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La porta della gioia/Dèdalo, padre d'Icaro

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Dèdalo, padre d’Icaro

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L'erede La fiaccola dell'illusione

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DÈDALO,

PADRE D’ÌCARO

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Abitava una palazzetta tutta grigia, con la veranda, il giardino e la rimessa, che apparteneva da mezzo secolo alla famiglia Vian ed era passata di padre in figlio, come la sua professione di notaio.

Benchè fosse un po’ lontana dal centro, negli ultimi tempi vi aveva trasportato anche lo studio che teneva quasi soltanto più per tradizione, e si recava in città parecchie volte al giorno con la carrozza padronale tutta lucida e silenziosa sulle ruote di gomma, col cocchiere impettito nella sua livrea verde-cupo.

— Perchè invece di questa lumaca antidiluviana non prendi una bella trenta cavalli agile e svelta che ti risparmierebbe un’infinità di tempo? — gli chiedeva suo figlio Aldo nelle rare volte che gli capitava a casa ed egli lo riconduceva con la carrozza alla stazione.

Ma il notaio Costanzo Viani non amava la modernità, rifuggiva da quanto fosse novità, mutamento, velocità, e odiava in tutte le sue forme la manìa sportiva che ha invaso le attuali generazioni. Anche il suo aspetto dimostrava questo attaccamento alle antiche idee, nella sua corretta [p. 86 modifica]eleganza di maturo gentiluomo, con la persona un po’ obesa chiusa in lunghi soprabiti scuri, con la barba grigia fluente sul petto e il cilindro a otto riflessi, da cui sfuggivano le poche ciocche superstiti della sua calvizie.

Parlava lentamente con rari gesti e lunghe pause meditative che rendevano il suo discorso grave e ragionatore come una predica. Destava intorno a sè un senso di rispetto alquanto tediato che lo faceva ricercare dalle persone serie e importanti, ma lo rendeva poco simpatico ai giovani ed ai caratteri impazienti e nervosi.

Era questa forse la ragione per cui suo figlio Aldo, che componeva tutta la sua famiglia da quando gli era morta la moglie, laureatosi appena in legge per obbedire alla volontà paterna, se n’era andato da casa col pretesto di compiere un viaggio di distrazione, e per quasi un anno non era più ritornato.

Prima dalla Spagna, poi più lungamente dalla Francia gli erano giunte sue notizie sempre accompagnate da richieste urgenti di danaro che egli aveva ogni volta soddisfatte con l’imposizione che gli servissero pel ritorno. Ma il ritorno era avvenuto soltanto dopo undici mesi di assenza, e, quando già il notaio incominciava a rallegrarsene e a fare progetti per l’avvenire professionale di Aldo, il quale doveva continuare le tradizioni familiari nell’antico studio notarile [p. 87 modifica]dei Viani, si sentì una sera a fin di tavola, annunziare che fra pochi giorni egli sarebbe ripartito.

— Ma tu scherzi, ragazzo mio, — gli rispose suo padre con pacatezza, centellinando un bicchiere di vecchissimo Porto, mentre Aldo ch’era astemio ingoiava grandi sorsi d’acqua diaccia fissando i riflessi iridati nel cristallo del bicchiere. — Ti ho permesso di conoscere un po’ di mondo, ma ormai bastano le leggerezze e le fantasie. Sei un uomo, possiedi una laurea e nello studio la tua presenza è necessaria. Non hai nemmeno l’impaccio della scelta: sei figlio unico e devi seguire la professione di tuo padre, di tuo nonno e di tuo bisnonno. Ti trovi senza nessuna fatica in una magnifica posizione e non hai che da percorrere una strada già tracciata, facile, agevole, comodissima.

— Ma io preferisco le strade difficili, — dichiarò Aldo continuando a fissare il bicchiere d’acqua iridescente che teneva sollevato dinanzi agli occhi. — A me piacciono le vie che nessuno ha mai percorse, e che quando si parte non dànno la certezza del ritorno.

— Tu che vanti di essere così moderno, parli qualche volta per simboli, — sogghignò il notaio. — Non capisco a quali strade tu alluda, a meno che non si tratti delle strade ferrate che spesso non assicurano ai viaggiatori il ritorno e nemmeno l’incolumità personale. [p. 88 modifica]

— In tal caso chi ci guadagna siete voialtri avvocati, corvi gracidanti, che vi nutrite dei resti altrui, — mormorò Aldo con lo stesso tono sarcastico, posando il bicchiere, poichè la cameriera sparecchiava.

