Le Selve Ardenti/IX
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Le guerre indiane
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Capitolo IX.
Da quando l’Europeo comparve sul suolo americano, così del sud come del centro e del nord, non fu che una continua e selvaggia lotta fra il nuovo popolo, che veniva dai mari d’Oriente, e gli aborigeni dalla pelle rossa.
Caddero i giganteschi imperi del Messico e del Perù, i soli che forse avrebbero potuto, colle loro meravigliose fortezze di pietra e la loro ottima organizzazione militare, opporre un argine alla prepotenza, alla ferocia, all’avidità dei primi conquistatori, quasi tutti spagnoli, poichè la razza anglo-sassone non si era ancora mossa in quel tempo.
Almagro, Pizarro, Cortez, furono i più grandi distruttori della razza rossa. In meno di mezzo secolo milioni di pelli-rosse scomparvero, uccise sistematicamente a colpi di cannone, schiacciate dagli zoccoli ferrati della scarsa ma pur poderosa cavalleria, dilaniate dai denti dei mastini condotti appositamente dalla Spagna per la caccia all’indiano, la quale per quei feroci conquistadores castigliani valeva quanto la caccia al coniglio.
I primi a scomparire furono gl’isolani delle grandi e delle piccole Antille.
Popoli tranquilli, dediti esclusivamente alla pesca ed all’agricoltura, non opposero la minima resistenza e si lasciarono distruggere quasi senza protestare.
Solo i Caraibi, i mangiatori di carne umana, tennero testa ai castigliani, e preservarono la loro razza abbandonando poco a poco le isole, per ritirarsi finalmente sul continente meridionale, dove tuttora, dopo tanti secoli di lotta, si trovano.
Nel Perù il disastro era stato completo.
Quel meraviglioso e gigantesco impero, dotato d’una civiltà quasi europea, era scomparso sotto i colpi di un mezzo migliaio di archibugieri spagnoli e di due centinaia di cavalieri guidati da Pizarro e da Almagro.
Solamente nell’estremo sud del continente, gli Araucani, indiani valentissimi, gelosi della loro indipendenza, viventi in mezzo alle aspre gole ed alle alte giogaie delle Ande, salvarono le loro tribù, mercè il valore di Capolican e dei suoi discendenti, i quali a più riprese avevano inflitto agli spagnoli delle sanguinose sconfitte, specialmente nel Chilì.
Rimaneva ancora intatta la fortissima razza dell’America del Nord, che popolava le regioni di là dal Messico, quelle del Texas, della Florida e della Luigiana.
Quanti erano quel guerrieri, che le scoperte più recenti hanno ormai accertato derivare dalla razza asiatica, passata lentamente attraverso le isole Aleutine e poi discesa lungo la grande catena delle montagne rocciose? Si credo fossero circa un milione, disseminati sui 9.212.273 chilometri quadrati che rappresentano l’area attuale degli Stati Uniti.
Gli spagnoli, che pure avevano rovesciato i grandi imperi indiani, non avevano avuto il coraggio di affrontare quei nordici guerrieri che, armati di archi e di scuri di guerra, avevano opposto fino da principio una resistenza tale, da togliere la voglia ai conquistadores, ormai degenerati, di avanzarsi alla conquista delle regioni settentrionali.
Ma la fortissima razza anglo-sassone, scacciata dalla patria per litigi religiosi, stava per giungere, e doveva fondare quei meravigliosi Stati dell’Unione, che oggi fanno stupire il mondo e dare nel medesimo tempo il colpo fatale ai forti guerrieri rossi del nord.
E la lotta cominciò subito spaventosa contro la razza bianca, che muoveva alla conquista di quelle sterminate regioni, avanzandosi, lentamente sì, ma tenacemente verso l’Oceano Pacifico.
Erano, come abbiamo detto, circa un milione gl’indiani che occupavano le regioni oggi chiamate Stati Uniti; e nei primi mesi del 1800 erano ridotti a quattrocentocinquantamila, secondo una statistica del generale Cass.
L’indiano col suo arco, la sua freccia ed il suo tomahawk aveva avuto la peggio dinanzi alla polvere ed al piombo degli implacabili uomini bianchi.
