Le odi di Orazio/Libro terzo/XVI

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Libro terzo
XVI

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Quinto Orazio Flacco - Odi (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1883)
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XVI.


La torre bronzea, gli usci di rovere,
    L’acre custodia dei cani vigili
    Difeso avrebbero la chiusa Danae
        4Ben da’ notturni adulteri,

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Se Giove e Venere non irridevano
    L’acrisia pavida guardia alla vergine
    Celata: facile la via schiudevasi
        8Al dio converso in auro.

L’oro ama invadere custodi e frangere
    Torri con furia maggior che il fulmine:
    Dell’argivo augure le case caddero
        12Sommerse nell’esizio

Per lucro; fendere potè il macedone
    Guerriero i claustri nemici e gli emuli
    Duci conquidere co’ doni; l’ispido
        16Nocchiero i doni allacciano.

Angoscia ed avida fame d’accrescerle
    Seguon dovizie cresciute. Il vertice
    Cospicuo estollere ben mi fu in odio,
        20Mecena, onor degli Equiti.

Cui più rinunzia gli Dei più donano:
    Nudo fra gli uomini di nulla cupidi
    M’accampo, e all’aule dei ricchi trànsfuga
        24Godo le spalle volgere:

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Di ciò che spregio signor più splendido,
    Che se dicessero, quanto àra l’Apulo
    Strenuo negli ampj granaj ricoveri
        28Io tra ricchezze povero.

Rio d’acqua limpida, di pochi jugeri
    Selva e non dubbia fede di mietere
    Mi dan letizia negata ad inclito
        32Re della fertil Africa.

Benchè non Calabro miele a me rechino
    L’api, nè invecchimi bacco in lestrígone
    Anfore, e bioccoli pingui ne’ gallici
        36Pascoli a me non crescano,

Pure l’incomoda povertà scostasi;
    Nè, s’altro io vogliami, tu neghi darmelo.
    I desiderj frenando, i piccoli
        40Censi sciorrò più facile,

Che se l’aliattico regno e i migdonj
    Campi insiem domini. Chi molto è cupido
    È molto povero; ricco, se appagasi
        44Del po’ che Dio concessegli.