Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Masaccio da San Giovanni di Valdarno

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Masaccio da San Giovanni di Valdarno

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Parri Spinelli Filippo Brunelleschi

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VITA DI MASACCIO DA S. GIOVANNI

DI VALDARNO, PITTORE


È
C o s t u m e della Natura, quando ella fa una persona molto eccellente in alcuna professione, molte volte non la far sola: Ma in quel tempo medesimo, et vicino a quella, farne un’altra a sua concorrenza; a cagione, che elle possino giovare l’una all’altra nella virtù, e nella emulazione. La qual cosa, oltra il singular giovamento di quegli stessi, che in ciò concorrono; accende ancora oltra modo, gli animi di chi viene dopo quella età, a sforzarli con ogni studio, et con ogni industria, di pervenire a quello honore, e a quella gloriosa reputazione, che ne’ passati, tutto ’l giorno altamente sente lodare. Et, che questo sia il vero, lo haver Fiorenza, [p. 296 modifica]prodotto in una medesima età, Filippo, Donato, Lorenzo, Paulo Uccello, et Masaccio eccellentissimi ciascuno nel genere suo, non solamente levò via le roze, et goffe maniere, mantenutesi fino a quel tempo; ma per le belle opere di costoro, incitò et accese tanto gli animi di chi venne poi, che l’operare in questi mestieri si è ridotto in quella grandezza et in quella perfezzione, che si vede ne’ tempi nostri. Di che habbiamo noi nel vero obligo grande a que’ primi, che mediante le loro fatiche ci mostrarono la vera via, da caminare al grado supremo. Et quanto alla maniera buona delle pitture a Masaccio massimamente, per haver egli,come disideroso d’acquistar fama, considerato, non essendo la pittura altro,che un cótrafar tutte le cose della natura viste, col disegno,

et co’ colori semplicemente, come ci sono prodotte da lei, che colui, che ciò più perfettamente consegue, si può dire eccellente. Laqual cosa, dico, conosciuta da Masàccio fu cagione,che mediante un continuo studio imparò tanto, che si può anoverare fra i primi, che per la maggior parte levassino le durezze, imperfezzioni, et difficultà dell’arte, et che egli desse principio, alle belle attitudini, movenze, fierezze, e vivacità, et a un certo rilievo veramente proprio, naturale. Il che infino a lui non haveva mai fatto niun pittore.E perché fu di ottimo giudizio,confiderò,che tutte le figure,che non posavano, ne scortavano coi piedi in sul piano, ma stavano in punta di piedi, mancavano d’ogni bontà,et maniera nelle cose essenziali. E coloro,che le fanno mostrano di no intéder lo scorto. Et se bene Paulo Uccello vi si era messo et haveva fatto qualche cosa, agevolando in parte questa difficultà, Masaccio nondimeno, variando in molti modi fece molto meglio gli scorti,e per ogni sorte di veduta, che niun altro,che infino allora fusse stato. E dipinfe le cose sue con buona unione, et morbidezza, accompagnando con le incarnazioni delle teste, et degli nudi, i colori de’panni: I quali si dilettò di fare con poche pieghe, et facili, come fa il vivo e naturale.Il che è stato di grande utile agl'artefici, et ne merita essere commendato come se ne fusse stato inventore: perchè in vero le cose fatte inanzi a lui si possono chiamar dipinte, et le sue vive, veraci, e naturali, allato a quelle state fatte da gli altri. L’origine di costui fu da Castello San Giovanni di Valdarno; Et dicono, che quivi si veggono ancora alcune figure fatte da lui nella sua prima faciullezza. Fu persbna astrattiss.e molto a caso, come quel!o, che havendo fisso tutto l'animo, et la volontà alle cose dell’arte sola, si curava poco di se, et manco di altrui. Et perchè e’ non volle pésar già mai in maniera alcuna alle cure, o cose del mondo, et non che altro, al vestire stesso, no costumando riscuotere i danari da suoi debitori, se non quando era in bisogno estremo, per Tommaso, che era il fuo nome,fu da tutti detto Masaccio. Non già perchè e’ fusse vizioso essendo egli la bontà naturale, ma per la tanta trascurataggine. Con laquale niente dimanco era egli tanto amorevole nel fare altrui fervizio, et piacere, che più oltre non puo bramarsi. Cominciò l’arte nel tempo che Masolino da Panicale lauorava nel Carmine di Fiorenza la cappella de’ Brancacci, seguitando sempre quanto e poteva le vestigie di Filippo, et di Donato, ancora,che l’arte fusse diversa. Et cercando continumente nell'operare di fare le figure vivissime, et con bella prontezza a la similitudine del vero. Et tanto modernamente trasse fuori degli altri i suoi lineamenti et il suo dipignere, che l’opere sue sicuramente possono stare al paragone, con [p. 297 modifica]con ogni disegno e colorito moderno.