Gli Stati americani, scosso finalmente il lungo giogo inglese e resisi indipendenti, credettero opportuno, per mettere fine a quei sanguinosi conflitti e nel medesimo tempo proteggere l’indiano e lasciar libera la marcia degli emigranti, di creare le famose riserve.
Erano vasti territori sorvegliati, nei quali l’indiano avrebbe potuto vivere tranquillo e cacciare, poichè esso non aveva mai avuto nessun desiderio di coltivare quel terreno vergine, che avrebbe potuto nutrirlo insieme con la sua famiglia.
Quelle riserve erano delle vere isole, intorno alle quali andava a frangersi la corrente sempre più impetuosa degli emigranti, che il destino spingeva verso l’Occidente, ansiosi di vedere le onde dell’Oceano Pacifico.
Erano tanti ostacoli pei valorosi pionieri i quali non chiedevano che terra da coltivare e che s’irritavano vedendo quelle immense estensioni di terreno vergine, pronto a dare grano a migliaia di staia, e che l’indiano lasciava incolte, ostinandosi di vivere solo di caccia come i suoi padri.
E cominciarono le prime invasioni delle riserve che il Governo aveva garantite agl’indiani, e che ora si sentiva impotente a difenderle, o meglio cercava di non difendere.
Gl’indiani furibondi si levarono in armi per respingere gli emigranti, ma quantunque valorosissimi, a poco a poco soggiacquero.
Nelle immense pianure del Pacifico e della California vi erano disseminati oltre centoquarantacinquemila indiani. In pochi anni, dopo lotte titaniche, erano stati ridotti a meno della metà.
Gli avventurieri del mondo intero, che si rovesciavano da tutte le parti delle terre americane, attirati anche dalle prime scoperte dei placers favolosi della California e della Nevada, s’avanzavano dicendo:
— Good Indian, dead Indian! (Buono l’indiano, morto l’indiano). —
E dieci anni dopo, di tutti gl’indiani sparsi nelle regioni californiane non ne rimanevano che duemila, sfuggiti miracolosamente alle palle degli emigrati e dei cercatori d’oro, che si erano mostrati i più feroci.
Tutti quelli che si erano rifiutati di essere internati nelle riserve erano stati trucidati giorno per giorno. Era stato perfino stabilito un premio per ogni capigliatura indiana, fosse d’uomo o di donna poco importava.
I torti forse non erano tutti dalla parte degli emigrati, poichè gl’indiani quando dissotterravano il tomahawk e si mettevano sul piede della guerra, non facevano più distinzione fra coloro che li spingevano alla rivolta e i tanti altri coloni che di null’altro si occupavano che di coltivare i loro campi e curare le loro famiglie.
Così colpivano alla cieca, scotennando quanti uomini cadevano nelle loro mani e torturando con raffinata crudeltà perfino le donne e i fanciulli.
Invano il Governo dell’Unione, che si vedeva costretto a mantenere dei numerosi reggimenti di cavalleria sempre in movimento e quasi sempre dietro un nemico invisibile che sfuggiva abilmente attraverso le riserve, aveva cercato d’intervenire ed aveva mandato agenti per mettere pace fra quei terribili combattenti.
Quasi sempre giungeva troppo tardi, ossia quando bianchi e indiani, stanchi di fucilarsi o di scotennarsi, si erano rifugiati su altri territorî.
Gli avvenimenti, purtroppo, paralizzavano i suoi sforzi, e il suo intervento per scongiurare quei conflitti sanguinosi finiva quasi sempre con spedizioni militari contro gl’indios, accumulando così rovine su rovine e rinfocolando gli odî.
Grandi torti avevano bensì anche i bianchi, e soprattutto da parte degli agenti delle riserve, specie di banditi che il Governo americano aveva mandato a sorvegliare le tribù rosse, e che invece derubavano insieme e il tesoro pubblico e i disgraziati visi bronzini per arricchirsi sfacciatamente.
Questi terreni, che il Governo destinava alle riserve, finivano quasi sempre col divenire proprietà di quei luridi avventurieri, come pure il denaro, le coperte per la stagione invernale, ecc.
Per ben due mesi la tribù dei Piegani, guardata a vista nella sua piccola riserva che non offriva bastanti risorse per mantenerla, fu costretta a vivere di cortecce d’albero in pieno inverno, senza potere uscire, sicchè ben duecento indiani dovettero soccombere alle crudeli privazioni.
