Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Valerio Vicentino, Giovanni da Castel Bolognese, Matteo del Nasaro e altri eccellenti intagliatori di camei e gioie
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VITE DI VALERIO VICENTINO, DI GIOVANNI DA CASTEL BOLOGNESE, DI MATTEO DAL NASARO VERONESE E D’ALTRI ECCELLENTI INTAGLIATORI DI CAMEI E GIOIE
Da che i Greci negl’intagli delle pietre orientali furono così divini, e ne’ camei perfettamente lavorarono, per certo mi parrebbe fare non piccolo errore, se io passassi con silenzio coloro che quei maravigliosi ingegni hanno nell’età nostra imitato. Conciò sia che niuno è stato fra i moderni passati, secondo che si dice, che abbia passato i detti antichi di finezza e di disegno in questa presente e felice età, se non questi che qui di sotto conteremo. Ma prima che io dia principio, mi convien fare un discorso breve sopra questa arte dell’intagliar le pietre dure e le gioie, la quale doppo le rovine di Grecia e di Roma ancora loro si perderono insieme con l’altre parti del disegno. Queste opere dello intagliare in cavo e di rilievo, se n’è visto giornalmente in Roma trovarsi spesso fra le rovine: cammei e corgniole, sardoni et altri eccellentissimi intagli, e molti e molti anni stette persa, che non si trovava chi vi attendesse; e se bene si faceva qualche cosa, non erono di maniera che se ne dovessi far conto, e per quanto se n’ha cognizione, non si trova che si cominciasse a far bene, e dar nel buono, se non nel tempo di papa Martino V e di Paolo II. Et andò crescendo di mano in mano per fino che ’l Magnifico Lorenzo de’ Medici, il quale si dilettò assai degli intagli de’ cammei antichi, e fra lui e Piero suo figliuolo ne ragunarono gran quantità, e massimamente calcidoni, corgniuole et altra sorte di pietre intagliate, rarissime, le quali erano con diverse fantasie dentro, che furono cagione che per metter l’arte nella loro città e’ conducessino di diversi paesi maestri che, oltra al rassettar loro queste pietre, gli condussono dell’altre cose rare in quel tempo. Imparò da questi, per mezzo del Magnifico Lorenzo, questa virtù dell’intaglio in cavo un giovane fiorentino chiamato Giovanni delle Corgniuole, il quale ebbe questo cognome perché le intagliò eccellentemente, come fa testimonio infinite che se ne veggono di suo, grandi e piccole, ma particolarmente una grande, dove egli fece dentro il ritratto di fra’ Girolamo Savonarola, nel suo tempo adorato in Fiorenza per le sue predicazioni, ch’era rarissimo intaglio. Fu suo concorrente Domenico de’ Cammei, milanese che, allora vivendo il duca Lodovico il Moro, lo ritrasse in cavo in un balascio della grandezza più d’un giulio, che fu cosa rara e de’ migliori intagli che si fusse visto de’ maestri moderni. Accrebbe poi in maggiore eccellenza questa arte nel pontificato di papa Leone Decimo, per la virtù et opere di Piermaria da Pescia, che fu grandissimo imitatore delle cose antiche. E gli fu concorrente Michelino, che valse non meno di lui nelle cose piccole e grandi, e fu tenuto un grazioso maestro. Costoro apersono la via a quest’arte tanto difficile, poi che intagliando in cavo, che è proprio un lavorare al buio, da che non serve ad altro che la cera per occhiali a vedere di mano in mano quel che si fa, ridussono finalmente che Giovanni da Castel Bolognese e Valerio Vicentino e Matteo dal Nasaro et altri facessino tante bell’opere che noi faremo memoria. E per dar principio dico che Giovanni Bernardi da Castel Bolognese, il quale nella sua giovanezza, stando appresso il duca Alfonso di Ferrara, gli fece, in tre anni che vi stette