Fu studiosissimo nello operare, e nelle difficultà della prospettiva artifizioso e mirabile, come si vede in una sua istoria di figure piccole, che oggi è in casa Ridolfo del Ghirlandaio, nella quale, oltre il Cristo che libera lo indemoniato, sono casamenti bellissimi in prospettiva, tirati in una maniera che e’ dimostrano in un tempo medesimo il didentro et il difuori, per avere egli presa la loro veduta, non in faccia, ma in su le cantonate per maggior difficultà. Cercò più degli altri maestri di fare gli ignudi e gli scorti nelle figure, poco usati avanti di lui. Fu facilissimo nel far suo, et è, come si è detto, molto semplice nel panneggiare. È di sua mano una tavola fatta a tempera, nella quale è una Nostra Donna in grembo a Sant’Anna, col Figliuolo in collo; la quale tavola è oggi in S. Ambruogio di Firenze nella capella che è allato alla porta, che va al parlatorio delle monache. Nella chiesa ancora di San Niccolò di là d’Arno, è nel tramezzo una tavola di mano di Masaccio dipinta a tempera, nella quale, oltra la Nostra Donna che vi è dall’Angelo annunziata, vi è un casamento pieno di colonne, tirato in prospettiva, molto bello perchè, al disegno delle linee che è perfetto, lo fece di maniera con i colori sfuggire, che a poco a poco abagliatamente si perde di vista: nel che mostrò assai d’intender la prospettiva. Nella Badia di Firenze dipinse a fresco in un pilastro, dirimpetto a uno di quegli che reggono l’arco dell’altar maggiore, Santo Ivo di Brettagna, figurandolo dentro a una nicchia, perchè i piedi scortassino alla veduta di sotto. La qual cosa non essendo sì bene stata usata da altri, gl’acquistò non piccola lode, e sotto il detto Santo sopra un’altra cornice, gli fece intorno vedove, pupilli e poveri, che da quel Santo sono nelle loro bisogne aiutati. In Santa Maria Novella ancora dipinse a fresco sotto il tramezzo della chiesa una Trinità che è posta sopra l’altar di S. Ignazio, e la Nostra Donna e S. Giovanni Evangelista, che la mettono in mezzo contemplando Cristo crucifisso. Dalle bande sono ginocchioni due figure, che per quanto si può giudicare, sono ritratti di coloro che la feciono dipignere; ma si scorgono poco, essendo ricoperti da un ornamento messo d’oro. Ma quello che vi è bellissimo oltre alle figure, è una volta a mezza botte tirata in prospettiva, e spartita in quadri pieni di rosoni, che diminuiscono e scortano così bene, che pare che sia bucato quel muro. Dipinse ancora in Santa Maria Maggiore, a canto alla porta del fianco, la quale va a San Giovanni, nella tavola d’una capella, una Nostra Donna, Santa Caterina e San Giuliano. E nella predella fece alcune figure piccole della vita di Santa Caterina e San Giuliano che ammazza il padre e la madre, e nel mezzo fece la Natività di Gesù Cristo con quella semplicità e vivezza che era sua propria nel lavorare. Nella chiesa del Carmine di Pisa, in una tavola che è dentro a una capella del tramezzo, è una Nostra Donna col Figliuolo, et a’ piedi sono alcuni Angioletti che suonano, uno de’ quali sonando un liuto, porge con attenzione l’orecchio all’armonia di quel suono. Mettono in mezzo la Nostra Donna, San Piero, San Giovanni Battista, San Giuliano e San Niccolò, figure tutte molto pronte e vivaci. Sotto, nella predella, sono di figure piccole storie della vita di que’ Santi, e nel mezzo i tre Magi, che offeriscono a Cristo; et in questa parte sono alcuni cavalli ritratti dal vivo, tanto belli che non si può meglio desiderare; e gli uomini della corte di que’ tre re sono vestiti di varii abiti, che si usavano [p. 298 modifica]in que’ tempi. E sopra, per finimento di detta tavola, sono in più quadri molti Santi intorno a un Crucifisso.