I viveri a loro destinati e inviati, erano stati rivenduti dall’agente governativo prima che giungessero in prossimità della riserva.
Gli Ute invece, chiusi pure in una riserva, non si lasciarono morire senza protestare. Dissotterrata l’ascia di guerra, affamati, perchè nemmeno a loro i viveri erano giunti, sconfinano, invadono le località vicine, ammazzano senza misericordia gli agenti del Governo, che li avevano derubati, incendiano le fattorie seppellendo sotto le rovine gli abitanti, poi, resi sempre più feroci, affrontano il maggiore Thornburgh, che era accorso in difesa dei coloni con tre compagnie di cavalleggieri, lo uccidono e mandano a catafascio i suoi uomini più che decimati.
Le grosse tribù che il Governo dell’Unione paventava, soprattutto quelle dei Sioux, che potevano mettere in campo ben tredicimila guerrieri che nessun fuoco atterriva, gli Arrapahoes, gli Apaches, i Chayennes, fin allora si erano mantenute tranquille ed avevano assistito, fremendo d’odio, alla distruzione dell’uomo rosso.
Nel 1854, i Sioux, per la prima volta irritati dalle mancate promesse e le solite depredazioni degli agenti americani, lanciano il grande grido di guerra.
Tutta la prateria fiammeggia dinanzi a quei baldi guerrieri che si servivano della scure di guerra meglio che della carabina e del winchester; le fattorie spariscono insieme ai loro disgraziati abitanti e le capigliature si accumulano sugli scudi, capigliature d’uomini, di donne e anche di fanciulli.
La cavalleria americana accorre per frenare quel dilagare spaventoso, ma sorpresa durante una buia notte, cade tutta nell’agguato tesole.
Trionfi effimeri per altro, poichè gli indiani non erano ancora organizzati, e combattevano dispersi su di un territorio vasto quanto la superficie della Francia, dell’Inghilterra e della Germania riunite insieme.
Il generale Hearney, vecchio soldato delle guerre indiane, mandate in fretta dal Governo dell’Unione con un buon nerbo di truppe e soprattutto di mitragliatrici, finisce coll’aver ragione di quell’alzata di scudi.
Ma non era che una tregua.
Nel 1862 ecco i suoi Sioux a dissotterrare novamente la scure di combattimento e tornare a guerreggiare più furiosi che mai, decisi a tutto, anche a cadere fino all’ultimo colle armi in pugno in mezzo alle loro donne ed ai loro fanciulli.
Le angherie degli agenti governativi e le continue usurpazioni da parte dei coloni che salivano, come marea infinita, dall’Occidente, li avevano esasperati.
Per la seconda volta la bassa prateria è tutta in fiamme, drammi spaventevoli si succedono, poichè ormai l’indiano non risparmia più nessuno.
L’uomo bianco è il suo nemico implacabile: egli vincerà, sì, ma l’uomo rosso gli mostrerà come sanno cadere i figli del buon Manitou.
Un migliaio di coloni bianchi vengono trucidati, centinaia di donne e di fanciulli sono tratti in schiavitù, drappelli di cavalleria delle frontiere, scompaiono in mezzo a quel terribile incendio.
Ma Hearney, come la prima volta, finì coll’aver ragione anche di quella seconda insurrezione, la quale non fece altro che lasciare degli odî inestinguibili, poichè gli americani avevano agito peggio dei selvaggi durante la repressione, non risparmiando nè le donne, nè i figli degl’insorti.
Il Governo americano che già prevedeva una non lontana levata di scudi da parte di quei terribili guerrieri, sconfitti sì, ma non domi, offre alle tribù di comprare il loro territorio al prezzo di trenta milioni.
Per una superficie vasta, come abbiamo detto, quanto la Francia, la Germania e l’Inghilterra, offrire così misero prezzo!
I Sioux rifiutarono sdegnosamente, e per far comprendere alla razza bianca che sono sempre pronti a scendere in campo e ad affrontare anche le mitragliatrici, nel 1863, stringono alleanza coi Chayennes, gli Arrapahoes e gli Apaches, e dichiarano novamente la guerra.
Dal nord, dall’ovest e dal sud, accorrono le falangi indiane, più che mai assetate di sangue.
I più valorosi capi della prateria le guidano.
