Le femmine puntigliose/Appendice

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Appendice

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Atto III Nota storica
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APPENDICE

Dall’edizione Bettinelli e Paperini.

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PERSONAGGI.1

ROSAURA, livornese, moglie di Fiorindo, ricco mercante di Livorno.

Contessa BEATRICE, moglie del Conte Onofrio.

Contessa ELEONORA.

Contessa CLARICE.

Conte OTTAVIO.

Conte LELIO.

PANTALONE, mercante veneziano in Firenze.

BRIGHELLA, staffiere di Rosaura.

Un Lacchè della medesima che parlano
Un Servitore di Beatrice
Un Paggio di Eleonora
Un Bravo
Due Dame che non parlano
Tre Cavalieri
Un Ballerino
Tre Bravi
Servitori

La Commedia si fa in Firenze.




ATTO SECONDO.


SCENA XVI2.

Contessa Beatrice e detti.

Beatrice. Conte Lelio, chi vi vuol ritrovare, ha da venire dalla signora donna Rosaura.

Lelio. (Ora sto fresco). (s’alzano) [p. 192 modifica]

Rosaura. Signora Contessa, voi qui?

Beatrice. Se vi do incomodo, vado via.

Rosaura. Se aveste favorito mandarmi l’ambasciata, sareste stata meglio ricevuta.

Beatrice. Già voi non vi sareste incomodata fuori della camera.

Rosaura. In casa mia non si tratta mal con3 nessuno.

Beatrice. E in casa mia si ricevono affronti4 per causa vostra.

Rosaura. Quand’è così, non ci verrò più.

Beatrice. Se non ci verrete, sarà vostro danno.

Rosaura. Signora Contessa, quanto volete scommettere, che non ci vengo più?

Beatrice. (Mi tocca sul vivo). (da sè)

Rosaura. Scommettiamo cento doppie, che non ci vengo più.

Beatrice. (A Lelio) Ecco qui; per causa vostra, tutte le mie fatiche, tutte le mie attenzioni saranno inutili, e la signora Rosaura invece di ringraziarmi, mi darà de’ rimproveri.

Lelio. Per causa mia?

Beatrice. Sì, per causa vostra. Avevo bisogno di voi; mi siete sparito dagli occhi senza che me n’avvegga, e per vostra cagione5 sono stata costretta a venir sin qui.

Lelio. Ma se vengo dalla signora Rosaura, voi sapete il perchè.

Rosaura. Vi adirate, perchè è venuto da me? (a Beatrice)

Beatrice. Non mi lagno che sia venuto da voi, ma che l’abbia fatto senza dirmelo.

Lelio. È questa una cosa6 sì grande?

Beatrice. Colle dame non si tratta così.

Rosaura. È un mancamento del signor Lelio v’obbliga a venire in casa mia senza avvisarmi?

Beatrice. Per dirvela poi, non mi prendo questa gran soggezione.

Rosaura. Certo, quando si va a visitare la balia, non si osservano le cerimonie.

Beatrice. Andiamo, signor Conte. (sostenuta)

Rosaura. Buon viaggio a lei. (con disprezzo, a Beatrice) [p. 193 modifica]

Lelio. Contessa, per amor del cielo, non precipitate l’affare. (Se non andaste in collera, vi ricorderei la scommessa). (piano a Beatrice)

Beatrice. Non sentite come la signora Rosaura prende in mala parte tutte le mie parole? Ella ricompensa con ingratitudine l’amore che ho concepito per lei.

Rosaura. Cara signora Contessa, non sono poi una donna di stucco.

Beatrice. Ma non vedete, che se sono venuta in casa vostra senza l’ambasciata, è stata una confidenza, che mi sono presa per l’amor che vi porto?

Rosaura. Se aveste detto così alla prima, non averei replicato.

Lelio. Via, se non l’ha detto prima, lo dice adesso. Vi basta? Siete contenta? (a Rosaura)

Rosaura. Io sono contentissima.

Lelio. Avete più collera colla signora Rosaura? (a Beatrice)

Beatrice. Con lei non ho collera. Osservate. (dà un bacio a Rosaura) Ma con voi a tempo e luogo mi sfogherò. (a Lelio)

Lelio. Cosa vi ho fatto?

Beatrice. Basta così. Signora donna Rosaura, questa sera vi aspetto. L’invito alle dame è corso. Spero che resterete contenta.

Rosaura. Non diffido della vostra buona condotta.

Lelio. (Anderà tutto bene?) (a Beatrice, piano)

Beatrice.(Io faccio quel che posso. Se non anderà bene, non so che farci). (a Lelio, piano)

Rosaura. A che ora si principierà il festino?

Beatrice. Presto, perchè le notti sono corte. Ma la sera si va avvicinando. A rivederci7. (va per partire)

SCENA XVII8.

Conte Onofrio con spada, cappello e canna9, tutto in mano; e detti.

Onofrio. Eh, Contessa, aspettatemi.

Beatrice. Siete ancora qui?

