Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Francesco Granacci

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Francesco Granacci

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[p. 276 modifica]VITA DI FRANCESCO GRANACCI PITTORE FIORENTINO

Grandissima è la ventura di quegli artefici che si accostano, o nel nascere o nelle compagnie che si fanno in fanciullezza, a quegl’uomini che il cielo ha eletto per segnalati e superiori agl’altri nelle nostre arti: atteso che fuor di modo s’acquista e bella e buona maniera nel vedere i modi del fare e l’opere degl’uomini eccellenti; senzaché anco la concorrenza e l’emulazione ha, come in altro luogo si è detto, gran forza negl’animi nostri. Francesco Granacci, adunque, del quale si è di sopra favellato, fu uno di quegli che dal Magnifico Lorenzo de’ Medici fu messo a imparare nel suo giardino; onde avvenne che, conoscendo costui ancor fanciullo il valore e la virtù di Michelagnolo, e quanto crescendo fusse per produrre grandissimi frutti, non sapeva mai levarsegli d’attorno; anzi, con sommessione et osservanza incredibile, s’ingegnò sempre di andar secondando quel cervello. Di maniera che Michelagnolo fu forzato amarlo sopra tutti gl’altri amici et a confidar tanto in lui, che a niuno più volentieri che al Granaccio conferì mai le cose, né comunicò tutto quello che allora sapeva nell’arte. E così essendo ambidue stati insieme di compagnia in bottega di Domenico Grillandai, avvenne, perché il Granacci era tenuto dei giovani del Grillandai il migliore e quegli che avesse più grazia nel colorire a tempera e maggior disegno, che egli aiutò a Davitte e Benedetto Grillandai, fratelli di Domenico, a finire la tavola dell’altare maggiore di Santa Maria Novella, la quale per la morte di esso Domenico era rimasa imperfetta. Nel quale lavoro il Granaccio acquistò assai. E dopo fece della medesima maniera che è detta tavola, molti quadri che sono per le case de’ cittadini, et altri che furono mandati di fuori. E perché era molto gentile e valeva assai in certe galanterie che per le feste di carnovale si facevano nella città, fu sempre in molte cose simili dal Magnifico Lorenzo de’ Medici adoperato; ma particolarmente nella mascherata, che rappresentò il trionfo di Paulo Emilio della vittoria, che egli ebbe, di certe nazzioni straniere; nella quale mascherata, piena di bellissime invenzioni, si adoperò talmente il Granacci, ancor che fusse giovinetto, che ne fu sommamente lodato. Né tacerò qui che il detto Lorenzo de’ Medici fu primo inventore, come altra volta è stato detto, di quelle mascherate che rappresentano alcuna cosa e sono detti a Firenze canti, non si trovando che prima ne fussero state fatte in altri tempi. Fu similmente adoperato il Granacci l’anno 1513 negl’apparati che si fecero, magnifici e sontuosissimi, per la venuta di papa Leone Decimo de’ Medici, da Iacopo Nardi, uomo dottissimo e di bellissimo ingegno; il quale, avendogli ordinato il magistrato degl’Otto di pratica che facesse una bellissima mascherata, fece rapresentare il trionfo di Camillo. La quale mascherata, per quanto apparteneva al pittore, fu dal Granacci tanto bene ordinata a bellezza et adorna, che meglio non può alcuno immaginarsi. E le parole della canzona che fece Iacopo cominciavano:

Contempla in quanta [p. 277 modifica]gloria sei salita, felice alma Fiorenza, poi che dal ciel discesa

