Le rime di M. Francesco Petrarca/Canzone VIII
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CANZONE VIII.
La gravosa mia vita,
Che, s’altri non l’aita,
Ella fia tosto di suo corso a riva:
5Però che dopo l’empia dipartita
Che dal dolce mio bene
Feci, sol’una spene
È stato infin’ a qui cagion ch’io viva,
Dicendo, Perchè priva
10Sia de l’amata vista,
Mantienti, anima trista:
Che sai, s’a miglior tempo ancho ritorni,
Es a più lieti giorni?
O se ’l perduto ben mai si racquista?
15Questa speranza mi sostenne un tempo:
Or vien mancando, e troppo in lei m’attempo.
Il tempo passa, et l’ore son sì pronte
A fornir il viaggio,
Ch’assai spazio non aggio
20Pur a pensar, com’io corro a la morte.
A pena spunta in Oriente un raggio
Di Sol; ch’a l’altro monte
Dell’avverso orizzonte
Giunto il vedrai per vie lunghe, e distorte.
25Le vite son sì corte,
Sì gravi i corpi, e frali
Degli uomini mortali;
Che quando io mi ritrovo dal bel viso
Cotanto esser diviso,
30Col desio non possendo mover l’ali;
Poco m’avanza del conforto usato:
Nè so quant’io mi viva in questo stato.
Ogni loco m’attrista ov’io non veggio
Quei begli occhi soavi
35Che portaron le chiavi
De’ miei dolci pensier mentre a Dio piacque:
E perchè ’l duro esilio più m’aggravi;
S’io dormo, o vado, o seggio;
Altro giammai non cheggio;
40E ciò ch’i’ vidi dopo lor, mi spiacque.
Quante montagne, ed acque,
Quanto mar, quanti fiumi
M’ascondon que’ duo lumi
Che quasi un bel sereno a mezzo ’l die
45Fer le tenebre mie,
Acciò che ’l rimembrar più mi consumi;
E quant’era mia vita allor gioiosa,
M’insegni la presente aspra, e noiosa.
Lasso, se ragionando si rinfresca
50Quel’ardente desio
Che nacque il giorno ch’io
Lassai di me la miglior parte addietro;
E s’Amor se ne va per lungo obblio;
Chi mi condusse all'esca
55Onde ’l mio dolor cresca?
E perchè pria tacendo non m’impetro?
Certo cristallo, o vetro
Non mostrò mai di fore
Nascosto altro colore;
60Che l’alma sconsolata assai non mostri?
Più chiari i pensier nostri,
E la fera dolcezza ch’è nel core;
Per li occhi, che di sempre pianger vaghi
Cercan dì, e notte pur chi glien’appaghi.
65Novo piacer; che negli umani ingegni
Spesse volte si trova;
D’amar, qual cosa nova
Più folta schiera di sospiri accoglia!
Et io son' un di quei che ’l pianger giova:
70E par ben, ch’io m’ingegni
Che di lagrime pregni
Sien gli occhi miei, siccome ’l cor di doglia:
E perchè a ciò m’invoglia
Ragionar de’ begli occhi;
75(Nè cosa è che mi tocchi,
O sentir mi si faccia così addentro)
Corro spesso, e rientro
Colà donde più largo il duol trabocchi,
E sien col cor punite ambe le luci,
80Ch’alla strada d’Amor mi furon duci.
Le treccie d’or, che devrien fare il Sole
D’invidia molta ir pieno;
E ’l bel guardo sereno;
Ove i raggi d’Amor sì caldi sono,
85Che mi fanno anzi tempo venir meno;
E l’accorte parole
Rade nel mondo, o sole,
Che mi fer già di sè cortese dono,
Mi son tolte: e perdono
90Più lieve ogni altra offesa,
Che l’essermi contesa
Quella benigna angelica salute
Che ’l mio cor'a virtute
Destar solea con una voglia accesa:
95Tal, ch’io non penso udir cosa già mai
Che mi conforte ad altro ch’a trar guai.
E per pianger ancor con più diletto;
Le man bianche sottili,
E le braccia gentili,
100E gli atti suoi soavemente alteri,
E i dolci sdegni alteramente umili,
E ’l bel giovenil petto
Torre d’alto intelletto,
Mi celan questi luoghi alpestri, e feri:
105E non so s’io mi speri
Vederla anzi ch’io mora:
Però ch’ad ora ad ora
S’erge la speme, e poi non sa star ferma;
Ma ricadendo afferma
110Di mai non veder lei che ’l ciel'onora;
Ove alberga Onestate, et Cortesia,
E dov’io prego, che ’l mio albergo sia.
Canzon, s’al dolce loco
La Donna nostra vedi;
115Credo ben, che tu credi
Ch’ella ti porgerà la bella mano;
Ond’io son sì lontano.
Non la toccar: ma reverente a' piedi
Le dì, ch’io sarò là tosto ch’io possa,
120O spirto ignudo, od uom di carne, e d’ossa.