore
Ed io metteva a seguitargli l’ali
E percotendo il lor furor, traeva
Da’ denti ingordi il depredato armente;
Volgeansi incontro a me l’orribil fere
Io lor prendendo con le mani il mente.
Le soffocava e le stendeva ancise,
Così tuo servo orsi, e leoni estinsi,
Ed or sarà il Gigante a lor sembiante,
Ch’anciderollo; d’Israele il Dio,
Che vincitor mi fe’ de l’empie belve,
Farà, ch’io vinca il Filistèo non meno;
Così diceva alteramente umile
Del suo Signore a la real presenza,
Ed ei rispose al giovinetto: or movi,
Dio sia con teco; indi recar commise
Armi di gemme, e di grand’or lucenti
E di tempra possenti; elmo fiammante
Di ricchi lampi, luminoso usbergo
Tutto cosperso di diamanti, e spada
Gemmata aurata, insuperabil ferro
Di lavoro ammirabile superbo;
Ma come ricoperto il capo e ’l busto
Fu di metallo il buon David e cinto
Del brando altiero, ei contrastar sentissi

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L’almo vigor de le leggiadre membra;
Qual se mai di Partenope ne’ Regni
Indomito destrier vien, che s’elegga
A tirar carro di real donzella
Il buon maestro ora gli avvolge al collo
Per lui domar morbido cuoio e lana,
Indi le lunghe cinghia, indi gli appende
Nojoso carco di volubil rota,
Ed egli usato a disfidare in corso
L’aure volanti ed innalzar disciolto
Il piè veloce, da’ novelli arnesi
Tutto occupato a se medesmo incresce,
Tali in quell’armi disusate spiacque
A se medesmo il buon David e disse:
Non posso no per questa guisa in campo
Uscire a guerra; indi sgravò la fronte
E tutto il busto de’ pomposi acciari,
Ma prese in quella vece il suo vincastro
E cinque selci di torrente ei scelse
Lucide e monde e le si pose in tasca,
Che, siccome pastore, al fianco aveva;
E prese fionda, e così fatto i passi
Ei mosse contro il Filisteo nemico;
Qual giovine sparvier se rende il giorno
Buon cacciatore a le fasciate ciglia
Volge superbo gli occhi franchi, e scuote
Le sparse piume, e sovra il piè s’innalza,

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E travagliando al suo Signore il pugno
Mostra ch’è nato a nobil volo e sembra
Tutti voler corcar de l’aria i campi;
Tal ripien di vigore era a mirarsi
Per la campagna il buon figliuol d’Isai;
E d’altra parte minaccioso i passi
Contro movea lo sfidator Getheo;
Grand’elmo in testa, grande usbergo indosso.
Gran spada al fianco, e gran metal guerniva
Ambe le gambe, e sul terribil tergo
Grande acciar risonava, e grande feudo,
E con immensa man tronco reggeva
Dismisurato; a rimirarsi orrore
Era in quell’armi l’ammirabil mostro
E l’aureo sol che da l’eteree piagge
Spandendo lampi percotea que’ ferri,
Ne facea sfavillar l’aria d’intorno
Raddoppiando ne’ cuor alto spavento;
Qual nel grembo a l’Egeo nave percossa
Da procelloso fulmine raccoglie
Ne’ fianchi antichi la celeste fiamma
Indi nudrendo per la negra pece
I gravi incendi se ne va l’ardore
Imperioso a le velate antenne
In un momento, e per le gabbie eccelse,
Onde da lunge il pescatore ammira
L’alta sembianza de le vampe Etnée,

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Tal fiammeggiava il Filisteo Gigante
Setto le piastre de’ ferrati arnesi,
E fattosi da Presso ebbe in dispregio
Del buon David la giovanil virtude,
Onde ridendo egli diceva; or forse
Ho sembianza di can, che tu ne vieni
Con tuo vincastro? indi salito in ira
Gridando ei minacciò: fa, che t’appressi
Sì ch’io disperga le tue carni pasto
A le fere dell’aria, e de la terra,
A cui rispose il buon figliuol d’Isai;
Tu ne la spada, e tu ne l’asta hai speme
Tu ne lo scudo; io mia speranza ho posta
Nel Signor degli eserciti, che regge
Onnipotente d’Israel le Squadre,
Cui tu dispregi e Dio porratti in forza
De la mia mano, e troncherotti il capo,
E donerò de’ Filistei le membra
A le fere de l’aria e de la terra
Acciò comprenda l’universo come
L’eterno Dio con Israel soggiorna;
Qui d’atro fiele il fier Gigante accese
Alto disdegno, ed affrettava i passi
A calpestarne il giovinetto, ed egli
Di durissima selce empie la fionda
E sovra il capo la si gira intorno
Ben tre fiate, indi fermato in terra

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Il piè sinistro ei lo sospinge innanzi,
E quando intento la percossa ei scioglie
La destra pianta sollevando, allunga
La man diritta, e v’accompagna il fianco;
Scoppia la corda liberando il sasso
Ferocemente, ed ei ne va fremendo
E fende l’aria, e l’orgoglioso incontra
E nel gran spazio de la fronte il fere;
Ei di se tolto impallidisce e trema,
Al fin trabocca, e la pianura ingombra
Con l’ampio petto: rimbombaro intorno
Per lungo spazio la riviera e ’l monte,
Onde i pastor per le lontane piagge
Meravigliando dier l’orecchie al suono;
Ma non indugia il fiondator, ch’altero
Corre sul vinto, e gli disarma il fianco
De la gran spada, e verso il ciel lucente
Pur con ambo le man l’acciar solleva
Ed indi i nervi, onde si lega al busto
Quel teschio minaccioso egli percote
Doppiando i colpi e gli recide alfine;
Qual s’austro irato, o s’aquilone atterra
Alto cipresso, che le nubi appressa
L’accolto villanel, perchè si tragga
Comodamente a la cittade il parte,
Onde lucida scure in man si reca
Ed alza ambe le braccia, e giù dal petto

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Tragge gli spirti faticati, e fere,
E spezza al fin la riversata pianta,
Tale affannando le robuste braccia
Il buon David del Filisteo disciolse
L’abominata, e spaventevol testa;
Ampio correa de le troncate canne
Il sangue spento, e dilagava il piano
Siccome fiume, e da terror commossi
Volsero il tergo i Filistei fuggendo;
Ma ’l buon David col fiero teschio anciso
Entro Gierusalem facea ritorno.