Le Aquile della steppa/Parte prima/Capitolo VII

Da Wikisource.
Parte prima — Capitolo VII
La scomparsa di Abei Dullah

../Capitolo VI ../Capitolo VIII IncludiIntestazione 26 aprile 2013 100% Romanzi

Parte prima — Capitolo VII
La scomparsa di Abei Dullah
Parte prima - Capitolo VI Parte prima - Capitolo VIII
[p. 55 modifica]

CAPITOLO VII.


La scomparsa di Abei Dullah.


Il vecchio beg, rimasto solo a guardia dell’immensa tenda, dopo la partenza precipitosa di Hossein e di Tabriz pel nord e di Abei Dullah per l’occidente trovandosi la scorta in quella direzione, aveva fatto subito i suoi preparativi di difesa, non essendo improbabile che qualche manipolo di banditi cercasse di approfittare [p. 56 modifica]dell’assenza dei due giovani e del servo, per tentare un colpo di mano.

La notizia dell’imminente matrimonio di Hossein con Talmà la bella, doveva essersi sparsa a grande distanza nella steppa, essendo il vecchio beg conosciuto da tutte le tribù e, siccome i regali di nozze dei ricchi sono sempre costosissimi, non era difficile supporre che quell’attacco fosse diretto più contro quei regali, che contro i fidanzati, almeno così la pensava il beg.

Giah Agha era però un tale uomo da far tremare anche da solo parecchie Aquile della steppa. Nella sua gioventù era stato un guerriero indomito e gli anni non avevano calmati ancora i suoi istinti battaglieri, né scemata la fama di coraggiosissimo, che si era guadagnata.

Non appena i tre cavalieri scomparvero fra le tenebre, staccò i suoi archibugi che erano appesi ai pali della tenda, una mezza dozzina circa e tutti splendidi e di lunga portata, avendoli acquistati dai persiani che godevano allora fama di abilissimi armaiuoli; si cacciò nella cintura le sue due pistole ed il kangiarro, che aveva l’impugnatura d’oro con turchesi e rubini e andò a sedersi sulla soglia della tenda, mettendosi accanto il narghilè.

— Se i ladroni verranno poi a farmi visita li riceverò come si meritano — disse, riaccendendo la pipa, che nel frattempo si era spenta.

— D’altronde la scorta non tarderà a giungere. Il cavallo di Abei nulla ha da invidiare per velocità e per resistenza a quello di Hossein ed al mio.

Il mio!... Sarà meglio che lo metta al sicuro e che me lo tenga presso.

Heggiaz!... —

Un nitrito rispose subito alla chiamata del vecchio, poi un superbo cavallo sorse dall’ombra, accostandosi all’entrata della tenda e presentando il suo muso al padrone.

Era tutto nero, col pelo lucentissimo e bardato con un lusso che solo un ricco beg può permettersi. Le briglie e la sella avevano pendenti formati di zecchini e catenelle d’oro e la gualdrappa, che scendevagli fino al ventre per ripararlo dall’umidità della notte, era tutta ricamata in argento con numerosi gruppetti di perle di Barehin ai quattro angoli.

Il beg gli gettò sulle nari una boccata di fumo odoroso, che il [p. 57 modifica]cavallo, al pari dei cammelli turchestani, parve gradire, poi gli disse:

— Coricati presso di me, mio bravo Heggiaz. Tu senti meglio di me i nemici, anche quando sono ancora lontani. —

Il cavallo obbedì docilmente, coricandosi fra le alte erbe che crescevano intorno alla tenda.

Il beg si era rimesso a fumare colla sua solita pacatezza, seduto su un pesante cofano che Tabriz aveva colà collocato, onde rinforzare meglio le pertiche reggenti la vasta tenda.

Di quando in quando s’interrompeva, per mettersi meglio in ascolto e per scrutare le tenebre. Non udiva che il sibilar rabbioso delle raffiche e dentro lo squillare inquieto dei falchi.

