La capitana del Yucatan/23. I cayos di San Felipe

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23. I cayos di San Felipe

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22. Combattimento notturno 24. Il colpo di testa di Cordoba
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CAPITOLO XXIII.


I cayos di S. Felipe.


Quando l’Yucatan, attraversata la parte meridionale della vasta baia di Cortez, giunse in vista dei cayos di San Felipe, mancava ancora mezz’ora allo spuntare dell’alba.

Quel gruppo d’isolette e di scogli che prende il nome dalla terra maggiore, si trova quasi a eguale distanza dalle coste di Cuba e dalla grande isola dei Pini, la più vasta di tutta la colonia spagnuola.

Il numero di quelle isolette che si potrebbero raggruppare con quelle chiamate degli Indiani, che sono situate più al sud, è considerevole; eccettuate tre o quattro tutte le altre non sono altro che semplici scogli quasi aridi e per la maggior parte privi di abitanti.

La più importante è quella di S. Felipe, che si trova quasi in mezzo al gruppo e che è abitata da alcune centinaia di coltivatori e di pescatori, per lo più negri e meticci, essendo piuttosto rari i bianchi dove non vi è la possibilità di avere vaste coltivazioni di canne da zucchero. [p. 199 modifica]

Fino dal principiare della guerra, gl’insorti della provincia di Pinar del Rio si erano affrettati ad occupare quel gruppo d’isolette, per formare un deposito d’armi e di munizioni e come punto di ritrovo dei filibustieri americani incaricati di procurarle.

La scarsa popolazione, che come si disse era composta di negri e di meticci, aveva subito abbracciata la causa degl’insorti, costringendo i pochissimi spagnuoli che avevano qualche possessione, ad andarsene e cercare rifugio nella non lontana isola dei Pini od a Batabano.

Cordoba, avvertito di tuttociò dal signor Del Monte, il quale cercava con ogni mezzo di rendersi utile per paura che il laccio da un momento all’altro lo strangolasse, aveva dato ordine all’equipaggio di tenersi pronto a qualsiasi evento, temendo d’incontrarsi con qualche filibustiera americana.

Sembrava però che nel piccolo arcipelago non si trovasse alcuna nave nè a vela, nè a vapore, poichè nessun fanale si vedeva brillare nè al nord nè al sud di S. Felipe. Anche gli abitanti dovevano dormire ancora della grossa, non scorgendosi nemmeno un filo di fumo sulle coste.

— Benissimo, — mormorò Cordoba che dal cassero osservava attentamente le spiagge, servendosi d’un potente cannocchiale. — Noi andremo a cacciarci nel nascondiglio che Colon conosce, senza che alcuno possa accorgersene. Ehi, vecchio mio, possiamo andare innanzi. —

L’Yucatan, che aveva rallentata la corsa, ad un comando del mastro, riprese lo slancio, cacciandosi in mezzo a una serie di scogli e d’isolotti altissimi e assolutamente aridi.

Colon lo guidava con una sicurezza straordinaria, come se conoscesse a menadito tutti i passaggi e tutti gli scogli. Ad ogni istante virava di bordo o poggiava a diritta od a manca per evitare dei banchi di sabbia o degli scoglietti a fior d’acqua che mostravano confusamente le loro punte nere ed aguzze, capaci di sventrare qualsiasi nave, anche una corazzata.

Cordoba, a fianco del vecchio lupo di mare, seguiva attentamente quell’audace manovra, non nascondendo la sua ammirazione.

Carrai!... — esclamava. — Si direbbe che tu sei nato fra questi cayos, vecchio lupo.

— Li conosco, signor Cordoba.

— Non basterebbe.

— Allora aggiungerò che tutti questi canali li ho navigati e per parecchi anni.

— Forse che nella tua gioventù hai fatto il barcaiuolo in queste isole?

— Meglio, signor Cordoba, — rispose il mastro, ridendo.

— Allora tu hai fatto il contrabbandiere, briccone.

— Vada pel contrabbandiere. [p. 200 modifica]

— Ah!... Ora comprendo; la caverna marina che tu conosci serviva di deposito e di rifugio.

— È vero, signore.

— Siamo lontani?...

— Fra un quarto d’ora ci saremo. Fate abbassare gli alberi, signor Cordoba. —

Il tenente diede il comando. Tosto una ventina di marinai staccarono i paterazzi e le sartie, ammainarono le bome ed i picchi ed i due alberi rientrarono rapidamente, scomparendo sotto la coperta, nel posto della scassa.

Cominciava allora ad albeggiare. Gli uccelli marini, assai numerosi fra quegli scogli, abbandonavano i loro nidi lanciandosi verso la superficie del mare o volteggiando, con un gridìo assordante, sopra la coperta del Yucatan.