onoratamente, molte cose minute, delle quali non accade far menzione; ma di cose maggiori la prima fu che egli fece, in un pezzo di cristallo incavato, tutto il fatto d’arme della Bastia, che fu bellissimo; e poi in un incavo d’acciaio il ritratto di quel Duca, per far medaglie, e nel riverso Gesù Cristo preso dalle turbe. Dopo, andato a Roma, stimolato dal Giovio, per mezzo d’Ipolito cardinale de’ Medici e di Giovanni Salviati cardinale, ebbe commodità di ritrarre Clemente Settimo, onde ne fece un incavo per medaglie che fu bellissimo, e nel rovescio quando Ioseffo si manifestò a’ suoi fratelli. Di che fu da Sua Santità rimunerato col dono d’una mazza, che è un uffizio, del quale cavò poi al tempo di Paolo Terzo, vendendolo, dugento scudi. Al medesimo Clemente fece in quattro tondi di cristallo i quattro Evangelisti, che furono molto lodati e gl’acquistarono la grazia e l’amicizia di molti reverendissimi; ma particolarmente quella del Salviati e del detto Ippolito cardinale de’ Medici, unico rifugio de’ vertuosi, il quale ritrasse in medaglie d’acciaio et al quale fece di cristallo quando ad Alessandro Magno è presentata la figliuola di Dario. E dopo, venuto Carlo V a Bologna a incoronarsi, fece il suo ritratto in un acciaio; et improntata una medaglia d’oro, la portò subito all’imperatore, il quale gli donò cento doble d’oro, facendolo ricercare se voleva andar seco in Ispagna. Il che Giovanni ricusò con dire che non potea partirsi dal servizio di Clemente e d’Ippolito cardinale, per i quali avea alcuna opera cominciata, che ancora era imperfetta. Tornato Giovanni a Roma, fece al detto cardinale de’ Medici il ratto delle Sabine, che fu bellissimo; per le quali cose, conoscendosi di lui molto debitore il cardinale, gli fece infiniti doni e cortesie, ma quello fu di tutti maggiore quando, partendo il cardinale per Francia, accompagnato da molti signori e gentiluomini, si voltò a Giovanni che vi era fra gl’altri e, levatasi dal collo una piccola collana, alla quale era appiccato un cammeo che valeva oltre seicento scudi, gliele diede dicendogli che lo tenesse insino al suo ritorno, con animo di sodisfarlo poi di quanto conosceva che era degna la virtù di Giovanni. Il quale cardinale morto, venne il detto cammeo in mano del cardinal Farnese, per lo quale lavorò poi Giovanni molte cose di cristallo, e particolarmente per una croce un Crucifisso et un Dio Padre di sopra, e dagli lati la Nostra Donna, e San Giovanni, e la Maddalena a’ piedi. Et in un triangolo a’ piè della croce fece tre storie della Passione di Cristo, cioè una per angolo. E per due candelieri d’argento fece in cristallo sei tondi: nel primo è il centurione che prega Cristo che sani il figliuolo; nel secondo la probatica piscina; nel terzo la Trasfigurazione in sul monte Tabor; nel quarto è il miracolo de’ cinque pani e due pesci; nel quinto quando cacciò i venditori del tempio; e nell’ultimo la ressurezione di Lazzaro, che tutti furono rarissimi. Volendo poi fare il medesimo cardinal Farnese una cassetta d’argento ricchissima, fattone fra l’opera a Marino orefice fiorentino, che altrove se ne ragionerà, diede a fare a Giovanni tutti i vani de’ cristalli, quali gli condusse tutti pieni di storie e di marmo di mezzo rilievo; fece le figure d’argento e gli ornamenti tondi con tanta diligenza, che non fu mai fatta altra opera con tanta e simile perfezzione. Sono di mano di Giovanni nel corpo di questa cassa intagliate in ovati queste storie con arte maravigliosa, la caccia di Meleagro e del porco calidonio, le baccanti et una battaglia navale, e similmente quando Ercole combatté con l’amazzone, et