Le rime di M. Francesco Petrarca/Canzone XIX

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Canzone XVIII Canzone XX

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CANZONE XIX.


G
Entil mia donna, i’ veggio

     Nel mover de’ vostr’occhi un dolce lume,
     Che mi mostra la via ch’al ciel conduce;
     E per lungo costume,
     5Dentro là dove sol con Amor seggio,
     Quasi visibilmente il cor traluce.
     Quest’è la vista ch’a ben far m’induce,
     E che mi scorge al glorioso fine:
     Questa sola dal vulgo m’allontana:
     10Nè giammai lingua umana
     Contar poria quel che le due divine
     Luci sentir mi fanno:
     E quando ’l verno sparge le pruine,
     Et quando poi ringiovenisce l’anno,
     15Qual’era al tempo del mio primo affanno
Io penso: se lassuso,
     Onde ’l Motor eterno delle stelle
     Degnò mostrar del suo lavoro in terra,
     Son l’altr’opre sì belle;
     20Aprasi la prigion’ ov’io son chiuso,
     Et che ’l camino a tal vita mi serra.
     Poi mi rivolgo alla mia usata guerra,
     Ringraziando Natura, e ’l dì ch’io nacqui;
     Che reservato m’hanno a tanto bene,
     25E lei ch’a tanta spene
     Alzò il mio cor; chè ’nsin allor’io giacqui
     A me noioso, e grave:
     Da quel dì innanzi a me medesmo piacqui,
     Empiendo d’un pensier alto, e soave
     30Quel core ond’hanno i begli occhi la chiave.

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Nè mai stato gioioso
     Amor, o la volubile Fortuna
     Dieder' à chi più fur nel mondo amici;
     Ch'i' nol cangiassi ad una
     35Rivolta d'occhi: ond'ogni mio riposo
     Vien, com'ogni arbor vien da sue radici.
     Vaghe faville, angeliche, beatrici
     Della mia vita, ove 'l piacer s'accende
     Che dolcemente mi consuma, e strugge;
     40Come sparisce, e fugge
     Ogni altro lume dove'l vostro splende,
     Così dello mio core,
     Quando tanta dolcezza in lui discende,
     Ogni altra cosa, ogni penser va fore;
     45E sol'ivi con voi rimansi Amore.
Quanta dolcezza unquanco
     Fu in cor d'aventurosi amanti; accolta
     Tutta in un loco, a quel ch'i' sento, è nulla;
     Quando voi alcuna volta
     50Soavemente tra 'l bel nero, e 'l bianco
     Volgete il lume in cui Amor si trastulla:
     E credo, dalle fasce, e dalla culla
     Al mio imperfetto, alla fortuna avversa
     Questo rimedio provvedesse il cielo.
     55Torto mi face il velo,
     E la man, che sì spesso s'attraversa
     Fra 'l mio sommo diletto
     E gli occhi; onde dì, e notte si rinversa
     Il gran desio, per isfogar il petto,
     60Che forma tien dal variato aspetto.
Perch'io veggio (e mi spiace)
     Che natural mia dote a me non vale,
     Nè mi fa degno d'un sì caro sguardo;
     Sforzomi d'esser tale,
     65Qual'all'alta speranza si conface,
     Ed al foco gentil ond'io tutto ardo.

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     S'al ben veloce, ed al contrario tardo,
     Dispregiator di quanto 'l mondo brama,
     Per sollicito studio posso farme:
     70Porrebbe forse aitarme
     Nel benigno giudicio una tal fama.
     Certo il fin de' miei pianti;
     Che non altronde il cor doglioso chiama;
     Vien da' begli occhi alfin dolce tremanti,
     75Ultima speme de' cortesi amanti.
Canzon, l'una sorella è poco inanzi;
     E l'altra sento in quel medesmo albergo
     Apparechiarsi: ond'io più carta vergo.