Nube Rossa, il capo dei Corvi, Yalla, la grande sakem sua moglie, Caldaia Nera, Mano Sinistra, Antilope Bianca, Piccolo Mantello, Ginocchio Compresso, il Guercio.
E la guerra anche quella volta avvampò con violenza terribile poichè non si accordava quartiere nè da parte dei bianchi, nè da parte dei rossi.
Nemmeno le donne venivano rispettate, come al solito, e cadevano in buon numero, o sotto le carabine degli yankees, o i tomahawks degli insorti.
Un anno e più durò quella guerra sanguinosissima, senza che il Governo americano avesse potuto mettervi prontamente riparo.
Solamente sui Laramie, un piccolo nucleo di scorridori e di volontari della frontiera, guidati dal colonnello Devandel, padre del capitano che già conosciamo, tennero testa nella gola del Funerale, agli sforzi dei Sioux che tentavano di raggiungere i loro alleati della bassa prateria.
Quella difesa non giovò molto. In una notte tempestosa l’intera colonna fu macellata, ed il colonnello scotennato da Yalla, la grande sakem, la quale aveva contro di lui dei gravi motivi d’odio.
E chi sa quanto quelle stragi si sarebbero prolungate, poichè gli alleati erano ormai padroni della prateria dalle rive dell’Arkansas a quelle del gran Lago Salato, senza una sorpresa tentata dal colonnello americano Chivington, un uomo dal cuore duro e che doveva più tardi per le sue crudeltà farsi degradare.
Egli aveva saputo che tutti i capi indiani si erano radunati a consiglio sulle rive del Sand-Creek (ruscello delle sabbie) un piccolo affluente dell’Arkansas.
Credendosi ormai padroni assoluti della prateria, i sakems avevano, con una imperdonabile negligenza, preso con loro soltanto cinquecento persone, fra le quali duecento donne con molti fanciulli.
Il colonnello che guidava il terzo Reggimento dei volontari del Colorado, la notte del 29 novembre 1864, sorprende i capi, che di nulla dubitavano e che stavano tranquillamente discutendo in una gran tenda.
L’ordine è dato:
— Nessun prigioniero! Ricordatevi delle vostre donne e dei vostri figli assassinati sulla Plata e sull’Arkansas! — così parlò il valoroso colonnello.
Gl’indiani, udendo i primi spari, alzano bandiera bianca per intavolare trattative, ma i volontari, eccitati dal colonnello, si scagliano sull’accampamento e trucidano tutti, senza risparmiare le donne ed i fanciulli, ai quali anzi fanno subire orribili strazî, sventrando e mutilando le prime, schiacciando la testa ai secondi a colpi di pietra.
Appena una cinquantina di guerrieri, guidati dal vecchio Nube Rossa, il capo dei Corvi, riuscirono a fuggire aprendosi, a colpi di scure, il passo fra gl’inferociti volontari.
Tutti gli altri capi erano rimasti sul terreno, dopo una disperata difesa, compresa la grande Yalla, moglie del sakem fuggiasco, la quale aveva lasciata la sua magnifica capigliatura corvina fra le mani di John il famoso indian-agent.
Questi aveva giurato di vendicare la scotennatura subita dal colonnello Devandel, suo amico più che superiore, ed aveva applicato alla terribile sakem ed inesorabilmente la legge del taglione in uso fra gli scorridori della prateria.
Ma la perdita di tanti capi valorosi non fece cessare la guerra, poichè altre tribù indiane, i Kayoways ed i Comanches, si erano alleati ai combattenti rossi, e le stragi continuarono fino al 1867.
La pace fu firmata a Kansas il 22 ottobre, con poca soddisfazione bensì d’ambe le parti.
Non poteva essere che una sosta, poichè quella lunga guerra aveva lasciato dietro di sè troppi odî, troppi rancori.
I bianchi piangevano le loro donne torturate e poi scotennate e i loro figli uccisi a colpi di scure; gl’indiani piangevano la strage di Sand-Creek. La destituzione del colonnello Chivington, il quale si era vantato d’aver distrutti cinquecento guerrieri, mentre non aveva trucidato che trecento donne coi loro figli, non li aveva soddisfatti.