Credesi che la figura d’un Santo in abito di vescovo, che è in quella chiesa in fresco a lato alla porta che va nel convento, sia di mano di Masaccio, ma io tengo per fermo ch’ella sia di mano di fra Filippo, suo discepolo. Tornato da Pisa, lavorò in Fiorenza una tavola, dentrovi un maschio et una femmina ignudi, quanto il vivo; la quale si truova oggi in casa Palla Rucellai. Appresso, non sentendosi in Fiorenza a suo modo, e stimolato dalla affezione et amore dell’arte, deliberò per imparare e superar gli altri andarsene a Roma, e così fece. E quivi, acquistata fama grandissima, lavorò al cardinale di San Clemente nella chiesa di San Clemente una cappella, dove a fresco fece la Passione di Cristo co’ ladroni in croce e le storie di Santa Caterina Martire. Fece ancora a tempera molte tavole, che ne’ travagli di Roma si son tutte o perse o smarrite: una nella chiesa di Santa Maria Maggiore, in una capelletta vicina alla sagrestia, nella quale sono quattro Santi tanto ben condotti, che paiono di rilievo, e nel mezzo Santa Maria della Neve; et il ritratto di papa Martino di naturale, il quale con una zappa disegna i fondamenti di quella chiesa, et appresso a lui è Sigismondo Secondo imperatore. Considerando questa opera un giorno Michelagnolo et io, egli la lodò molto, e poi soggiunse coloro essere stati vivi ne’ tempi di Masaccio; al quale mentre in Roma lavoravano le facciate della chiesa di Santo Ioanni per Papa Martino, Pisanello e Gentile da Fabriano, n’avevano allogato una parte; quando egli avuto nuove che Cosimo de’ Medici, dal qual era molto aiutato e favorito, era stato richiamato dall’esilio, se ne tornò a Fiorenza. Dove gli fu allogato, essendo morto Masolino da Panicale, che l’aveva cominciata, la capella de’ Brancacci nel Carmine, alla quale, prima che mettesse mano, fece come per saggio il San Paulo che è presso alle corde delle campane, per mostrare il miglioramento che egli aveva fatto nell’arte. E dimostrò veramente infinita bontà in questa pittura; conoscendosi nella testa di quel Santo, il quale è Bartolo di Angiolino Angiolini ritratto di naturale, una terribilità tanto grande, che e’ pare che la sola parola manchi a questa figura. E chi non conobbe San Paulo, guardando questo, vedrà quel dabbene della civiltà romana, insieme con la invitta fortezza di quell’animo divinissimo tutto intento alle cure della fede. Mostrò ancora in questa pittura medesima l’intelligenza di scortare le vedute di sotto in su, che fu veramente maravigliosa, come apparisce ancor oggi ne’ piedi stessi di detto Apostolo, per una difficultà facilitata in tutto da lui, rispetto a quella goffa maniera vecchia che faceva (come io dissi poco di sopra) tutte le figure in punta di piedi; la qual maniera durò fino a lui senza che altri la correggesse, et egli solo e prima di ogni altro la ridusse al buono del dì d’oggi. Accadde mentre che e’ lavorava in questa opera, che e’ fu consagrata la detta chiesa del Carmine, e Masaccio in memoria di ciò, di verde dipinse, di chiaro e scuro, sopra la porta che va in convento, dentro nel chiostro, tutta la sagra come ella fu. E vi ritrasse infinito numero di cittadini in mantello et in cappuccio, che vanno dietro a la processione; fra i quali fece Filippo di Ser Brunellesco in zoccoli, Donatello, Masolino da Panicale, stato suo maestro, Antonio Brancacci, che gli fece far la cappella, Niccolò da Uzzano, Giovanni di Bicci de’ Medici, Bartolomeo Valori, i quali sono [p. 299 modifica]anco, di mano del medesimo, in casa di Simon Corsi gentiluomo fiorentino. Ritrassevi similmente Lorenzo Ridolfi, che in que’ tempi era ambasciadore per la Repubblica fiorentina a Vinezia. E non solo vi ritrasse i gentiluomini sopra detti di naturale, ma anco la porta del convento et il portinaio con le chiavi in mano. Questa opera veramente ha in sè molta perfezzione, avendo Masaccio saputo mettere tanto bene in sul piano di quella piazza a cinque e sei per fila, l’ordinanza di quelle genti che vanno diminuendo con proporzione e giudizio secondo la veduta dell’occhio, che è proprio una maraviglia; e massimamente che vi si conosce come se fussero vivi, la discrezione che egli ebbe in far quegl’uomini non tutti d’una misura, ma con una certa osservanza che distingue quelli che sono piccoli e grossi, dai grandi e sottili, e tutti posano i piedi in sur un piano, scortando in fila tanto bene, che non fanno altrimenti i naturali. Dopo questo, ritornato al lavoro della capella de’ Brancacci, seguitando le storie di San