Passarono nella veranda dov’era servito il caffè e ripresero il discorso: il padre disteso nell’ampia poltrona di cuoio, il figlio passeggiando su e giù sul gran tappeto d’Oriente che attutiva il rumore dei passi, o fermo incontro alle cortine di merletto bianco su cui si disegnava intera la sua figura agile di ginnasta e di corridore, dalla piccola testa, dalle spalle muscolose, dalle lunghe gambe piantate a terra ed allargate, come per appoggiarsi su una più solida base.

— Non ti ho detto ancora che a Pau in Francia ho preso alcuni mesi or sono il mio brevetto di pilota aviatore, — annunziò Aldo d’un tratto, con simulata semplicità, chinandosi a posare sul tavolino la tazza vuota.

Suo padre si drizzò a sedere e lo fissò un lungo momento a fronte corrugata, passandosi sulla barba fluente la mano che tremava. E Aldo approfittò di quel silenzio per continuare con un sorriso sottile:

— Adesso comprendi di quali strade intendevo parlare poco fa. Che vuoi! Preferisco svolazzare liberamente per le vie dell’aria anzicchè [p. 89 modifica]rinchiudermi fra i quattro muri d’uno studio davanti a un mucchio di carta bollata. Io sono nato aviatore come un altro nasce musico o poeta e come tu sei nato notaio. Ho imparato a volare con tale facilità da stupire i miei maestri e me stesso. Alla terza prova mi trovavo così a mio agio a seicento metri d’altezza, che non mi risolvevo più a discendere.

— Ma perchè, — potè dire finalmente l’avvocato Viani, tendendo le braccia verso suo figlio, — ma perchè non mi scrivesti mai nulla di questo?

— Per una ragione semplicissima. Perchè tu m’avresti impedito di raggiungere il mio scopo ch’era quello di diventare un aviatore e non un notaio.

— Ed ora, che intendi fare? — domandò suo padre, con voce cavernosa.

— Ora, ho ottenuto un posto di collaudatore in una grande fabbrica di aereoplani francese e partirò posdomani per raggiungere la mia sede.

— Quand’è così ch’io approvi o ch’io disapprovi è assolutamente la stessa cosa.

Aldo si strinse dapprima nelle spalle, poi afferrò una sedia, la piantò con un colpo violento davanti a suo padre e venne a sedere in faccia a lui.

— Ascolta, papà. Quando io rimanessi qui e tu avessi nel tuo studio uno svogliato, un irritato, un buono a nulla che nuocesse alla tua [p. 90 modifica]fama e non ti combinasse che dei guai, potresti forse rallegrarti d’avermi costretto ad obbedirti? È assai meglio per entrambi lasciarmi seguire la mia inclinazione e accettarla di buon grado.

— Questa è certo per te la soluzione più comoda.

— Ma è anche la più intelligente. Sarebbe stupido che diventassimo nemici per l’unica ragione che tu ami i codici ed io i motori.

Con queste parole Aldo che aveva già costretta la sua irrequietezza a una troppo lunga immobilità, balzò in piedi e s’affacciò alla porta della veranda.

— Ed ora siccome splende una bella luna, faccio attaccare la carrozzella a due ruote e vado a passeggio, — annunziò tornando verso suo padre.

Questi sollevò una faccia un po’ meno oscura e gli guizzò nella barba un mezzo sorriso dolciastro.

— Capisco che tu preferiresti due ali, — mormorò — ma non le posseggo, per ora. Abbi pazienza.

— Col tempo, verranno anche quelle — rise Aldo con gaiezza, battendogli una mano sulla spalla.

E sentì che l’ostilità del padre cedeva a poco a poco, e che questi si rassegnava ormai a perdere il figlio notaio e a riacquistarlo aviatore. [p. 91 modifica]

Da allora quell’uomo che aveva gustato a misuratissimi sorsi la gioia d’esistere per farla durare più a lungo, dovette assistere di lontano alla folle prodigalità, alla semi incoscienza con cui suo figlio si esponeva ogni giorno a perdere quel prezioso dono che è la vita.