altre bellissime fantasie del cardinale; ne fece fare i disegni finiti a Perino del Vaga et a altri maestri. Fece appresso in un cristallo il successo della presa della Goletta, et in un altro la guerra di Tunisi. Al medesimo cardinale intagliò, pur in cristallo, la Nascita di Cristo, quando ora nell’orto, quando è preso da’ Giudei, quando è menato ad Anna, Erode e Pilato, quando è battuto e poi coronato di spine, quando porta la croce, quando è confitto e levato in alto, et ultimamente la sua santissima e gloriosa Resurrezzione: le quali opere tutte furono non solamente bellissime, ma fatte anco con tanta prestezza, che ne restò ogni uomo maravigliato. Et avendo Michelagnolo fatto un disegno (il che mi si era scordato di sopra) al detto cardinale de’ Medici, d’un Tizio a cui mangia un avoltoio il cuore, Giovanni intagliò benissimo in cristallo; sì come anco fece con un disegno del medesimo Buonarroto un Fetonte che, per non sapere guidare il carro del sole, cadé in Po, dove piangendo le sorelle sono convertite in alberi. Ritrasse Giovanni madama Margherita d’Austria, figliuola di Carlo Quinto imperadore, stata moglie del duca Alessandro de’ Medici et allora donna del duca Ottavio Farnese, e questo fece a concorrenza di Valerio Vicentino; per le quali opere fatte al cardinale Farnese, ebbe da quel signore in premio un uffizio d’un giannizzero, del quale trasse buona somma di danari; Et oltre ciò, fu dal detto signor tanto amato, che n’ebbe infiniti altri favori. Né passò mai il cardinale da Faenza, dove Giovanni aveva fabricato una commodissima casa, che non andasse ad alloggiare con esso lui. Fermatosi dunque Giovanni in Faenza, per quietarsi dopo aver molto travagliato il mondo, vi si dimorò sempre; et essendogli morta la prima moglie, della quale non aveva avuto figliuoli, prese la seconda di cui ebbe due maschi et una femmina, con i quali, essendo agiato di possessioni e d’altre entrate, che gli rendevano meglio di quattrocento scudi, visse contento insino a sessanta anni. Alla quale età pervenuto, rendé l’anima a Dio il giorno della Pentecoste l’anno 1555. Matteo del Nassaro, essendo nato in Verona d’un Iacopo dal Nassaro calzaiuolo, attese molto nella sua prima fanciullezza non solamente al disegno, ma alla musica ancora, nella quale fu eccellente, avendo in quella per maestri avuto Marco Carrà et il Tromboncino veronesi, che allora stavano col marchese di Mantoa. Nelle cose dell’intaglio gli furono di molto giovamento due veronesi d’onorate famiglie, con i quali ebbe continua pratica: l’uno fu Niccolò Avanzi, il quale lavorò in Roma privatamente cammei, corniuole et altre pietre, che furono portate a diversi principi. Et hacci di quegli che si ricordano aver veduto [in] un lapislazaro largo tre dita, di sua mano, la Natività di Cristo con molte figure, il quale fu venduto alla duchessa d’Urbino come cosa singolare. L’altro fu Galeazzo Mondella, il quale, oltre all’intagliar le gioie, disegnò benissimo. Da questi due adunque avendo Matteo tutto quello che sapevano apparato, venutogli un bel pezzo di diaspro alle mani, verde e macchiato di gocciole rosse come sono i buoni, v’intagliò dentro un Deposto di croce con tanta diligenza, che fece venire le piaghe in quelle parti del diaspro che erano macchiate di sangue; il che fece essere quell’opera rarissima, et egli commendatone molto. Il quale diaspro fu venduto da Matteo alla marchesana Isabella da Este. Andatosene poi in Francia, dove portò seco molte cose di sua mano, perché gli facessero luogo in corte del re Francesco Primo, fu introdotto a quel signore, che sempre tenne in conto tutte le