Le tenebre si dileguavano rapidamente, mentre verso l’est una luce rosea, che diventava di minuto in minuto più rossa, s’alzava stendendosi pel cielo.

Cordoba cominciava ad impazientirsi.

— Colon, fra pochi minuti spunta il sole; se qualche abitante ci scorge andrà a dare avviso agl’insorti della presenza d’una nave sospetta.

— Ancora due canali, signore, — rispose il mastro. — D’altronde rassicuratevi; queste spiagge sono deserte.

— Può esservi qualche sentinella.

— Non lo credo. Eh!... Un canale ancora!... Comincio a scorgere la gran caverna. —

L’Yucatan costeggiava allora una muraglia di granito, tagliata a picco sul mare, la quale formava, con un’alta scogliera che le stava di fronte, uno stretto canale dalle acque assai profonde, a quanto sembrava.

Delle ondate che venivano dall’opposta estremità, si cacciavano entro quel passaggio rumoreggiando sordamente ed andavano ad infrangersi, con una certa violenza, contro quelle rocce gigantesche, con dei muggiti profondi che l’eco ripeteva incessantemente.

Mastro Colon aveva comandato di rallentare la marcia. L’Yucatan si avanzava lentamente, con precauzione, come se il lupo di mare che lo guidava temesse di urtare contro qualche improvviso ostacolo.

Ad un tratto la nave virò precipitosamente e si trovò dinanzi ad un’ampia ed oscura apertura, seminascosta da un immenso panneggiamento di erbe che scendeva lungo la roccia, lambendo quasi l’acqua del canale.

L’acuto sperone della piccola nave sfondò una parte di quelle piante e s’inoltrò sotto una volta gigantesca.

— Macchina indietro!... — urlò il mastro.

L’elica turbinò in senso inverso, sollevando uno sprazzo di [p. 201 modifica]spuma e l’Yucatan s’arrestò quasi di colpo, virando un po’ a tribordo.

Cordoba aveva mandato un grido di stupore.

Carramba!... Che splendido rifugio!...

Il tenente aveva ragione di dirlo. La piccola nave si trovava in mezzo ad una spaziosa caverna marina, di forma semicircolare, larga almeno cento metri e lunga quasi altrettanto e così alta che gli alberi della piccola nave non avrebbero toccata la vôlta.

Ai due lati del grand’arco che formava l’entrata, si estendevano due larghi cornicioni, due specie di banchine, le quali s’inoltravano fino a mezza caverna, innalzandosi gradatamente verso la vôlta.

Un numero infinito di uccelli che nidificava fra i crepacci, invase tosto la caverna con un gridìo assordante. I poveri volatili, spaventati dal sonoro russare della macchina e dalla presenza dei marinai, volteggiarono per alcuni istanti intorno alla nave protestando a loro modo contro quell’improvvisa violazione di domicilio, poi vedendo che quel mostruoso intruso non pensava ad andarsene, presero il partito di sloggiare e fuggirono disordinatamente, passando fra il gigantesco panneggiamento di piante cadenti.

— Al diavolo quei fracassoni! — esclamò Cordoba. — Credevano forse di spaventarci colle loro grida scordate? Ehi, mio vecchio Colon, lascia che ti ringrazi di averci offerto questo splendido rifugio. Carramba!... Chi potrà sospettare che qui dentro si nasconde una nave?... Sfido gl’insorti a scacciarci di qui. Nessuno verrà a disturbarci?

— Questa caverna non deve essere conosciuta, signor Cordoba, — rispose il mastro. — Si trova su di una costa deserta.

— Si apre in uno scoglio o nei fianchi di S. Felipe?

— In un grande scoglio, signore.

— Allora sono più tranquillo. Fa mettere in acqua la piccola baleniera con albero e vela.

— Volete lasciarci subito?

— Il mattino è più propizio per la caccia.

— Cosa intendete di dire, signor Cordoba?

— Lo saprai più tardi. Fa salire quel caro signor Del Monte. —

Due minuti dopo il cubano si trovava dinanzi al tenente.

— Volete appiccarmi, signore? — chiese.

— Lampi! — esclamò Cordoba, ridendo. — Dovete avere una grande paura della morte, mio caro signor Del Monte. Rassicuratevi però; non ho ancora fatto preparare il laccio. Diamine! Avremo del tempo poi.

— Allora cosa volete da me?...

— Un piccolo servigio.

— Me ne chiedete troppi, signor Cordoba. Non me ne rimarrà più uno da rendere nell’altro mondo. [p. 202 modifica]

— Ah!... Voi scherzate, signor Del Monte? Buon segno, amico carissimo. Se continuerete finirò col gettare in mare l’ormai famosissimo laccio.