Passò un’ora, poi un’altra ne trascorse, senza che alcun essere umano si mostrasse sulla steppa. Il beg non fumava più colla calma abituale; aspirava rabbiosamente il fumo della sua pipa, facendo gorgogliare fortemente l’acqua profumata coll’essenza di rosa, racchiusa nel vaso di vetro.

Cominciava ad inquietarsi.

— Abei dovrebbe essere già qui colla scorta, — si ripeteva. — Che gli sia accaduta qualche disgrazia o che abbia incontrato qualche drappello di Aquile rimaste indietro? E di Hossein che cosa ne sarà? Che sia giunto alla casa di Talmà?

Io non tremo, per lui, ha Tabriz con sè che vale da solo dieci uomini e poi Hossein è più audace e più forte di Abei. —

Ad un tratto il cavallo mandò un lungo nitrito e alzò di colpo la testa verso l’occidente.

— Che cos’hai udito, mio bravo Heggiaz? — chiese il beg, che si era pure levato, lasciando cadere il cannello di cuoio rosso del narghilè e armando precipitosamente uno dei suoi sei fucili. — È Abei che torna colla scorta o qualche Aquila che cerca d’accostarsi? —

Tese gli orecchi, curvandosi verso il suolo, mentre l’intelligente animale mandava un secondo nitrito e allungava maggiormente il collo verso l’ovest.

— Deve essere Abei, — disse il beg, il cui udito ancora finissimo aveva raccolto un lontano galoppo.

Dopo alcuni minuti il vecchio vide un cavallo galoppare sfrenatamente verso la tenda, privo del cavaliere. Mandò un grido:

— Qui, Ader! —

[p. 58 modifica]Il destriero fece, senza fermarsi, il giro della tenda, forse per aver tempo di frenare lo slancio, poi andò a urtare Heggiaz con tanta violenza da cadere sulle ginocchia.

— Solo, torna solo senza Abei! — esclamò il beg, precipitandosi verso il cavallo. — Quale disgrazia è successa? È impossibile che sia caduto, lui che è pure un abilissimo cavaliere e Ader poi non avrebbe lasciato il suo padrone. —

Sollevò il cavallo e lo trasse entro la tenda, sotto la lampada. Con un solo sguardo si avvide che quel bellissimo animale, un farsistano come il suo, non aveva alcuna ferita.

Anche la bardatura era intatta, come quando era partito.

Il vecchio fece un gesto disperato.

— E non poter sapere nulla!... Abei scomparso, Hossein e Talmà in pericolo!... Che cosa fare?... Maledette Aquile, che il Profeta vi danni e che l’arsura non cessi di disseccare la vostra steppa della fame! —

Stette un momento immobile guardando, cogli occhi dilatati da una collera intensa, la pianura che il vento e le sabbie spazzavano, poi prese una risoluzione disperata:

— Andiamo a chiamare in aiuto i Sarti. —

Legò il cavallo del nipote ad un palo della tenda, spense la lampada, onde colla sua luce non attirasse l’attenzione degli scorridori della steppa, abbassò il pesante tessuto di feltro che serviva da portiera, quindi, gettandosi sulle spalle un fucile, uscì, gridando:

— Heggiaz! —

Il nobile animale s’accostò al padrone. Pareva che avesse compreso che cosa si domandava da lui.

Il vecchio, a cui l’età non aveva ancora tolta la forza, si aggrappò alla criniera e mettendo un piede nella larga staffa d’acciaio, montò in sella.

— Via, mio bravo Heggiaz, e non fermarti fino al villaggio dei Sarti. —

Il farsistano sentendo allentare le briglie, partì come un fulmine verso il settentrione.