Onofrio. Abbiamo finito di desinare in questo momento. Voglio [p. 194 modifica] venire in carrozza ancor io. Ho tanto mangiato, che non posso più stare in piedi.

Beatrice. Andiamo, andiamo. (a Lelio) Gran ghiottone! (via)

Lelio. (E venuta ad interromperci sul più bello). (a Rosaura, e via)

Onofrio. Oh che cappone! Oh che zuppa! Oh che ragù! Oh che fricassè! (a Rosaura)

Rosaura. Mi dispiace che questa sera non vi farete onore col pesce.

Onofrio. Non mi farò onore? Vi farò stordire. Da qui a mezz’ora torno ad esser fresco, come la mattina a digiuno.. (via)

Rosaura10. Eppur si danno di questi stomachi, che digeriscono tutto. Io non so come facciano. Così parimenti vi sono di quelli che digeriscono facilmente i rimproveri. La signora Contessa, con tutti i suoi cavallereschi puntigli, ha dovuto ingoiarsi il rimprovero della scommessa, e subito ha cangiato, e si è resa docile. Anch’io so dare a tempo i miei colpi secreti, quando vedo di poterlo fare, ma quando temo di restar al di sotto, sto zitta, e fingo di non vedere e di non sentire. La vera regola è questa: far valere il puntiglio, quando vi sia il caso di sostenerlo. Cedere con prudenza, quando si prevede di dover cedere con dispiacere.

SCENA XXII11.

Contessa Beatrice, Conte Lelio e detto.

Beatrice. Ecco le dame, che principiano a venire.

Onofrio. Io me ne vado, e vi aspetto a cena. (via)

Beatrice. Suonatori, principiate la sinfonia. (si suona)
Contessa Clarice servita da due Cavalieri. Due altre Dame servite da Cavalieri. Rosaura e Fiorindo si pongono a sedere. Contessa Eleonora e Conte Ottavio siedono. Ballerino prende a danzare Rosaura, di che restando offese le altre Dame, in tempo che essa balla, partono l'una dopo l’altra con il loro Cavaliere servente, e restano Rosaura, Beatrice e Fiorindo; Lelio corre dietro alle Dame che partono, per persuaderle a fermarsi.)
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Rosaura. Come? a me un affronto di questa sorte?

Beatrice. L’affronto lo ricevo io, e lo ricevo per causa vostra.

Florindo. Andiamo, andiamo, me ne farò render conto.

Beatrice. Da chi ve ne farete render conto?

Florindo. Da quel scrocco di vostro marito. (via)

Beatrice. Sia maledetto quando vi ho conosciuto.

Rosaura. Da una dama della vostra sorte non potevo sperar di meglio. (via)

Beatrice. Un affronto di questa sorte alla mia casa? Come mai risarcirlo? Non si parlerà d’altro per i caffè. Sarò io la favola di Firenze.


ATTO TERZO.

SCENA VIII12.

Lacchè di Rosaura dal casino. Florindo e detto.

Lacchè. Ho inteso, ho inteso. Tutte le dame sono al casino. Vado subito dalla padrona. (Bravi lo bastonano, e partono) Ahi, aiuto; ahimè, son morto. (cade in terra)

Florindo. O Brighella non è ancora qui capitato, o l’ordine è già corso. Parmi veder un uomo disteso in terra.

Lacchè. Ahi, povero me!

Florindo. Fosse mai uno de’ servidori, che ho fatto bastonare? Me ne dispiacerebbe infinitamente. Galantuomo, chi siete?

Lacchè. Ahi, le mie braccia. (s’alza)

Florindo. Lacchè, sei tu?

Lacchè. Pur troppo son io.

Florindo. Oh povero sventurato! Dimmi, sei forse stato bastonato?

Lacchè. Venivo dal casino, andavo dalla padrona a portarle la risposta, e mi hanno bastonato.

Florindo. (Ora capisco). Il povero diavolo è uscito dal casino, [p. 196 modifica] gli uomini trovati da Brighella l’averanno creduto un servo dei cavalieri, e lo hanno bastonato. Ecco il solito effetto, della vendetta; cade sempre in danno del vendicatore. (via)

Lacchè. Signor padrone, questo è un affronto. Se sapessi chi mi ha fatto dare le bastonate, lo vorrei scannare colle mie mani. (via)

SCENA XII13.

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Ottavio.... Dame, cavalieri, ascoltatemi: osservare minutamente i puntigli, sono cose che qualche volta ci pongono in ridicolo, ma conservare illibato il nostr’ordine, scacciar da noi chi lo deturpa con indegne azioni, questo è il vero puntiglio della nobiltà. La contessa Beatrice, il conte Lelio non sono degni della nostra conversazione.

Lelio. Voi mentite, e mi renderete conto colla spada alla mano dell’ingiurie, colle quali vi fate lecito d’insultarmi.

Ottavio. Uscite da questo luogo, e preparatevi di battervi con quanti siamo, mentre ciascheduno di noi vi reputa per indegno e mal cavaliere.