— Potete credere se sarei contentissimo! — rispose il cubano, sorridendo.

— Lo si vedrà più tardi; tutto dipende dai vostri servigi.

— Parlate, signore.

— Voi conoscete adunque il comandante degl’insorti di S. Felipe?

— Ve l’ho già detto.

— Voi mi condurrete da lui. —

Il cubano fece un gesto di stupore e guardò il tenente come per chiedergli se voleva scherzare.

— Vi ho detto che desidero andare da quel messere, — ripetè Cordoba, che si era accorto della sorpresa del prigioniero.

— Volete farvi prendere?

— Non ne ho il desiderio, anzi tutt’altro, poichè ho invece intenzione di prendergli la marchesa ed il capitano Carrill.

— In quale modo?

— Presentandomi come un ufficiale americano.

— E vi crederà il signor Guaymo?

— Diavolo!... Quando il signor Del Monte, amicone del capitano Pardo afferma una cosa, si deve credergli.

— Non vi comprendo, signor Cordoba.

— Eppure mi sono spiegato chiaro. Voi mi presenterete al comandante degl’insorti.

— Io!...

— Non vi piace? Ehi, Colon, fa appendere un laccio in qualche angolo della caverna. Fra pochi minuti vedremo l’amico Del Monte tirare calci al vento. —

Il cubano impallidì.

— Scherzate?

— Siete padrone di crederlo; intanto vi faccio legare le mani dietro al dorso e bendare gli occhi.

— No, signor Cordoba!... Voi mi avete promesso di risparmiarmi la vita.

— Sì, se mi avreste obbedito. Vedo che non volete più saperne di rendere dei servigi ed io vi faccio tirare il collo.

— Fermatevi, signor Cordoba!... — gridò il cubano, vedendo avvicinarsi due marinai con delle funi. — Io vi prometto di condurvi da Guaymo.

— Finalmente!... Ho molto piacere che voi cominciate a diventare più ragionevole. Finiremo coll’intenderci e forse col diventare i due migliori amici di questo mondaccio.

Dunque voi mi presenterete al vostro amico Guaymo?

— Sì, signor Cordoba. [p. 203 modifica]

— Benissimo: vi premetto però che se mi tradirete vi spedirò all’altro mondo con due palle nel petto. —

Il cubano si mise una mano sul cuore come se volesse fare qualche giuramento; Cordoba lo interruppe, dicendogli:

— Lasciate i giuramenti a dormire, mio caro signor Del Monte. Sono assolutamente inutili. Diego! Migual!... —

I due marinai che lo avevano accompagnato alla piccola ensenada di Corrientes per far saltare la cannoniera, si fecero innanzi.

— Voi parlate l’inglese?

— Sì, tenente, — risposero i due vigorosi giovanotti.

— Mi seguirete con Quiroga. —

Poi mostrando loro il cubano:

— Sareste capaci di accoppare quest’uomo con un pugno?

— M’incarico io, — disse Miguel, mostrando le sue mani chiuse che sembravano mazze da fucina.

— Quando te l’ordinerò, manderai quest’uomo all’altro mondo. Colon, siamo pronti?

— La scialuppa è in acqua.

— Aspetta un momento. —

Cordoba scese nel quadro di poppa e pochi minuti dopo tornava in coperta tenendo in capo un berretto da ufficiale americano, coi relativi gradi di tenente di vascello.

— Diamoci un po’ di gravità, — disse sorridendo.

Quindi volgendosi verso Colon, continuò:

— Fa dare un costume da marinaio a Quiroga; il suo vestito potrebbe tradirci. Poi, fa mettere nella scialuppa dei viveri, dei fucili da caccia, delle munizioni e delle rivoltelle.

— Volete andare a caccia, signore?

— Andremo a cacciare le anitre, — rispose Cordoba. — Vedrai però che selvaggina porteremo a bordo più tardi.

— Quando tornerete?

— Chi può dirlo?... Domani, fra tre giorni e forse più mai se non verrà qualcuno a liberarmi. Chi mi assicura che l’amico di Del Monte non faccia prigioniero anche me?

— Ed io che cosa dovrei fare in tal caso?

— Quello che crederai più opportuno. Addio, vecchio mio, vado a fare un massacro di anitre. —

Ciò detto Cordoba scese nella scialuppa dove già lo attendevano i due vigorosi marinai, il cubano e lo spagnolo Quiroga.

— Avanti, miei bravi, — disse.

La baleniera sotto la spinta dei due remi si staccò dalla nave e uscì dalla caverna, spostando l’estremità inferiore del panneggiamento vegetale.