Dopo alcuni mesi incominciarono a giungergli giornali e riviste che portavano l’effigie del giovane aviatore Aldo Viani e lodavano la sua abilità di pilota arditissimo, sprezzante d’ogni pericolo. Non si svolse importante gara aviatoria alla quale egli non partecipasse, ottenendovi quasi sempre i migliori premi. E furono quelli i giorni in cui il notaio Costanzo Viani, perdette la sua pacata serenità d’uomo all’antica e visse ore d’atroce inquietudine. Tuttavia continuò a condurre in apparenza la sua metodica vita di buon borghese e di pacifico professionista, con le consuete ore di lavoro, le solite passeggiate, le quotidiane soste al caffè, nel gruppo dei vecchi amici.

Uno di questi, il sottoprefetto, che aveva fama d’uomo di spirito e di coltura, lo apostrofò una sera giocondamente chiamandolo Dèdalo, padre d’Ìcaro, e lodandogli con ampie frasi il magnifico coraggio di suo figlio che s’abbandonava in quei giorni con un nuovo apparecchio ai più vertiginosi giri della morte. [p. 92 modifica]

Tutti i presenti risero a quel richiamo mitologico e alato che, rivolto a un individuo come il notaio Viani, panciuto posato severo, diventava finemente umoristico. E fra gli intellettuali della città il nomignolo di Dèdalo gli rimase.

Aldo gli giungeva talvolta d’improvviso a casa, vi sostava due o tre giorni, apriva le lettere degli amici, scorreva i giornali che parlavano di lui, giunti durante la sua assenza e ripartiva. La sua vita errabonda sempre incerta del domani lo costringeva a fare della casa paterna un punto di appoggio e un recapito, un luogo di riposo e un rifugio.

Le tranquille sale dello studio Viani, dalle pareti ricoperte di scaffali pieni di testamenti, di atti notarili e di documenti legali, erano ormai invase da fasci di giornali sportivi e mondani, di riviste italiane e francesi, illustrate con bizzarri disegni e con tinte vivaci che vi ponevano una nota di giocondità irriverente.

Ne giunsero un giorno parecchi in cui il nome e il ritratto dell’aviatore Aldo Viani veniva celebrato accanto al nome e all’effigie di una giovine donna, una notissima ballerina francese, la Samuel, conosciuta per la sua bellezza, per le sue avventure, e per la passione da lei destata anni innanzi in un grande poeta italiano.

Aldo Viani aveva trasportato a volo sul suo apparecchio la bella danzatrice da Venezia a [p. 93 modifica]Parigi e la traversata era avvenuta così brillantemente che tutti i giornali ne parlarono come d’un grande avvenimento artistico e sportivo, d’importanza anche politica perchè stringeva ancora una volta i nodi fra le due nazioni sorelle. Non specificavano però di quali nodi si trattasse, perchè soltanto l’aviatore e la danzatrice avrebbero potuto stabilirlo con qualche esattezza.

Ma la sera in cui si sparsero nei giornali i particolari del volo fu atteso invano nel solito caffè il notaio Costanzo Viani.

— Come mai non si vede il vecchio Dèdalo? — si domandarono gli amici che volevano offirgli uno champagne d’onore. E alcuni d’essi risolsero d’andare a portargli personalmente le loro congratulazioni per la nuova gloria acquistata dal suo figliuolo.

Ma trovarono Dèdalo a letto con la febbre, per le ansie e le paure vissute durante quei giorni, irritato contro il mondo intero e inviperito in ispecie contro le demoniache bizzarrie di quella ballerina che invece di prendere tranquillamente un treno e coricarsi oggi a Venezia in un sleeping per svegliarsi domani a Parigi, preferiva affidarsi a due ali che si potevano staccare, a un motore che si poteva spegnere e a un disgraziato aviatore che poteva avere una distrazione, per colpa delle sue civetterie di parigina, e precipitare con lei da mille metri. [p. 94 modifica]

— Non so perchè mio figlio dopo avermi telegrafato che partiva, aspettò quattro giorni prima di telegrafarmi ch’era arrivato e ho passato così quattro giorni e tre notti d’inferno. Tanto che ho finito per ammalarmi, come vedete — concluse egli rivolto agli amici, allargando le braccia in un gesto di desolazione.