e quello che segue. Fece il Granacci pel medesimo apparato, e prima e poi, molte prospettive da comedia, e stando col Grillandaio lavorò stendardi da galea, bandiere et insegne d’alcuni cavalieri a sproni d’oro nell’entrare publicamente in Firenze, e tutto a spese de’ capitani di Parte Guelfa, come allora si costumava e si è fatto anco, non ha molto, a’ tempi nostri. Similmente, quando si facevano le potenze e l’armegerie, fece molte belle invenzioni d’abbigliamenti et acconcimi. La quale maniera di feste che è propria de’ fiorentini et è piacevole molto vedendosi uomini quasi ritti del tutto a cavallo, in sulle staffe cortissime, rompere la lancia con quella facilità che fanno i guerrieri ben serrati nell’arcione, si fecero tutti per la detta venuta di Leone a Firenze. Fece anco, oltre all’altre cose, il Granacci un bellissimo arco trionfale dirimpetto alla porta di Badia, pieno di storie di chiaro scuro con bellissime fantasie. Il quale arco fu molto lodato, e particolarmente per l’invenzione dell’architettura e per aver finto, per l’entrata della via del palagio, il ritratto della medesima porta di Badia con le scalee et ogni altra cosa, che tirata in prospettiva non era dissimile la dipinta e posticcia dalla vera e propria. E per ornamento del medesimo arco fece di terra alcune figure di rilievo di sua mano bellissime, et in cima all’arco in una grande inscrizione, queste parole: "Leoni X pontifici maximo fidei cultori". Ma per venire oggimai ad alcune opere del Granacci che sono in essere, dico che, avendo egli studiato il cartone di Michelagnolo, mentre che esso Buonarroto per la sala grande di palazzo il faceva, acquistò tanto e di tanto giovamento gli fue, che, essendo Michelagnolo chiamato a Roma da papa Giulio Secondo perché dipignesse la volta della capella di palazzo, fu il Granacci de’ primi, ricerchi da Michelagnolo, che gl’aiutassero colorire a fresco quell’opera, secondo i cartoni che esso Michelagnolo avea fatto. Bene è vero che, non piacendogli poi la maniera né il modo di fare di nessuno, trovò via senza licenziarli, chiudendo la porta a tutti e non si lasciando vedere, che tutti se ne tornarono a Fiorenza; dove dipinse il Granacci a Pierfrancesco Borgherini, nella sua casa di borgo Santo Apostolo in Fiorenza, in una camera dove Iacopo da Puntormo, Andrea del Sarto e Francesco Ubertini avevano fatto molte storie della vita di Ioseffo, sopra un lettuccio, una storia a olio de’ fatti del medesimo in figure piccole, fatte con pulitissima diligenza e con vago e bel colorito; et una prospettiva, dove fece Giuseppo che serve Faraone, che non può essere più bella in tutte le parti. Fece ancora al medesimo, pure a olio, una Trinità in un tondo, cioè un Dio Padre che sostiene un Crucifisso. E nella chiesa di San Pier Maggiore è in una tavola di sua mano un’Assunta con molti Angeli e con un San Tommaso al quale ella dà la cintola, figura molto graziosa e ch’è svolta tanto bene, che pare di mano di Michelagnolo; e così fatta è anco la Nostra Donna. Il disegno delle quali due figure di mano del Granacci, è nel nostro libro con altri fatti similmente da lui. Sono dalle bande di questa tavola S. Paulo, San Lorenzo, S. Iacopo e S. Giovanni, che sono tutte così belle figure, che questa è tenuta la migliore opera che Francesco facesse mai. E nel vero questa sola, quando non avesse mai [p. 278 modifica]fatto altro, lo farà tenere sempre, come fu, eccellente dipintore. Fece ancora nella chiesa di San Gallo, luogo già fuor della detta porta, de’ frati Eremitani di Santo Agostino, in una tavola la Nostra Donna e due putti, San Zanobi vescovo di Fiorenza, e San Francesco; la quale tavola, che era alla capella de’ Girolami, della quale famiglia fu detto San Zanobi, è oggi in San Iacopo tra’ Fossi in Firenze. Avendo Michelagnolo Buonarruoti una sua nipote monaca in Santa Apollonia di Firenze, et avendo per ciò fatto l’ornamento et il disegno della tavola e dell’altar maggiore, vi dipinse il Granaccio alcune storie di figurette piccole a olio et alcune grandi, che allora sodisfecero molto alle monache et ai pittori ancora. Nel medesimo luogo dipinse da basso un’altra tavola, che per inavertenza di certi lumi lasciati all’altare abruciò una notte con alcuni parametri di molto valore; che certo fu gran danno, perciò che era quell’opera molto dagl’artefici lodata. Alle monache di S. Giorgio in sulla Costa fece nella tavola dell’altar maggiore la Nostra Donna, Santa Caterina, San Giovanni Gualberto, San Bernardo Uberti cardinale e San Fedele. Lavorò similmente il Granacci molti quadri e tondi sparsi per la città nelle case de’ gentiluomini; e fece molti cartoni per far finestre di vetro, che furono poi messi in opera dai frati degl’Ingesuati di Fiorenza. Dilettossi molto di dipignere drappi, e solo et in compagnia: onde, oltre le cose dette di sopra, fece molti drappelloni. E perché faceva l’arte più per passar tempo che per bisogno, lavorava agiatamente, e voleva tutte le sue commodità, fuggendo a suo potere i disagi più che altr’uomo. Ma nondimeno conservò sempre il suo, senza esser cupido di quel d’altri. E perché si diede pochi pensieri, fu piacevole uomo et attese a godere allegramente. Visse anni sessantasette; alla fine de’ quali, di malatia ordinaria e di febre finì il corso della sua vita; e nella chiesa di Santo Ambruogio di Firenze ebbe sepoltura nel giorno di Santo Andrea Apostolo, nel MDXLIIII.