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La persuasione e la rettorica (1913)/La persuasione

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La persuasione

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L'illusione della persuasione

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1.º — La Persuasione.


Αἰθέριον μὲν γὰρ σφεμένος πόντονδε διώκει
πόντος δ᾽ἐς χθονὸς οὖδας ἀπέπτυσε, γαῖα δ᾽ἐς αὐγάς
ἡελίου ἀκάμαντος, ὁ δ᾽αἰθέρος ἔμβαλε δίναις·
ἄλλος δ᾽ἐξ ἄλλου δέχεται, στυγέουσι δὲ πάντες.


So che voglio e non ho cosa io voglia. Un peso pende ad un gancio, e per pender soffre che non può scendere: non può uscire dal gancio, poiché quant’è peso pende, e quanto pende di pende. Lo vogliamo soddisfare: lo liberiamo dalla sua dipendenza, lo lasciamo andare, che sazii la sua fame del più basso, e scenda indipendente fino a che sia contento di scendere. — Ma in nessun punto raggiunto fermarsi lo accontenta, e vuol pur scendere, chè il prossimo punto supera in bassezza quello che esso ogni volta tenga. E nessuno dei punti futuri sarà tale da accontentarlo, che necessario sarà alla sua vita, fintanto che lo aspetti (ὅφρα ἂν μένῃ αὐτόν) più basso; ma ogni volta fatto presente, ogni punto gli sarà fatto vuoto d’ogni attrattiva non più essendo più basso; così che in ogni punto esso manca dei punti più bassi e vieppiù questi lo attraggono. [p. 2 modifica]Sempre lo tiene un’ugual fame del più basso, e infinita gli resta pur sempre la volontà di scendere. Chè se in un punto gli fosse finita, e in un punto potesse possedere l’infinito scendere dell’infinito futuro, in quel punto esso non sarebbe più quello che è: un peso.

La sua vita è questa mancanza della sua vita. Quando esso non mancasse più di niente, ma fosse finito, perfetto possedesse sè stesso, esso avrebbe finito d’esistere. Il peso è a sè stesso impedimento a posseder la sua vita, e non dipende più da altro che da sè stesso in ciò che non gli è dato di soddisfarsi. Il peso non può mai esser persuaso.



Nè alcuna vita è mai sazia di vivere in alcun presente, chè tanto è vita quanto si continua, e si continua nel futuro quanto manca del vivere. Chè se si possedesse ora qui tutta e di niente mancasse, se niente l’aspettasse nel futuro, non si continuerebbe: cesserebbe d’esser vita.

Tante cose ci attirano nel futuro, ma nel presente invano vogliamo possederle. Io salirò sulla montagna. L’altezza mi chiama. Voglio averla. L’ascendo, la domino. Ma la montagna come la posseggo? Ben son alto sulla pianura e sul mare, e vedo il largo orizzonte che è della montagna; ma tutto ciò non è mio, non è in me quanto vedo, e per più vedere non mai «ho visto»: la vista non la posseggo. Il [p. 3 modifica]mare brilla lontano. In altro modo esso sarà mio. Io scenderò alla costa, io sentirò la sua voce, navigherò sul suo dorso, e sarò contento. Ma ora che sono sul mare, «l’orecchio non è pieno d’udire», e la nave cavalca sempre nuove onde. «Un’ugual sete mi tiene». Se mi tuffo nel mare, se sento l’onde sul mio corpo — ma dove sono io non è il mare; se voglio andare dove è l’acqua e averla, le onde si fendono davanti all’uomo che nuota; se bevo il salso, se esulto come un delfino, se m’annego — ma ancora il mare non io posseggo: sono solo e diverso in mezzo al mare.

Nè se l’uomo cerchi rifugio presso alla persona ch’egli ama, egli potrà saziar la sua fame; non baci, non amplessi, o quante altre dimostrazioni l’amore inventi, li potranno compenetrare l’uno dell’altro: ma saranno sempre due, e ognuno solo e diverso di fronte all’altro.

Gli uomini lamentano questa loro solitudine; ma se essa è loro lamentevole è perchè, essendo con sè stessi, si sentono soli: si sentono con nessuno e mancano di tutto.

Colui che è per sè stesso (μένει) non ha bisogno d’altra cosa che sia per lui (μένοι αὐτόν) nel futuro, ma possiede tutto in sè.

Non avrà loco fu sarà nè era
ma è solo, in presente e ora e oggi
e sola eternità raccolta e ’ntera1.

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Ma l’uomo vuole dalle altre cose nel tempo futuro quello che in sè gli manca: il possesso di sè stesso. Ma quanto vuole, e tanto occupato dal futuro, sfugge a sè stesso in ogni presente.

Così si muove a differenza delle cose diverse da lui, diverso egli stesso da sè stesso, continuando nel tempo. Ciò ch’ei vuole è dato in lui, e volendo la vita s’allontana da sè stesso: egli non sa ciò che vuole. Il suo fine non è il suo fine; egli non sa ciò che fa perchè lo faccia. Il suo agire è un esser passivo: poiché egli non ha sè stesso, finché vive in lui irriducibile oscura la fame della vita. La persuasione non vive in chi non vive solo di sè stesso. Ma figlio e padre, e schiavo e signore di ciò che è attorno a lui, di ciò ch’era prima, di ciò che deve venir dopo — cosa fra le cose.

Perciò è solo ognuno e diverso fra gli altri, chè la sua voce non è la sua voce ed egli non la conosce e non può comunicarla agli altri. «I discorsi si stancano» (Ecclesiaste). Ma ognuno gira intorno al suo pernio, che non è suo, ed il pane che non ha non può dare agli altri.

Chi non ha la persuasione non può comunicarla. (μήτι δύναται τυφλός τυφλὸν ὁδηγεῖν, S. Luca).

Persuaso è chi ha in sè la sua vita: l’anima ignuda nelle isole dei beati (ἡ γυμνὴ ψυχὴ ἐν τοῖς τῶν μακάρων νήσοις, Platone, Gorgia).

Ma gli uomini cercano τὴν ψυχήν e perdono τὴν ψυχήν (S. Matteo).

  1. E Parmenide (61-2):
    οὐ ποτ᾽ἔην οὐδ᾽ἔσται ἐπεὶ νῦν ἔστιν ὁμοῦ πᾶν ἓν ξυνεχές.