In quel momento la cameriera gli portò un telegramma ch’egli aprì ansiosamente, credendolo di Aldo. Ma era firmato con un nome di donna: Lulù Bellaria, artista di varietà, e chiedeva urgentemente il recapito di Parigi dell’aviatore Aldo Viani pregando d’indirizzarlo a Roma, presso il Trianon.

Il notaio buttò sprezzantemente il foglio e non rispose. Questa seconda sgualdrinella che s’occupava del suo Aldo e voleva entrare od era già entrata chi sa come nella sua vita, gli era odiosa almeno quanto l’altra che svolazzava con lui, nè mai avrebbe ottenuto la minima informazione o il più piccolo aiuto che potessero tornarle utili.

Pochi giorni dopo gli arrivò un espresso nel quale Lulù Bellaria lo accusava d’essere un villano, soggiungendo che avrebbe facilmente trovato il modo di farlo parlare e di sapere da lui dove si nascondeva suo figlio assieme a quella ballerina con cui volava e con cui si faceva fotografare nelle più ridicole pose. [p. 95 modifica]

Il nome dell’aviatore e quello della sua passeggera erano accompagnati da aggettivi qualificativi tolti ad imprestito alla zoologia da cortile e così sfacciatamente insultanti che l’anima dabbene del vecchio avvocato, consapevole della gravità del reato d’oltraggio, ne rabbrividì.

— Questa furia incosciente è capace di precipitarsi qui — egli rifletteva riponendo la lettera nella busta. — Ma darò gli ordini necessari perchè non la ricevano e le assicurino che io sono assente da molti giorni per affari. Ah, no. Basta, perdio! Ch’io mi ammali per le angoscie che quel pazzo mi fa provare, sia pure; ma ch’io debba anche espormi agli insulti delle sue amanti inferocite di gelosia, mi pare un eccesso di dabbenaggine e di stupidità.

Stava per suonare e impartire le disposizioni occorrenti a evitare quell’eccesso, quando la cameriera entrò:

— C’è abbasso questa signorina che vuol parlare con lei.

E porse un biglietto di visita sul quale egli lesse: Lulù Bellaria, artista di Varietà.

— Corri immediatamente a dirle ch’io sono partito da una settimana per Milano e che non sai quando tornerò.

— Le ho già detto che il signor avvocato era in casa.

— Sei una cretina! [p. 96 modifica]

— Perchè? È una bella signorina, tutta vestita di seta.

— Valle a dire che sono a letto con la febbre.

— Le ho già detto che la signorina era fortunata, perchè l’avvocato era nel suo studio e riceveva.

Il notaio allargò le braccia col solito gesto di rassegnazione desolata e trasse un sospiro. Poi lasciò cadere la sua persona pesante in una poltrona, e attese.

Entrò d’impeto una ragazza alta e bruna, molto dipinta, vestita d’azzurro con un cappello verde, che gli sedette di fronte e subito lo investì parlando con uno spiccato accento napoletano.

— Avvocato, io le telegrafai e le scrissi per avere l’indirizzo di suo figlio che è il mio amante da cinque mesi e che mi ha piantata per quella ballerina francese.

Sostò per prendere fiato, e proseguì:

— Adesso, avvocato, lei mi deve dire dove sta suo figlio, perchè io voglio fare un poco i conti con lui.

— Ma questi, scusi, sono affari che non mi riguardano, — s’arrischiò ad obbiettare il notaio lisciandosi quasi timidamente la barba.

— Ah! Non vi riguardano! — esclamò Lulù Bellaria. E continuò balzando e rimbalzando sulla sedia — : Nemmeno a me riguardavano gli affari di vostro figlio, prima che lui stesso venisse a [p. 97 modifica]cercarmi l’inverno scorso all’Eden di Napoli dove cantavo le canzoni di Piedigrotta. Eppure ho mandato al diavolo la scrittura ed ho pagato la penale per seguirlo dove ha voluto e per vedermi poi trattare a questo modo. Ho capito dopo perchè voleva che io cantassi al Trianon di Roma: per andarsene intanto a Venezia a volare con quella...

Si battè la palma sulla bocca, come per frenare un’ingiuria e ripigliò:

— Ma ora sono ben decisa ad andarlo a scovare a Parigi e voi, caro avvocato mio, mi dovete dire in quale albergo si trova.

Si cacciò le mani in tasca appoggiandosi col dorso irrigidito incontro allo schienale, a testa alta, con l’aria di chi è risoluto ad attendere finchè occorra pur d’ottenere ciò che vuole.

