Le piacevoli notti/Notte V/Favola V

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Favola V

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Notte V - Favola IV
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FAVOLA V.


Madonna Modesta, moglie di messer Tristano Zanchetto, acquista nella sua gioventù con diversi amanti gran copia di scarpe; dopo, alla vecchiezza pervenuta, quelle con famigli, bastasi ed altre vilissime persone dispensa.


Le malnate ricchezze e i beni per torte vie male acquistati, il più delle volte in picciol spazio di tempo periscono, perciò che per voler divino ritornano per quello istesso sentiero, che sono venuti. Il che intravenne ad una Pistoiese; la quale, se così onesta e savia, come dissoluta e sciocca, fusse stata, forse non si [p. 313 modifica]ragionarebbe di lei, come ora si ragiona. E quantunque la favola, ch’ora raccontarvi intendo, a noi non molto convenga, perciò che di lei ne riuscisse disonore e vergogna, che oscura e denigra la fama e la gloria di quelle che onestamente viveno, pur ve la dirò; perciò che a tempo e luogo sarà — dico a cui tocca — non picciolo ammaestramento di seguire le buone e fuggire le ree, lasciandole ne’ loro tristi e malvagi portamenti.

In Pistoia adunque, onestissime donne, antica città de la Toscana, fu ne’ tempi nostri una giovane chiamata madonna Modesta, il cui nome, per gli suoi biasimevoli costumi e disonesti portamenti, non conveneva alla sua persona. Costei era molto vaga e leggiadra, ma di picciola condizione: e aveva marito addimandato messer Tristano Zanchetto — nome veramente corrispondente a lui, — il quale era uomo conversevole e da bene, ma tutto dato al mercatantare: e le cose sue assai convenevolmente gli riuscivano. Madonna Modesta, che per natura era tutto amore, nè in altro continovamente vigilava, veggendo il marito mercatante, e esser molto sollecito alle sue mercatanzie, volse ancora ella principiar un’altra nuova mercatanzia, della quale messer Tristano non fusse consapevole. E postasi ogni giorno per suo diporto, ora sopra l’un balcone, ora sopra l’altro, guattava tutti quelli che indi passavano per strada; e quanti giovanetti ella passar vedeva, tutti con cenni e atti invitava ad amarla. E sì fatta fu la diligenza sua in levare la mercatanzia e a quella vigilantissimamente attendere, che non vi era alcuno nella città, o ricco o povero, o nobile o plebeo, che non volesse delle sue merci prendere e gustare. Venuta adunque madonna Modesta in grandissima riputazione e grandezza, dispose al tutto di volere per picciolo precio a chiunque a lei venisse compiacere; e [p. 314 modifica]per sua mercè altro premio da loro non voleva, eccetto un paio di scarpe, le quali fussino convenevoli alla qualità e condizione di coloro che si davano seco amoroso piacere. Imperciò che se l’amante, che si sollazzava seco, era nobile, ella voleva le scarpe di veluto; si plebeo, di panno fino; si mecanico, di cuoio puro. Laonde la buona femina aveva un concorso tale e tanto, che la sua bottega mai vuota non rimanea. E perciò che ella era giovane, bella e appariscente, e picciola era la dimanda, che ella per guidardone richiedeva, tutti i Pistoiesi volontieri la visitavano, e seco parimente si solazzavano prendendo gli ultimi desiderati frutti d’amore. Aveva madonna Modesta per premio delle sue tante dolci fatiche e sudori omai empiuto un amplissimo magazzino di scarpe; ed eravi tanto grande il numero delle scarpe, e di ogni qualità, che chi fusse stato a Vinegia, e cercato avesse ogni bottega, non arrebbe trovata la terza parte a comparazione di quelle che vi erano nel magazzino suo. Avenne che a messer Tristano suo marito faceva bisogno del magazzino per metter dentro certe sue robbe mercatantesche, che per avventura allora gli erano sopragiunte da diverse parti; e chiamata madonna Modesta, sua diletta moglie, le chiese le chiavi del magazzino. Ed ella astutamente, senza far iscusazione alcuna, gliele appresentò. Il marito aperse il magazzino; e credendosi trovarlo vuoto, lo trovò pieno di scarpe — sì come abbiamo già detto — di diverse qualità. Di che egli rimase tutto sopra di sè, nè imaginare si poteva dove procedesse una copia di tante scarpe; e chiamata la moglie a sè, interrogolla dove procedevano quelle tante scarpe, che nel magazzino si trovavano. La savia madonna Modesta gli rispose: Che vi pare, messer Tristano, marito mio? Pensavate forse voi di esser [p. 315 modifica]solo mercatante in questa città? Certo ve ingannate di grosso; imperciò che ancor le donne se intendono dell’arte del mercatantare. E se voi siete mercatante grosso, e fate assai facende e grandi, io mi contento di queste picciole; e ho poste le mie mercatantie nel magazzino e rinchiuse, acciò che fussero sicure. Voi adunque con ogni studio e diligenza attenderete alle vostre merci; e io con ogni debita sollecitudine e dilettazione valorosamente attenderò alle mie. A messer Tristano, che più oltre non sapeva nè considerava, molto il sollevato