maniere de’ virtuosi; il quale re, avendo preso molte delle pietre da costui intagliate, toltolo al servigio suo et ordinatogli buona provisione, non l’ebbe men caro per essere eccellente sonatore di liuto et ottimo musico, che per il mestiere dell’intagliar le pietre. E di vero niuna cosa accende maggiormente gl’animi alle virtù, che il veder quelle essere apprezzate e premiate dai principi e signori, in quella maniera che ha sempre fatto per l’adietro l’illustrissima casa de’ Medici, et ora fa più che mai, e nella maniera che fece il detto re Francesco veramente magnanimo. Matteo dunque, stando al servigio di questo re, fece non pure per sua maestà molte cose rare, ma quasi a tutti i più nobili signori e baroni di quella corte, non essendovi quasi niuno che non avesse (usandosi molto allora di portare cammei et altre simili gioie al collo e nelle berette) dell’opere sue. Fece al detto re una tavola per l’altare della capella di sua maestà, che si faceva portare in viaggio, tutta piena di figure d’oro, parte tonde e parte di mezzo rilievo, con molte gioie intagliate sparse per le membra delle dette figure. Incavò parimenti molti cristalli, gl’esempi de’ quali, in solfo e gesso, si veggiono in molti luoghi, ma particolarmente in Verona, dove sono tutti i pianeti bellissimi et una Venere con un Cupido che volta le spalle, il quale non può esser più bello. In un bellissimo calcidonio, stato trovato in un fiume, intagliò divinamente Matteo la testa d’una Deanira quasi tutta tonda con la spoglia del leone in testa e con la superficie lionata, et in un filo di color rosso, che era in quella pietra, accomodò Matteo nel fine della testa del lione il rovescio di quella pelle tanto bene, che pareva scorticata di fresco. In un’altra macchia accomodò i capegli, e nel bianco la faccia et il petto e tutto con mirabile magisterio. La quale testa ebbe insieme con l’altre cose il detto re Francesco. Et una impronta ne ha oggi in Verona il Zoppo orefice, che fu suo discepolo. Fu Matteo liberalissimo e di grande animo, in tanto che più tosto arebbe donato l’opere sue, che vendutele per vilissimo prezzo; perché, avendo fatto a un barone un cammeo d’importanza e volendo colui pagarlo una miseria, lo pregò strettamente Matteo che volesse accettarlo in cortesia; ma colui, non lo volendo in dono, e pur volendolo pagare piccolissimo prezzo, venne in collora Matteo, et in presenza di lui con un martello lo stiacciò. Fece Matteo per lo medesimo re molti cartoni per panni d’arazzo, e con essi, come volle il re, bisognò che andasse in Fiandra e tanto vi dimorasse che fussono tessuti di seta e d’oro. I quali finiti e condotti in Francia, furono tenuti cosa bellissima. Finalmente, come quasi tutti gl’uomini fanno, se ne tornò Matteo alla patria portando seco molte cose rare di que’ paesi, e particolarmente alcune tele di paesi fatte in Fiandra a olio et a guazzo, e lavorati da bonissime mani; le quali sono ancora per memoria di lui tenute in Verona molto care dal signor Luigi e signor Girolamo Stoppi. Tornato Matteo a Verona, si accomodò di stanza in una grotta cavata sotto un sasso, al quale è sopra il giardino de’ frati Gesuati; luogo che, oltre all’esser caldissimo il verno e molto fresco la state, ha una bellissima veduta. Ma non poté godersi Matteo questa stanza fatta a suo capriccio quanto arebbe voluto: perché liberato che fu dalla sua prigionia, il re Francesco mandò subito per uno a posta a richiamar Matteo in Francia, e pagargli la provisione eziandio del tempo che era stato in Verona. E giunto là, lo fece maestro de’ conii della zecca. Onde Matteo, presa moglie in