— Le assicuro, signorina, che non conosco il recapito di mio figlio, — dichiarò il notaio con mitezza. — Non ricevetti da lui che poche parole con cui mi annunciava d’essere arrivato sano e salvo. Il resto l’ho appreso dai giornali.

— Mi pare che questo signore tratti male tutti quanti, da suo padre alla sua amante, — ridacchiò torcendo la bocca e sussultando tutta Lulù.

— Sono gli inconvenienti della notorietà, signorina, — consentì Viani. — Voler bene a una persona celebre è una disgrazia, perchè le persone celebri appartengono un po’ a tutti e quindi a nessuno. [p. 98 modifica]

— Voi potrete accettare questa disgrazia, avvocato mio bello, ma io no. Io sono nata ai piedi del Vesuvio ed ho nel sangue un po’ di lava. Perciò andrò a cercare anche in capo al mondo quel vigliacco, e lo costringerò a riparare il suo tradimento.

— In che modo? — domandò trepidante Costanzo Viani che subito vide balenare un pugnaletto nella manica della vesuviana.

— Oh! In un modo assai semplice. Pagare. Null’altro che questo. Mi dia dieci biglietti da mille, e svolazzi pure con la ballerina quanto gli pare.

— E andrà a cercarlo a Parigi per questo?

— Certo! Risoluta a scovarlo ovunque si trovi e a fare non solo uno scandalo, ma anche una tragedia se è necessario.

Battè a terra il piede e s’alzò.

— Probabilmente, udrete parlare di me fra poco. Buon giorno. — E s’avviò verso la porta.

— Ascolti, signorina. Scusi. Permetta, — le ripetè alle spalle il notaio seguendola passo passo. La raggiunse e le domandò: — È proprio necessario che parli con mio figlio?

— Se sto parlando da mezz’ora con lei che non sa nulla e non capisce nulla!

— Ha ragione, ma potrei forse rimediare egualmente ai suoi torti.

Le minacce veementi della giovane donna [p. 99 modifica]rinnovavano a lui la paura della settimana innanzi. Costei gli pareva capace di tutto, anche di andare ad assalire Aldo al banchetto di gala che stavano per offrirgli all’Ambasciata d’Italia e del quale facevano cenno i giornali. Quale danno ne sarebbe risultato al buon nome dell’aviatore e quale ira avrebbe egli provato contro suo padre che non aveva saputo dissuaderla dai suoi pazzeschi propositi! Occorreva assolutamente impedirle d’andare a Parigi.

— Rimediare? — ripetè la ragazza. E continuò torva: — Le ho detto che esiste un unico modo: pagare.

— Ebbene, pagherò, — confermò Costanzo allargando le braccia col solito gesto di docile e desolata rassegnazione. — Ma mi deve promettere, anzi giurare, di tornarsene subito a Roma e di non molestare Aldo in alcun modo.

Andò alla scrivania, tracciò poche parole e una firma su un vaglia bancario e lo pose sott’occhio a Lulù. Questa lesse la cifra, allungò le labbra in una smorfia di piacevole stupore e tese la mano verso il foglio.

— Vi prometto di tornarmene a Roma questa sera stessa, carissimo avvocato. A che ora parte il treno?

— Tra un quarto d’ora. Anzi, per assicurarmi che non lo perda, le offro la mia carrozza e l’accompagno alla stazione. [p. 100 modifica]

Accadde così che nel pomeriggio di quel giorno fu visto il notaio Viani, detto Dèdalo, padre d’Icaro, attraversare la città in vettura, tutto solenne sotto la tuba a otto riflessi, avendo alla destra una bizzarra figura di donna, molto dipinta, vestita d’azzurro con un cappello verde.

Quando passarono davanti al caffè ch’era affollato, qualcuno salutò, molti commentarono, quasi tutti sorrisero, e uno dei suoi amici dichiarò che la celebrità del figlio incominciava ad offuscargli la ragione, se si mostrava in pubblico con una sgualdrinella di quel genere.

Finalmente egli la collocò in uno scompartimento di prima classe e quando vide il treno allontanarsi trasse un sospiro, uscì dalla stazione, risalì in carrozza e si fece portare a casa.

Era l’ora di pranzo, ma nel momento di sedere a tavola s’accorse di sentirsi male e si rimise a letto con la febbre.