ingegno e l’alto sapere della sua savia e aveduta donna piacque; e confortolla a seguire animosamente la incominciata impresa. Continovando adunque madonna Modesta secretamente l’amorosa danza, e rendendole bene l’essercizio della sua dolce mercatanzia, divenne tanto ricca di scarpe, che non pur Pistoia, ma ogni grandissima città arrebbe a bastanza fornita. Mentre che madonna Modesta fu giovane, vaga e bella, mai la mercatanzia le venne meno; ma perciò che il vorace tempo sopra tutte le cose signoreggia, e a quelle dà il principio, il mezzo e il fine, madonna Modesta, che prima era fresca, ritondetta e bella, cangiò la vista, ma non la voglia e 'l pelo, e mutò le usate penne, e fece la fronte rugosa, il viso contrafatto, gli occhi lacrimosi: e le mammelle non altrimenti erano vuote, che sia una sgonfiata vesica; e quando ella rideva, faceva sì fatte crespe, che ogni uno, che fiso la guattava, se ne rideva, e ne prendeva grandissimo solazzo. Venuta adunque madonna Modesta contra ’l suo volere vecchia canuta, nè avendo più veruno che l’amasse e corteggiasse come prima, e vedendo la mercatanzia delle sue scarpe cessare molto, molto tra se stessa si rammaricava e doleva. E perciò che ella, dall’incominciamento della sua giovanezza fin’all’ora presente, s’aveva data alla [p. 316 modifica]spuzzolente lussuria, del corpo e della borsa nemica, e erasi in quella tanto assuefatta e nodrita, quanto mai donna nel mondo si trovasse, non era via nè modo, che ella da tal vizio astenere si potesse. E quantunque di dì in dì mancasse l’umido radicale, per lo quale tutte le piante s’appigliano, crescono e augumentano, non però cessava il desiderio di adempire il suo malvagio e disordinato appetito. Vedendosi adunque madonna Modesta del giovenil favore totalmente priva, nè più esser accarecciata nè losingata da leggiadri e vaghi giovanetti come prima, fece nuovo proponimento. E messasi al balcone, cominciò vagheggiare quanti famigli, bastasi, villani, scoppacamini e poltroni, ch’indi passavano; e quanti ne poteva avere, tanti ne traeva in casa alla sua divozione, e di loro prendeva il suo consueto piacere. E sì come ella per l’adietro voleva dagli amanti suoi un paio di scarpe, secondo la qualità e condizione loro, per premio della sua insaziabile lussuria, così pel contrario ella ne donava un paio per guidardone di sua fatica a colui ch’era maggior gaglioffo, e che molto meglio le scuoteva il pilizzone. Era venuta madonna Modesta a tal condizione, che tutta la vil canaglia di Pistoia concorreva a lei, chi per prendersene piacere, chi per beffarla e traggersene di lei, e chi per conseguire il vituperevole premio che ella gli donava. Nè passorono molti giorni, che ’l magazzino, che era pieno di scarpe, quasi vuoto rimase. Avenne che un giorno messer Tristano volse secretamente vedere come passava la mercatanzia della moglie sua; e prese le chiavi del magazzino — lei nulla sapendo — l’aprì: ed entratovi dentro, trovò che quasi tutte le scarpe erano smarrite. La onde messer Tristano tutto ammirativo stette alquanto sopra di sè: pensando come la moglie avesse dispensate tante paia di scarpe, quante erano nel [p. 317 modifica]magazzino. E credendo per certo che la moglie per lo tratto di quelle fusse tutta oro, fra se stesso ne prendeva consolazione: imaginandosi a qualche suo bisogno potersene d’alcuna parte prevalere. E chiamatala a sè, dissele: Modesta, moglie mia prudente e savia, oggi apersi il tuo magazzino, e veder volsi come procedeva la tua leal mercatanzia; e pensando che da quell’ora, che prima la vidi, sin a questa fussero multiplicate le scarpe, trovai che erano diminuite: di che io ne presi ammirazione non picciola. Dopo pensai che tu le avessi vendute, e del tratto di quelle avesti il danaio nelle mani; e mi confortai. Il che — se così fusse — non riputerei poco capitale. A cui madonna Modesta, non senza alcun grave sospiro, che dalla intima parte del cuore procedeva, rispose: Messer Tristano, marito mio, non vi maravigliate punto di ciò: perciò che quelle scarpe, che in tanta abondanza nel magazzino già vedeste, se ne sono andate per quella istessa via, che erano venute e tenete per certo che le cose mal acquistate; in breve spazio di tempo s’annullano. Sì che di ciò non vi maravigliate punto. Messer Tristano, che la cosa non intendeva, rimase sopra di sè; e temendo molto che alla sua mercatanzia un simile caso non avvenisse, non volse in ragionare più oltre procedere; ma quanto ch’egli seppe e puote solecitò che la sua mercatanzia non venisse al meno, come quella della moglie. Veggendosi madonna Modesta omai da ogni sorte d’uomini abbandonata, e delle scarpe con tanta dolcezza guadagnate al tutto priva, per lo dolore e passione che ella ne sentì, gravemente s’infermò: e in breve spazio di tempo, etica divenuta, miseramente se ne morì. Ed in tal maniera madonna Modesta poco aveduta vergognosamente la sua mercatanzia con la vita finì, lasciando dopo sè per altrui essempio vituperosa memoria. [p. 318 modifica]