Francia, s’accomodò, poiché così piacque al re suo signore, a vivere in que’ paesi. Della qual moglie ebbe alcuni figliuoli, ma a lui tanto dissimili, che n’ebbe poca contentezza. Fu Matteo così gentile e cortese, che chiunche capitava in Francia, non pure della sua patria Verona, ma lombardo, carezzava straordinariamente. Fu suo amicissimo in quelle parti Paulo Emilio Veronese, che scrisse l’istorie franzesi in lingua latina. Fece Matteo molti discepoli, e fra gl’altri un suo veronese, fratello di Domenico Brusciasorzi, due suoi nipoti, che andarono in Fiandra, et altri molti Italiani e Franzesi, de’ quali non accade far menzione. E finalmente si morì non molto dopo la morte del re Francesco di Francia. Ma per venire oramai all’eccellente virtù di Valerio Vicentino, del quale si ragionerà, egli condusse tante cose grande e piccole, d’intaglio, encavo e di rilievo, ancora con una pulitezza e facilità che è cosa da non credere; e se la natura avesse fatto così buon maestro Valerio di disegno, come ella lo fece eccellentissimo nello intaglio, e diligente e pazientissimo nel condur l’opere sue da che fu tanto e spedito, arebbe passato di gran lunga gli antichi, come gli paragonò, e con tutto ciò ebbe tanto ingegno, che si valse sempre o de’ disegni da lui o degli intagli antichi nelle sue cose. Condusse Valerio a papa Clemente VII una cassetta tutta di cristalli, condotta con mirabil magisterio, che n’ebbe da quel Pontefice per sua fattura scudi duomila d’oro, dove Valerio intagliò in que’ cristalli tutta la Passione di Gesù Cristo col disegno d’altri; la qual cassetta fu poi donata da papa Clemente al re Francesco a Nizza, quando andò a marito la sua nipote al duca d’Orliens, che fu poi il re Arrigo. Fece Valerio per il medesimo papa alcune paci bellissime, et una croce di cristallo divina, e similmente conii da improntar medaglie, dov’era il ritratto di papa Clemente con rovesci bellissimi, e fu cagione che nel tempo suo quest’arte si acrebbe di tanti maestri, che innanzi al sacco di Roma che da Milano e di altri paesi n’era cresciuto sì gran numero, che era una maraviglia. Fece Valerio le medaglie de’ dodici imperatori co’ lor rovesci, cavate dallo antico, più belle, e gran numero di medaglie greche; intagliò tante altre cose di cristallo, che non si vede altro che pieno le botteghe degli orefici et il mondo che delle cose sua formate o di gesso o di zolfo o d’altre mesture da encavi, dove e’ fece storie o figure o teste. Costui aveva una pratica tanto terribile che non fu mai nessuno del suo mestiero che facesse più opere di lui. Condusse ancora a papa Clemente molti vasi di cristalli quale parte donò a diversi principi e parte fur posti in Fiorenza nella chiesa di San Lorenzo insieme con molti vasi che erano in casa Medici, già del Magnifico Lorenzo Vecchio e d’altri di quella illustrissima casa, per conservare le reliquie di molti Santi, che quel pontefice donò per memoria sua a quella chiesa, che non è possibile veder la varietà de’ garbi di que’ vasi, che son parte di sardoni, agate, amatisti, lapislazzari e parte plasme et elitropie e diaspri, cristalli, corniuole che, per la valuta e bellezza loro, non si può desiderar più. Fece a papa Paulo Terzo una croce e dua candellieri pur di cristallo, intagliatovi dentro storie della Passione di Gesù Cristo in varii spartimenti di quell’opera, et infinito numero di pietre piccole e grandi che troppo lungo saria il volerne far memoria. Trovasi appresso il cardinal Farnese molte cose di man di Valerio, il quale non lasciò manco cose lavorate, che facesse Giovanni sopra detto, e d’anni settantotto ha fatto