Il villaggio dei Sarti, che era una specie di feudo di Talmà, essendo stato suo padre beg di una di quelle tribù sedentarie, si trovava più prossimo alla casa assediata dalle Aquile della steppa. In meno di un’ora e mezzo, con quel cavallo che poteva [p. 59 modifica]gareggiare con quelli di Hossein e di Tabriz, il vecchio contava di giungervi.

Fortunatamente i banditi, sicuri di non venire disturbati, ansiosi soprattutto di impadronirsi della casa, avevano commesso l’imprudenza di non lasciare delle vedette disperse per la pianura, cosicchè il beg potè attraversare la distanza che lo separava dai Sarti, senza fare alcun cattivo incontro, eccettuato qualche piccolo gruppo di lupi che non si provò nemmeno a dargli la caccia.

Era la mezzanotte quando entrò nel villaggio. Era quello formato da un centinaio e mezzo di casupole molto basse, costruite con argilla grigia, con finestre così strette da sembrare feritoie e con porte basse, chiuse da una enorme pietra che si spostava dal di dentro.

Un’oscurità profonda ed un silenzio perfetto regnavano nelle viuzze fangose e tortuose. I Sarti dormivano della grossa, non immaginandosi nemmeno lontanamente, che in quel momento le Aquile fossero sbucate dalla steppa della fame e che fossero piombate sulla casa della loro principessa e padrona.

Il beg spinse il suo cavallo fino in mezzo ad una piazzetta che formava il centro del villaggio e s’arrestò dinanzi ad una casa un po’ più vasta delle altre, sormontata da un terrazzo.

Si levò un archibugio e lo scaricò in aria, mormorando:

— Se non sono tutti ubbriachi, si sveglieranno. —

La detonazione s’era appena spenta, che si videro degli sprazzi di luce attraverso le feritoie, poi s’udirono delle grida partire da diverse case.

Un uomo era comparso sulla cima del terrazzo, armato d’un fucile e munito d’una torcia.

— All’armi Sarti! — urlò con voce tuonante. — Le Aquile della steppa!

— Taci, cornacchia! — gridò il vecchio. — Invece di strepitare a codesto modo scendi e raccogli tutti i tuoi uomini.

— Chi sei?

— Giah Agha beg. —

L’uomo scomparve e poco dopo la pietra, che serviva di porta a quella casa, veniva spostata e parecchi Sarti uscivano, portando delle lampade, ma tenendo anche prudentemente nell’altra mano i moschetti armati.

— Tu, signore! — esclamò una voce con stupore.

[p. 60 modifica]— Voi dormite, mentre i banditi assalgano la casa della vostra padrona, — disse il beg. — Questo non è il momento di tenere gli occhi chiusi e le armi appese alla parete.

— La casa della principessa attaccata! — gridarono parecchie voci.

— Tacete e non perdete tempo. Radunate più combattenti che potete e seguitemi. Daremo a quelle maledette Aquile una terribile lezione. —

Altri uomini accorrevano da tutte le parti armati di fucili, di pistole, di cangiarri e di jatagan.

Udendo che le Aquile avevano assediato la casa della loro giovane signora, si dispersero come uno stormo di passeri per tornare poco dopo coi loro cavalli di battaglia.

— Quanti siete? — chiese il beg.

— Almeno in duecento, — rispose il più anziano della truppa.

— In sella e seguitemi. Gian Agha vi conduce. —

La fama del vecchio guerriero era troppo nota nella steppa.

I Sarti, che sono d’altronde valenti soldati, vivendo in continua guerra colle orde dei Kirghisi e degli Usbechi, quegli eterni scorridori della grande pianura turanica, in un lampo furono tutti a cavallo ed il plotone lasciò la piazza, mentre le loro donne ed i vecchi che erano pure usciti, gridavano loro dietro:

— Tornate vincitori! —

Ed il mullah del villaggio, salito sul suo piccolo minareto mezzo diroccato, urlava a squarciagola:

Slonchay!... Dismillahir rahmarir rahim! — (All’erta!... Suoni la mia parola in nome di Dio santo ed inesorabile).

