La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo XXVI

Da Wikisource.
Capitolo XXVI

../Capitolo XXV ../Capitolo XXVII IncludiIntestazione 21 aprile 2020 75% Da definire

Parte seconda - Capitolo XXV Parte seconda - Capitolo XXVII

[p. 118 modifica]

Capitolo XXVI.

Come a Babilonia venne uno nuovo Soldano, e come entrò nell’oste nostra una fiera pistolenza.


Or riveniamo a nostra materia e diciamo come il Soldano, il quale diretanamente era morto, aveva un figliuolo d’età di venticinqu’anni, molto savio, istrutto e già malizioso. E pertanto che ’l Soldano si dottava ch’egli lo volesse diseredare, non l’avea punto voluto tenere appresso di sè, ma gli avea donato un Reame ch’elli aveva in Oriente. Ora tantosto che lo Soldano suo padre fue morto, gli Almiranti di Babilonia l’inviaron cherère, e lo fecero loro Soldano. E quando elli si vide Maestro e Signore, tolse di tratto ai Connestabili, Maliscalchi, e Siniscalchi di suo padre le verghe dell’oro e gli offici ch’essi ne aveano, e li donò a quelli che avea ammenato con lui d’Oriente1. Di che tutti furono ismossi in loro coraggi, e così coloro ch’erano stati del consiglio di suo padre ne ebbero gran dispetto, e dottavano forte ch’elli volesse far d’essi, appresso ciò ch’e’ gli avesse tolto i lor beni, come avea già fatto l’altro Soldano, il quale avea morti coloro che avean presi li Conti di Monforte e di Bar, di cui v’ho dinanzi parlato. E pertanto furono essi tutti d’un comune assentimento di farlo morire, e trovaron modo che coloro i quali eran [p. 119 modifica]detti della Halcqua, e che dovevano guardare il corpo del Soldano, loro promisero ch’e’ lo uccidrebbono.

Appresso queste due battaglie, donde io vi ho davanti parlato, le quali furono forti e grandi a meraviglia, l’una il Martedì di Carnasciale o di Quaresima entrante, e l’altra il primiero Venerdì di Quaresima, cominciò a venire nell’oste nostra una nuova misavventura. Per che, a fine di nove o diece dì, le genti ch’erano state morte in quelle battaglie sulla riva del fiume che correa intra le due osti nostre, e che vi erano state dentro gittate, tutte rigallaro e vennero al disopra; e si diceva che ciò era appressochè il fiele imporriva loro e scoppiava. E discesono li detti corpi morti a valle del detto fiume sino al ponticello gittato a traverso del medesimo per ove noi passavamo da l’una parte a l’altra: e per ciò che l’acqua, la quale era grande, attingeva a quel ponte, li corpi non potevano trapassare, e ce n’avea tanti che la riviera ne era sì coverta da l’una riva sino all’altra, che l’uomo non potea veder punto d’acqua bene il gitto d’una pietruzza a contramonte del ponticello. Perchè allogò il Re cento uomini di travaglio, i quali furo ben otto dì a separare li corpi de’Saracini d’intra quelli de’ Cristiani che si poteano a bastanza discernere. E faceano passare li Saracini a forza oltre il ponte, e questi secondavano a valle sino al mare, e li Cristiani faceano interrare gli uni sugli altri entro grandi fosse. Dio sa qual putidore, e quale pietà insieme era il riconoscere per que’ sfatti [p. 120 modifica]cadaveri li gran personaggi e le tante genti da bene che vi si trovavano a la mescolata! Io vidivi il Ciambellano di Monsignore che fu il Conte d’Artese, il quale cercava il corpo del suo Signore, e molti altri cherendo loro amici tra li morti. Ma unqua dappoi non udii dire che di tutti coloro che erano là riguardando e indurando l’infezione ed il sito di que’ cadaveri, ch’egli ne ritornasse uno solo. E bene sappiate che tutta quella Quaresima noi non mangiammo nullo pesce fuorchè di burbotte, che è uno pesce di tal ghiottornia ch’e’ rendesi sempre ai corpi morti e li mangia. E di ciò anche che nel paese di là non piovea nulla fiata una goccia d’acqua, venne una grande persecuzione e malattia nell’oste; la quale tale era che la carne delle gambe disseccavasi sino all’osso, e la pelle diveniva a un color tanè lionato e nerastro, a simiglianza d’una vecchia uosa che sia stata lungo tempo a immucidir dietro i cofani. Ed inoltre a noi altri che avevamo quella malsanìa, sovveniva una nuova persecuzione nella bocca, da ciò che avevamo mangiato di quel pesce, perchè c’imporriva la carne tra le gengive, ed il fiato ne usciva orribilmente putiglioso. E nella fine guari non ne iscapavano di quella malattia che tutti non ne morissono. Ed il segno di morte, che l’uomo ci conoscea continuamente, era quando egli si prendea a sanguinare del naso, poichè tantosto sì era bene asseverato d’esser morto di breve. E per meglio guerirci, da ben quindici dì di là, li Turchi, li quali bene sapevano di nostre malattie, ci affamaro nella fazione che vi dirò. Perchè [p. 121 modifica]coloro che partivano di nostr’oste per andare su per lo fiume a Damiata, che n’era di lunge allo intorno d’una grossa lega, per avere de’ viveri, que’ bordellieri ed infami Turchi prendevanli, e punto non ne ritornava uno a noi, donde molti se ne isbaìvano e restavano dell’andata. D’altra parte non ne osava venir pur uno da Damiata a noi apportar la vivanda, poichè tanti ch’egli ne venivano, altanti ne dimoravano. E giammai non nè potemmo saper nulla, se non che per una galea del Conte di Fiandra, la quale isfuggì e traforò oltre lor grado ed a forza, e dissecene le novelle, siccome le galee del Soldano erano in quell’acque aguatando coloro che andavano e venivano, ed avean già guadagnato ottanta di nostre galee, e ch’essi uccidevano le genti che v’eran dentro. E per ciò avvenne nell’oste una sì tragrande carizia, che a pena la Pasqua fu venuta, un bove era venduto ottanta lire, un montone trenta, trenta uno porco, il moggio di vino dieci lire, ed un uovo dodici danari, e così all’avvenante di tutte altre cose.

  1. Tali verghe erano insegna di Magistratura eminente, e di Officio Palatino anche presso gl’imperatori d’Oriente.