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Le chiamate dell'appiggionante

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Giuseppe Gioachino Belli

1835 Indice:Sonetti romaneschi IV.djvu sonetti letteratura Le chiamate dell'appiggionante Intestazione 17 novembre 2024 75% Da definire

Vatt'a ttené le mano L'inguilino antico
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835

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LE CHIAMATE DELL’APPIGGIONANTE.

     Sora Sabbella.[1] — Êe. — Ssora Sabbella,
Affacciateve un po’ ssu la loggetta. —
Èccheme:[2] che vvolete, sora Bbetta?[3]
Ciavéte[4] una piluccia[5] mezzanella? —

     Ciò[6] cquella de la marva.[7] — Ah, nno, nno cquella.
Eh, nun ciò antro,[8] fijja bbenedetta. —
Bbe’, imprestateme dunque un fil d’erbetta,[9]
Un pizzico de spezzie e una padella. —

     Mo vve le calo ggiù ccór canestrino. —
Dite, e mme date uno spiechietto d’ajjo,
Un po’ d’ónto[10] e una lagrima de vino? —

     Ma ffamose a ccapì,[11] ssora Bbettina,
A ppoc’a ppoco voi, si[12] nun me sbajjo,
Me sparecchiate tutta la cuscina.

16 settembre 1835.

Note

  1. Isabella.
  2. Eccomi.
  3. Elisabetta.
  4. Ci avete, cioè semplicemente “avete.„
  5. Un pignattino. [Un pentolino.]
  6. Ci ho: ho.
  7. Della malva.
  8. Non ci ho altro: non ho altro.
  9. [Prezzemolo.]
  10. [Unto: “lardo,„ ma non nel senso di “strutto.„]
  11. Ma [facciamoci a capire]: facciamo ad intenderci.
  12. Se.