Lelio. Ad uno, ad uno vi farò conoscere, se io come la vostra arditezza....... (Il rimorso mi confonde. Il nuovo sole non mi vederà più in Firenze). (via)

Beatrice. A una Dama mia pari si fanno di quest’insulti?

Eleonora. Tacete, che le dame non trattano come voi.

Clarice. Siete indegna di questo nome, e per vostra cagione si faranno in Livorno delle risate sopra tutte noi.

Beatrice. Informerò della vostra insolenza tutto il mio parentado.

Clarice. Anch’io per mia sventura sono vostra parente, e mi vergogno di esserlo.

Beatrice. Domani ne parleremo.

Ottavio. Domani vostro marito sarà chiamato da chi s’aspetta.

Beatrice. (Domani anderò in campagna, e non mi vedranno mai più). (via) [p. 197 modifica]

Ottavio14. Signore mie, per rimediare in parte al discapito della nostra riputazione, direi che fosse ben fatto unire fra di noi le cento doppie, e farle avere alla signora Rosaura, prima della sua partenza. Io ne esibisco trenta, che tengo in questa borsa.

Eleonora. Per parte mia, eccone sei.

Clarice. Ed io ve ne posso dar otto.

Ottavio. E voi dame, e voi cavalieri, concorrete a quest’opera degna di noi. (va a’ tavolini, e tutti danno denari)

Eleonora. Temo che Rosaura sarà partita.

Clarice. Così presto non crederei.

Ottavio. Ecco raccolte le cento doppie. Vado a presentarle per parte della nobiltà alla signora Rosaura. (via)

Eleonora15. Il conte Ottavio è veramente cavaliere.

Clarice. Ma il conte Lelio non ha restituito l’orologio.

Eleonora. Rosaura di quello non ha parlato.

SCENA XIII16.

Conte Onofrio e detti.

Onofrio. Dov’è mia moglie?

Eleonora. Dama indegna!

Clarice. Cavaliere senza riputazione!

Eleonora. Scrocco.

Clarice. Parassito.

Eleonora. Scorno della nobiltà.

Clarice. Obbrobrio della nazione.

Onofrio. Parlate con me?

SCENA XIV17.

Conte Ottavio, e detti.

Ottavio. Non siamo più in tempo. La signora Rosaura è partita. Però, se approvate il mio consiglio, con queste cento [p. 198 modifica] doppie compreremo un anello, e a lei lo manderemo fino a Livorno.

Eleonora. Fate quello credete meglio, purchè si salvi il nostro decoro.

Clarice. Tutto si faccia, per la riputazione del nostro nome.

Ottavio. Questo è il vero puntiglio. Conservar la fama del nostro rango, con azioni degne, eroiche, cavalleresche.

Onofrio. Dov’è la Livornese18?

Ottavio. È partita, è ritornata a Livorno19.

Onofrio. Mi dispiace non averlo saputo, ma l’anderò a ritrovare. Oh che palamida! Oh che pesce!20 Oh che vino! (via)

Eleonora. La contessa Beatrice non la pratico più.

Clarice. Nemmen io mi degno più di farmi vedere con lei.

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Note

  1. Dall’ed. Bettinelli.
  2. Così nell’ed. Bettinelli. Nell’ed. Paperini è sc. XIII. Manca nelle edd. Pasquali, Zatta e altre posteriori: v. pag. 162.
  3. Pap.: non si fa cattivo trattamento a.
  4. Pap.: degli affronti.
  5. Pap.: e per ritrovarvi.
  6. Pap.: colpa.
  7. Pap., invece del saluto: «Vado innanzi e vi aspetto. a Rosaura».
  8. Così nell’ed. Bett. Nell’ed. Pap. è sc. XIV. Manca nelle edd. Pasquali, Zatta e altre.
  9. Pap.: con la spada, il bastone e il cappello
  10. Nell’ed. Pap. qui comincia la sc. XV.
  11. Così nell’ed. Bettinelli. - Vedi scene XX-XXII delle edd. Pap., Gavelli ecc.; e scene XVII-XIX delle edd. Pasquali, Zatta ecc. e di questa presente.
  12. Così nell’ed. Bettinelli. Vedi scene VII e VIII di questa edizione, pp. 179-180.
  13. Così nell’ed. Bettinelli. Nelle altre edd. è sc. XIII: v. pag. 187.
  14. Comincia nelle altre edd. la sc. XIV.
  15. Comincia nelle edd. Paperini, Gavelli e qualche altra la sc. XV.
  16. Così nell’ed. Bettinelli. Manca nelle edd. Pasquali, Zatta ecc.
  17. Così nell’ed. Bettinelli. E sc. XVI, o ultima, nell’ed. Paperini. Manca questa parte nelle edd. Pasq., Zatta ecc.
  18. Pap.: la signora donna Rosaura?
  19. Pap.: Castell’a Mare.
  20. Pap.: Oh che starne! Oh che coturnici!