D’altronde gli agenti americani delle riserve, veri pezzi di galera che il Governo dell’Unione reclutava fra i più abietti e più egoisti avventurieri, non avevano cambiato sistema, quantunque gl’indiani ne avessero scotennati a centinaia e lasciati poi i loro cadaveri a pasto delle coyotes.
La guerra continuava a rumoreggiare. La grande nazione dei Sioux, che poteva gettare sulla prateria ventimila cavalli ed altrettanti fucili a ripetizione, non aspettava che un’occasione per riprendersi un’altra sanguinosa rivincita.
Fu Sitting Bull (Toro Seduto) che gliela offrì.
Nato nel 1837, quel famoso guerriero a soli dieci anni si era già acquistata la fama d’un gran cacciatore di bisonti.
A quattordici anni quel piccolo demonio aveva già ucciso e scotennato il primo uomo bianco, che aveva cercato di misurarsi con lui.
Nel 1876 aveva già preso parte a ben ventitrè combattimenti, sotto il nome di Tatanca Jotanca, salvando sempre la pelle.
Nominato in quell’epoca gran sakem dei Sioux, spinse le sue tribù all’insurrezione.
Dieci anni di pace relativa avevano rafforzati gli uomini rossi, ed i giovani guerrieri non domandavano che di misurarsi, come i loro padri, contro l’odiato e secolare avversario dalla pelle bianca. E la guerra per la quarta volta scoppiò furibonda e fu anche lo più terribile, poichè Toro Seduto godeva una grande celebrità.
Il Governo americano gli spedisce contro il generale Crook il quale gl’intima di deporre immediatamente le armi e di sottomettersi. Toro Seduto lancia quindicimila guerrieri armati di ottimi wynchesters e degli inseparabili tomahawks nella prateria, e manda a dire all’americano:
— Se vuoi prendermi, io ti aspetto a piè fermo. —
Il generale Custer, alla testa di ottocento cavalleggieri, tenta di sorprenderlo, ma il terribile guerriero lo attira invece in un agguato e trucida la colonna intera, non risparmiando che un uomo solo, affinchè vada ad informare il generale Crook di quanto era avvenuto.
Poi, di fronte ai guerrieri entusiasmati di quella vittoria, spacca il petto al generale Custer con un gran colpo d’ascia, gli strappa il cuore ancora palpitante e lo divora come un selvaggio della Polinesia.
La guerra continuò anni ed anni, e Toro Seduto continuò e fece sempre prodigi di valore.
Disgraziatamente i rossi guerrieri scemavano di giorno in giorno, senza speranza che altri li surrogassero, mentre gli uomini bianchi ormai potevano rovesciare sulle praterie migliaia e migliaia di combattenti con cannoni e mitragliatrici.
Nel luglio del 1881, Toro Seduto, distaccato dalle sue colonne e stretto da tutte le parti dagli americani, non aveva con sè che quarantacinque guerrieri, sessantasette donne e settantatrè fanciulli. Non pertanto rifiutò fieramente le proposte di pace deciso a morire colle armi in pugno.
Il 13 novembre del 1890, il vapore Belgenland riconduceva in America trentanove Sioux, che avevano figurato su tutte le arene d’Europa con Buffalo Bill.
Appena appresa la notizia dell’insurrezione, quei valorosi, che gli europei hanno ammirati, attraversano l’America e vanno a raggiungere i loro compatriotti, mettevano a disposizione i loro rifles ed i loro dollari.
Era un magro rinforzo. Ormai gli americani avevano lanciati contro i ribelli, reggimenti e reggimenti.
Buffalo Bill, il famoso colonnello Cody, cerca di interporsi; ma a venti miglia di distanza dagli accampamenti Sioux egli viene, per ordine espresso del Presidente degli Stati Uniti, richiamato. Fu un’infamia? Se non fu un’infamia fu un errore, perchè il colonnello godeva grande fama fra le pelli-rosse, ed altre volte aveva messo pace fra uomini bianchi e rossi.
Il 15 dicembre il generale Miles con una squadra di poliziotti consts ossia indiani rinnegati, due squadroni di cavalleria ed un battaglione di fanteria, affronta Toro Seduto ed i suoi quarantacinque guerrieri, le sue donne ed i suoi fanciulli, intimandogli la resa.