Appena fuori, i due marinai spiegarono sull’alberetto che il mastro aveva fatto issare, una piccola randa ed a prora un flocco, mentre Cordoba si poneva al timone. [p. 204 modifica]

Il sole era ormai spuntato e s’alzava maestoso sull’orizzonte, facendo scintillare le acque del canale e scacciando dai loro nidi gli uccelli marini i quali volavano in grandi bande con un baccano assordante.

Pareva però che Cordoba non si ricordasse più di quanto aveva promesso al mastro, poichè lasciava che si divertissero a loro agio senza disturbarli coi fucili da caccia. La sua attenzione era invece tutta concentrata sulle due sponde del canale che si mantenevano sempre altissime e tagliate perpendicolarmente.

La scialuppa intanto si avanzava con una certa rapidità, inclinata graziosamente a babordo. La randa ed il flocco, entrambi gonfi, la spingevano essendo il vento abbastanza forte anche fra quelle scogliere. Il canale si manteneva sempre piuttosto stretto; le due pareti rocciose però cominciavano qua e là ad abbassarsi, mentre alla loro base si vedevano apparire numerose caverne marine entro le quali si precipitavano le onde rumoreggiando cupamente.

Dopo d’aver descritti parecchi giri, la scialuppa si trovò improvvisamente in una specie di baia interna, larga un cinque o seicento metri, limitata verso il sud da una costa bassa che pareva si prolungasse per un grande tratto verso l’est e l’ovest.

— S. Felipe? — chiese Cordoba al cubano.

— Sì, signore, — rispose questi.

— Allora possiamo cominciare la caccia. —

Abbandonò il timone a uno dei due marinai, prese un fucile da caccia, lo caricò con due cartucce a pallini e vedendo passare sopra la scialuppa una coppia di rincopi, con due fucilate li abbattè facendoli precipitare in acqua.

— Bel colpo, signor Cordoba, — disse il cubano, mentre Quiroga, con un colpo di remo, spingeva a bordo i due volatili.

— Lo credo un po’ anch’io, — rispose il tenente. — Più tardi, se sarà necessario, mi eserciterò meglio contro i tuoi amici. Vedrò se li abbatterò con eguale precisione.

— Cosa volete fare, signor Cordoba?

— Io non lo so ancora, mio caro signor Del Monte. Come vedete, per ora mi accontento di far raccolta di uccelli marini.

Amici, andiamo a sbarcare a S. Felipe. Spero di trovare colà qualche coppia di quelle deliziose colombe che i nostri compatrioti chiamano palomitas. Sono eccellenti, è vero signor Del Monte?

— Le migliori di tutte, — rispose il cubano.

– Bene! Bene!... Le assaggeremo più tardi col signor Guaymo, il vostro carissimo amico.

Il cubano non rispose, ma guardò il tenente con certi occhi che parevano quelli d’un pazzo. Certamente quell’ottimo signor Del Monte non riusciva a capire un cavolo di ciò che voleva fare quell’indiavolato comandante dell’Yucatan. [p. 205 modifica]

La scialuppa spinta dalla brezza mattutina, attraversò rapidamente il bacino e andò ad arenarsi su d’una spiaggia bassa e sabbiosa, cosparsa di magri cespugli.

Cordoba la fece legare ad una punta rocciosa, prese il suo fucile da caccia, si appese alla cintola la rivoltella e balzò a terra, facendo segno ai compagni di seguirlo.

Salita la spiaggia, essi si trovarono sul margine di una piccola piantagione di canne da zucchero, la quale si estendeva su una pianura leggiermente ondulata, limitata da un folto bosco di palmizi, di cedri e di acagiù.

Cordoba si arrestò guardando in tutte le direzioni, sperando di scoprire qualche abitazione o qualche coltivatore, però senza buon esito. Pareva che in quel luogo non si trovasse nessun abitante.

— In caccia! — gridò egli. — Uccidete più che potete, fate fuoco anche contro delle zanzare, non importa. Bisogna far fracasso. —

Veramente i pennuti abitanti non abbondavano in quel luogo, però qualche uccelletto di quando in quando si vedeva alzarsi fra le canne da zucchero.

I cacciatori si dispersero in colonna, tenendo al centro il signor Del Monte per non perderlo di vista un solo istante e cominciarono un fuoco indiavolato, bersagliando atrocemente i poveri volatili.

Avevano già sparati una cinquantina di colpi, non raccogliendo che delle penne, quando si vide accorrere un mulatto, attirato certamente da quell’insolito fracasso.

— Ecco quello che mi occorreva, — disse Cordoba. — Le anitre ed i passeri hanno fatto venire finalmente un bipede, senza penne è vero, ma forse più utile. Signor Del Monte, mi raccomando a voi: siate nostro amico o vi faccio appiccare al primo albero che trovo. —