La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo XXXVI

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Capitolo XXXVI

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Capitolo XXXVI.

Come fummo fatti scendere a valle sino a Damiata, e come questa fue resa ai Saracini.


Ora dovete sapere che quando i Cavalieri della Halcqua ebbero ucciso il loro Soldano, gli Almiranti fecero sonare loro trombe e loro nacchere a gran forza davanti il paviglione del Re. E gli fue detto che gli Almiranti stessi aveano avuto gran voglia in loro consiglio di farlo Soldano di Babilonia. Su di che esso Re mi domandò un giorno s’io pensava punto ch’elli avrebbe accettato il Reame di Babilonia se glielo avessono offerto. Ed io gli risposi, che non sarebbe stato sì folle, visto ch’essi avevano così tradito ed ucciso il loro Signore. Ma non ostante ciò, il Re mi disse ch’elli non l’arebbe mica rifiutato. E sappiate ch’egli non tenne se non a che gli Almiranti dissero tra loro che il Re era il più fiero Cristiano ch’essi avessero giammai conosciuto: e dicevano ciò perchè, quando partiva del suo alloggiamento, segnava esso innanzi a sè il terreno del santo segno della Croce, e poi ne segnava altresì tutto suo corpo. E dicevano li Saracini che se il loro Macometto avesse loro altanto lasciato soffrire di [p. 154 modifica]miscapito, quanto Dio aveva lasciato addurare al Re, che giammai essi nè l’avrebbon adorato, nè avrebbono creduto in lui. Tantosto appresso che entro il Re e gli Almiranti furono fatte, accordate e giurate le convenzioni, fu appuntato tra loro che a l’indimane della festa dell’Ascensione di nostro Signore, Damiata sarebbe renduta agli Almiranti, e che li corpi del Re e di tutti noi altri prigionieri sarebbono diliverati. E furono ancorate le nostre quattro galee davanti il ponte di Damiata, e là fecero tendere al Re un paviglione perchè vi potesse discendere ed albergare.

Quando venne il giorno posto, intorno l’ora di Sol levante, Messer Gioffredo di Sergines andò nella Città di Damiata per farla rendere agli Almiranti: e tantosto sulla muraglia d’essa Città levaronsi al vento le armi del Soldano, e v’entrarono dentro li Cavalieri Saracini, e cominciarono a bere de’ vini che vi trovarono, talmente che molti tra loro s’inebriaro. E intra gli altri ne venne uno nella nostra galea, il quale tirò sua spada tutta sanguinente, e ci disse ch’egli ne aveva ucciso sei di nostre genti: il che era una cosa villana a dirsi da un Cavaliere non che da altri. E sappiate che la Reina, avanti che render Damiata, fu ritirata nelle nostre navi con tutte nostre genti, allo infuori de’ poveri malati ch’e’ Saracini dovean guardare, e renderli al Re, quando desse loro le dugento mila lire, donde è fatto sovra menzione: e così l’avevano promesso e giurato li Saracini: e similmente ci dovevano rendere gl’ingegni, lo arnese e le carni salate di cui [p. 155 modifica]essi punto non mangiano. Ma al contrario la traditrice canaglia uccise tutti li poveri malati, spezzarono gl’ingegni e l’altre cose che dovevano guardar salve, e rendere in tempo e luogo, e di tutto feciono una catasta e vi misero il fuoco, che fu sì grande ch’elli vi bastò tutti i giorni del venerdì, del sabbato, e della domenica seguenti.