Il grande guerriero, che aveva già ucciso più di tremila pelli bianche, rifiuta sdegnosamente, e coi pochi guerrieri che gli rimangono, impegna una lotta disperata finchè cade valorosamente sul campo in mezzo a tutti i suoi uomini e, purtroppo, anche alle sue donne.
La grande insurrezione era spenta.
Il generale Miles, incoraggiato dal facile successo (aveva combattuto con venti uomini contro uno) il 21 dello stesso mese va ad assalire il grosso dei Sioux.
Gl’indiani, ormai scoraggiati, affamati, feriti, si decidono alla resa; ma quando vedono avanzarsi gli consts indiani passati al servizio del Governo americano, un impeto irrefrenabile di rabbia li assale.
Si erano seduti in cerchio ed avevano deposte dinanzi a loro le carabine. Se i bianchi si fossero avanzati a raccoglierle, forse nulla sarebbe successo; invece furono mandati, probabilmente con cattiva intenzione, gl’indiani assoldati dal Governo.
Fu un lampo. I Sioux invece di consegnare i wynchesters e le scuri di guerra a quei traditori, che appartenevano alla loro stessa razza, ritirarono le armi ed impegnarono una lotta sanguinosa, cercando di aprirsi un varco fra le file americane.
Già gli yankees sotto l’impetuosità dell’attacco vacillavano e stavano per lasciare il campo, quando le mitragliatrici aprirono un fuoco infernale.
Le Gattling dovevano purtroppo, aver ragione delle povere pelli-rosse!
Per più di un’ora i forti guerrieri della prateria lottarono disperatamente in un cerchio di fuoco e di ferro, facendosi uccidere tutti, uomini, donne, fanciulli.
Solamente sei erano riusciti a rompere, con una carica disperata, le linee americane. Erano Nube Rossa, il vecchio capo dei Corvi, sua figlia Minehaha, degna figliuola della grande Yalla, e quattro altri sakems.
Quando la triste novella giunse agl’indiani che tenevano ancora il campo raffreddò le loro idee di resistere ad ogni costo. Si tinsero il viso di nero in segno di lutto e raggiunsero le loro tribù ormai decimate da quella guerra, che durava da tanto tempo.
Nella loro ritirata centinaia di haciendas abitate da famiglie bianche andarono a fuoco, e nessuno di quelli che si trovavano dentro rimase vivo.
Era la risposta alle Gattling del generale Miles.
Quando a Washington giunsero le notizie delle vittorie riportate sui Sioux, l’emozione fu profonda, poichè si sapeva già che i volontari ed i regolari non avevano risparmiato nè le donne, nè i fanciulli indiani.
Fu ordinata un’inchiesta, ed il crudele generale, al pari di Chivington, fu rimosso del grado.
Il 16 gennaio del 1891, gli ultimi guerrieri indiani in numero di quattromila, abbassavano le armi.
Molti tornarono nelle loro riserve coi visi tinti a lutto, ormai completamente scoraggiati; ma un mezzo migliaio, guidati da Piede Grosso, da Nube Rossa, e da sua figlia Minehaha, la famosa Scotennatrice, si misero in viaggio verso il settentrione per cercare una nuova patria nel dominio inglese.
Se non che il Governo americano che ci teneva a conservare gli ultimi Sioux, lancia dietro ai fuggiaschi parecchie colonne; ma Piede Grosso con marce fulminee si sottrae alle strette, e continua la sua via verso il nord.
Ora avvenne un caso strano. Mentre attraversano un’immensa boscaglia di pini, un grande incendio scoppia ed avvolge gli emigranti abbrustolendo i loro dorsi.
Cinquant’anni prima ad un’altra frazione di Sioux era toccato la medesima sorte, e essendo stati quelli bene arrostiti, avevano assunto il nome d’Indiani Brûlés.
I Sioux di Piede Grosso ne seguirono l’esempio ed assunsero il nome di Selve Ardenti, nome che doveva poi rimanere a quella frazione di emigranti.
Sfuggendo sempre alle strette delle colonne americane, viaggiando giorno e notte attraverso deserti di neve, i cinquecento fuggiaschi si erano finalmente accampati nei pressi della riviera del Lupo, per dare un po’ di riposo al loro capo ammalato di pneumonia, e là, John e i suoi compagni li avevano raggiunti, sfuggendo anch’essi a mille pericolose insidie.