con l’occhio e con le mani miracoli stupendissimi, et ha insegnato l’arte a una sua figliuola, che lavora benissimo. [Era] Valerio tanto vago di procacciare antiquità di marmi et impronte di gesso antiche e moderne, e disegni e pitture di mano di rari uomini, che non guardava a spesa niuna. Onde la sua casa in Vicenza è piena e di tante varie cose adorna, che è uno stupore, e nel vero si conosce che quando uno porta amore alla virtù, egli non resta mai infino alla fossa; onde n’ha merito e lode in vita, e si fa doppo la morte inmortale. Fu Valerio molto premiato delle fatiche sue, et ebbe ufizii e benefizii assai da que’ principi che egli servì. Onde possono quegli che sono rimasi doppo lui, mercé d’esso, mantenersi in grado onorato. Costui quando non poté più, per li fastidi che porta seco la vecchiezza, attendere all’arte, né vivere, rese l’anima a Dio l’anno 1546. Fu ne’ tempi a dietro in Parma il Marmita, il quale un tempo attese alla pittura poi si voltò allo intaglio, e fu grandissimo imitatore degli antichi. Di costui si vidde molte cose bellissime. Insegnò l’arte a un suo figliuolo chiamato Lodovico, che stette in Roma gran tempo col cardinal Giovanni de’ Salviati, e fece per questo signore quattro ovati intagliati di figure nel cristallo molto eccellenti, che fur messi in una cassetta d’argento bellissima, che fu donata poi alla illustrissima signora Leonora di Tolledo, duchessa di Fiorenza. Costui fece fra molte sue opere un cammeo con una testa di Socrate molto bella, e fu gran maestro di contrafar medaglie antiche, delle quali ne cavò grandissima utilità. Seguitò in Fiorenza Domenico di Polo fiorentino, eccellente maestro d’incavo, il quale fu discepolo di Giovanni delle Corgnole di che s’è ragionato; il qual Domenico a’ nostri giorni ritrasse divinamente il duca Alessandro de’ Medici, e ne fé conii in acciaio e bellissime medaglie con un rovescio, dentrovi una Fiorenza. Ritrasse ancora il duca Cosimo il primo anno che fu eletto al governo di Fiorenza; e nel rovescio fece il segno del capricorno e molti altri intagli di cose piccole che non scade farne memoria, e morì d’età d’anni 65. Morto Domenico, Valerio e il Marmita e Giovanni da Castel Bolognese, rimasono molti che gli hanno di gran lunga avanzati, come in Venezia Luigi Anichini ferrarese, il quale, di sottigliezza d’intaglio e di acutezza di fine, ha le sue cose fatto apparire mirabili; ma molto più ha passato innanzi a tutti in grazia, bontà et in perfezione e nell’essere universale, Alessandro Cesari, cognominato il Greco, il quale ne’ cammei e nelle ruote ha fatto intagli di cavo e di rilievo con tanta bella maniera, e così in conii d’acciaio in cavo con i bulini, ha condotte le minutezze dell’arte con quella estrema diligenza, che maggior non si può imaginare, e chi vuole stupire de’ miracoli suoi, miri una medaglia fatta a papa Pavolo Terzo del ritratto suo che par vivo, col suo rovescio, dove Alessandro Magno che, gettato a’ piedi del gran sacerdote di Ierosolima, lo adora, che non figure da stupire e che non è possibile far meglio; e Michelagnolo Buonarroti stesso guardandole, presente Giorgio Vasari, disse che era venuto l’ora della morte nell’arte perciò che non si poteva veder meglio. Costui fé per papa Iulio Terzo la sua medaglia l’anno santo 1550, con un rovescio di que’ prigioni che al tempo degli antichi erano ne’ lor giubilei liberati, che fu bellissima e rara medaglia, con molti altri conii e ritratti per le zecche di Roma, la quale ha tenuta esercitata molti anni. Ritrasse Pierluigi Farnese duca di Castro, il duca Ottavio suo figliuolo, et al cardinale Farnese