Piero cominciate da Masolino, ne finì una parte, cioè l’istoria della cattedra, il liberare gl’infermi, suscitare i morti et il sanare gli attratti con l’ombra nell’andare al tempio con San Giovanni. Ma tra l’altre notabilissima apparisce quella dove San Piero per pagare il tributo, cava per commissione di Cristo i danari del ventre del pesce; perchè, oltra il vedersi quivi un Apostolo che è nell’ultimo, nel quale è il ritratto stesso di Masaccio fatto da lui medesimo a lo specchio, tanto bene ch’e’ par vivo vivo, vi si conosce l’ardir di San Piero nella dimanda e la attenzione degl’Apostoli nelle varie attitudini intorno a Cristo, aspettando la resoluzione con gesti sì pronti che veramente appariscon vivi. Et il San Piero massimamente, il quale nell’affaticarsi a cavare i danari del ventre del pesce ha la testa focosa per lo stare chinato. E molto più quando e’ paga il tributo, dove si vede l’affetto del contare e la sete di colui che riscuote, che si guarda i danari in mano con grandissimo piacere. Dipinsevi ancora la resurrezzione del figliuolo del re, fatta da San Piero e San Paulo, ancora che per la morte d’esso Masaccio restasse imperfetta l’opera, che fu poi finita da Filippino. Nell’istoria dove San Piero battezza, si stima grandemente un ignudo che triema tra gl’altri battezzati assiderando di freddo, condotto con bellissimo rilievo e dolce maniera, il quale dagli artefici e vecchi e moderni è stato sempre tenuto in riverenza et ammirazione, per il che da infiniti disegnatori e maestri continuamente fino al dì d’oggi è stata frequentata questa cappella. Nella quale sono ancora alcune teste vivissime e tanto belle che ben si può dire che nessuno maestro di quella età si accostasse tanto a’ moderni quanto costui. Laonde le sue fatiche meritano infinitissime lodi; e massimamente per avere egli dato ordine nel suo magisterio alla bella maniera de’ tempi nostri. E che questo sia il vero, tutti i più celebrati scultori e pittori che sono stati da lui in qua esercitandosi e studiando in questa cappella, sono divenuti eccellenti e chiari, cioè fra’ Giovanni da Fiesole, fra’ Filippo, Filippino che la finì, Alessio Baldovinetti, Andrea dal Castagno, Andrea del Verrocchio, Domenico del Grillandaio, Sandro di Botticello, Lionardo da Vinci, Pietro Perugino, fra’ Bartolomeo di San Marco, Mariotto Albertinelli et il divinissimo Michelagnolo Buonarroti. Raffaello ancora da Urbino di quivi trasse il principio della bella maniera sua, il Granaccio, Lorenzo di Credi, Ridolfo del [p. 300 modifica]Grillandaio, Andrea del Sarto, il Rosso, il Francia Bigio, Baccio Bandinelli, Alonso Spagnuolo, Iacopo da Puntormo, Pierino del Vaga e Toto del Nunziata; et insomma tutti coloro che hanno cercato imparar quella arte, sono andati a imparar sempre a questa cappella, et apprendere i precetti e le regole del far bene da le figure di Masaccio. E se io non ho nominati molti forestieri e molti Fiorentini che sono iti a studiare a detta cappella, basti che dove corrono i capi dell’arte, quivi ancora concorrono le membra. Ma con tutto che le cose di Masaccio siano state sempre in cotanta riputazione, egli è nondimeno opinione, anzi pur credenza ferma di molti, che egli arebbe fatto ancora molto maggior frutto nell’arte, se la morte, che di 26 anni ce lo rapì, non ce lo avesse tolto così per tempo. Ma, o fusse l’invidia o fusse pure che le cose buone comunemente non durano molto, e’ si morì nel bel del fiorire, et andossene sì di subito, che e’ non mancò chi dubitasse in lui di veleno, assai più che d’altro accidente. Dicesi che sentendo la morte sua, Filippo di Ser Brunellesco disse: "Noi abbiamo fatto in Masaccio una grandissima perdita", e gli dolse infinitamente, essendosi affaticato gran pezzo in mostrargli molti termini di prospettiva e d’architettura. Fu sotterrato nella medesima chiesa del Carmine l’anno 1443. E se bene allora non gli fu posto sopra il sepolcro memoria alcuna, per essere stato poco stimato vivo, non gli è però mancato doppo la morte chi lo abbia onorato di questi epitaffi:

D’ANNIBAL CARO

Pinsi, e la mia pittura al ver fu pari;
l’atteggiai, l’avvivai, le diedi il moto,
le diedi affetto; insegni il Buonarroto
a tutti gli altri, e da me solo impari.

DI FABIO SEGNI

Invida cur Lachesis primo sub flore iuventae
pollice discindis stamina funereo?
Hoc uno occiso innumeros occidis Apelles;
picturae omnis obit, hoc obeunte, lepos.
Hoc Sole extincto, extinguuntur sydera cuncta.
Heu decus omne perit, hoc pereunte, simul.