Essendo la breve favola della Signora finita, tutti ugualmente cominciorono fortemente a ridere, biasmando madonna Modesta, la quale in ogni altra cosa, eccetto che nelle opere della corta e fastidiosa lussuria, modestamente viveva. Appresso questo non si potevano astenere dalle risa quando consideravano i calzari da lei non meno con dolcezza acquistati, che con dolcezza perduti. Ma perciò che Cateruzza era stata cagione di muovere il Trivigiano a fare che la Signora raccontasse la favola, prima con alquante dolci parolette la morse, dopo per punizione di tal suo commesso fallo espressamente le comandò che ella recitasse uno enimma, che non disaguagliasse dalla favola da lei raccontata. Cateruzza, inteso il comandamento della Signora, levossi da sedere; e voltatasi verso lei, così disse: Signora mia, i mordimenti che voi fatti m’avete, non mi sono discari: anzi gli abbraccio con tutto ’l cuore. Ma ben l’avermi dato il carico di raccontare cosa che non si parti dalla somiglianza della favola raccontata da voi, mi è grave assai; perciò che all’improviso non si potrà dir cosa, che grata vi sia. Ma poscia che così v’aggrada per tal maniera castigare il fallo mio — se pur fallo dir si può — io come ubidientissima figliuola, anzi deditissima ancella, così dirò.

Vassi à seder la donna con gran fretta;
     Ed io levole e panni a mano, à mano,
E perchè certo son ch’ella m’aspetta,
     Indi m’acconcio con la cosa in mano.
La gamba i’ levo, ed ella: Troppo stretta,
     Ahimè, mi va tal cosa; fa più piano,
E perch’ella ne senta più diletto,
     Sovente la ritraggio e la rimetto.

Non meno ridiculoso fu l’enimma da Cateruzza raccontato, che fusse l’ingeniosa favola dalla Signora [p. 319 modifica]recitata. E perciò che da molti fu disonestamente interpretato, volse ella con bel modo la sua onestà scoprire. — La vera adunque, generose donne, isposizione del nostro enimma, altro non dimostra, che la stretta scarpa. Imperciò che la donna si va a sedere, e il calzolaio, con la scarpa in mano, le leva la gamba: e la donna gli dice: Fa piano, che la scarpa è troppo stretta, e mi fa male; ed egli più fiate la ritragge e la rimette fino attanto che la donna se ne rimanga paga e contenta. Essendo l’enimma di Cateruzza finito e sommamente da tutta la compagnia commendato, la Signora comandò — conoscendo l’ora esser tarda — che sotto pena della disgrazia sua niuno si partisse; e fattosi chiamare il discreto siniscalco, li divisò che nella camera grande mettesse le tavole; che in questo mezzo che si apparecchiassino le mense e si cocinasse la cena, farebbono alquanti balletti. Finiti adunque i balli e cantate due canzonette, la Signora si levò in piedi; e presi per mano il signor Ambasciatore e messer Pietro Bembo, e tutti gli altri seguendo lor ordine, li menò nella preparata camera: dove, data l’acqua alle mani, ciascuno secondo il grado e ordine suo, si pose a sedere a mensa; e con buoni e delicati cibi e preciosi e recenti vini, furono tutti onoratissimamente serviti. Fornita con lieta festa e con amorosi ragionamenti la pomposa e lauta cena, tutti divenuti più allegri che non erano prima, si levorono dalle mense, e al carolare da capo si dierono. E perciò che ormai la rosseggiante aurora cominciava apparere, la Signora fece accendere i torchi, e sino alla scala accompagnò il signore Ambasciatore, pregandolo che secondo l’usato modo venisse al ridotto: e altresì fece con gli altri.


Il fine della V. notte.