Il beg, si era messo alla testa dello squadrone e, siccome il suo cavallo era tutt’altro che stanco, lo conduceva con una velocità vertiginosa, temendo di giungere troppo tardi.

Avevano percorso appena un paio di miglia, quando i cavalieri cominciarono a udire confusamente le scariche di moschetteria.

— Preparate le armi! — gridò il beg, reggendosi sulle larghe staffe e levandosi dalla fascia il kangiarro. — Nessuna compassione per quei ladroni. —

Continuarono la corsa sfrenata per parecchi minuti ancora, mentre le scariche diventavano intense e più forti.

[p. 61 modifica]Kabarda! Kabarda!...1 — gridarono ad un tratto i cavalieri.

Degli uomini fuggivano al galoppo attraverso la steppa, mentre dei lampi balenavano fra le erbe e più in alto, sul terrazzo e sulla veranda della casa di Talmà, che era ormai visibile.

Nuher (scudiero), suona la carica! — gridò il beg.

Un uomo, che lo seguiva da presso, levò da una fonda della sella una specie di flauto e si mise a suonare rabbiosamente, cavando dall’istrumento delle note stridenti, che si propagavano a grande distanza.

I banditi che assediavano la casa, sentendosi rovinare addosso quella turba di cavalieri, si erano dispersi precipitosamente per raggiungere i loro animali nascosti fra le alte erbe.

Solo otto o dieci che erano già a cavallo e che dovevano essere quelli che erano scappati poco prima, si radunarono per tentare di sostenere l’urto, ma appena si videro dinanzi il vecchio beg che caricava alla disperata col cangiarro alzato, volsero anche essi le spalle, senza nemmeno perdere tempo a scaricare qualche colpo di pistola.

— Padre! — gridò Hossein, che lo riconobbe subito, cominciando le tenebre a diradarsi.

— Dov’è Talmà? — chiese il vecchio, mentre scendeva da cavallo.

— È qui presso di me.

— Aprite la porta. —

I Sarti in quel frattempo avevano continuata la loro corsa, smaniosi di vendicarsi di quei terribili predoni, che già più volte avevano devastate le loro terre e predate buona parte delle loro mandrie.

Le lastre di pietra che barricavano le due porte della casa, (porte alte e non già basse, essendo quelle un distintivo delle case abitate da persone d’alta condizione), furono levate ed il beg entrò preceduto dallo scudiero.

Sul pianerottolo della scala che conduceva sulla galleria, Hossein e Tabris l’aspettavano.

— Sia lodato Iddio ed il suo profeta, — disse il vecchio, abbracciando la giovane e poi il nipote. - Temevo di non poter [p. 62 modifica]giungere in tempo. Spero che le Aquile non torneranno più a guastare la vostra felicità.

— Grazie dell’augurio, padre, — rispose la bella Talmà colla sua voce armoniosa.

— Ed Abei? — chiese Hossein. — Insegue i banditi?

— Io non l’ho più veduto, — rispose il beg. — Solo il suo cavallo è tornato alla tenda, senza cavaliere.

— Abei scomparso! — esclamarono ad una voce Hossein e Talmà.

— Io temo, figli miei, che gli sia toccata qualche sventura avanti che abbia potuto raggiungere la scorta.

— E non andremo a cercarlo? — chiese Hossein.

— Sì. Affiderò la missione di trovare Abei a Tabriz. Mi addolorerei troppo che egli non assistesse al matrimonio di questi ragazzi. —

Tabriz, che era conosciutissimo dai Sarti, scelse venti cavalieri, montò Heggiaz che pareva fosse appena uscito dalla scuderia, non ostante la lunga corsa fatta e diede il comando di partire, mentre il beg e Hossein gli gridavano dalla veranda:

— Ritorna presto e con lui. —

Note

  1. Guarda!... Guarda.