fece in una medaglia il suo ritratto: cosa rarissima, ché la testa fu d’oro e ’l campo d’argento. Costui condusse la testa del re Arrigo di Francia per il cardinale Farnese della grandezza più d’un giulio in una corniuola, incavò d’intaglio in cavo che è stato uno de’ più begli intagli moderni che si sia veduto mai, per disegno, grazia, bontà e diligenza. Vedesi ancora molti altri intagli di sua man in cammei, e perfettissima una femina ignuda fatta con grande arte, e così un altro dove è un leone e parimente un putto, e molti piccoli che non scade ragiornarne; ma quello che passò tutti, fu la testa di Fotione ateniese, che è miracolosa et il più bello cameo che si possa vedere. Si adopera ancora oggi ne cammei Giovanantonio de’ Rossi milanese, bonissimo maestro, il quale, oltra alle belle opere che ha fatto di rilievo e di cavo in varii intagli, ha per lo illustrissimo duca Cosimo de’ Medici condotto un cammeo grandissimo, cioè un terzo di braccio alto e largo parimente, nel quale ha cavato dal mezzo in su due figure, cioè Sua Eccellenza e la illustrissima duchessa Leonora sua consorte, che ambidue tengano un tondo con le mani dentrovi una Fiorenza; sono apresso a questi ritratti di naturale il principe don Francesco con don Giovanni cardinale, don Garzia e don Arnando, e don Pietro insieme con donna Isabella e donna Lucrezia, tutti lor figliuoli, che non è possibile vedere la più stupenda opera di cammeo, né la maggior di quella, e perch’ella supera tutti i cammei et opere piccole che egli ha fatti, non ne farò altra menzione potendosi veder l’opere. Cosimo, da Trezzo, ancora ha fatto molte opere degne di questa professione, il quale ha meritato, per le rare qualità sue, che il gran re Filippo Cattolico di Spagna lo tenga apresso di sé con premiallo et onorallo per le virtù sue nello intaglio in cavo e di rilievo della medesima professione, che non ha pari per far ritratti di naturale, nel quale egli vale infinitamente, e nell’altre cose. Di Filippo Negrolo milanese, intagliatore di cesello in arme di ferro con fogliami e figure, non mi distenderò avendo operato, come si vede, in rame, cose che si veggono fuor di suo, che gli hanno dato fama grandissima. E Gasparo e Girolamo Misuroni milanesi intagliatori, di quali s’è visto vasi e tazze di cristallo bellissime, e particolarmente hanno condotti per il duca Cosimo dua che son miracolosi, oltre che ha fatto in un pezzo di elitropia un vaso di maravigliosa grandezza e di mirabile intaglio, così un vaso grande di lapislazari, che ne merita lode infinita; et Iacopo da Trezzo fa in Milano il medesimo; che nel vero hanno renduta questa arte molto bella e facile. Molti sarebbano che io potrei raccontare, che nello intaglio di cavo per le medaglie, teste e rovesci, che hanno paragonato e passato gli antichi, come Benvenuto Cellini, che al tempo che egli esercitò l’arte dello orefice in Roma sotto papa Clemente, fece dua medaglie dove, oltra alla testa di papa Clemente che somigliò che par viva, fé in un rovescio la Pace che ha legato il Furore e bruscia l’armi, e nell’altra Moisè che, avendo percosso la pietra, ne cava l’acqua per il suo popolo assetato, che non si può far più in quell’arte così; poi nelle monete e medaglie che fece per il duca Alessandro in Fiorenza. Del cavalier Lione Aretino, che in questo fatto il medesimo, altrove se ne farà memoria e delle opere che ha fatto e che egli fa tuttavia. Pietropavolo Galeotto romano, fece ancor lui, e fa appresso il duca Cosimo, medaglie de’ suoi ritratti, e conii di monete, et opere di tarsia immitando gl’andari di maestro Salvestro, che in tale professione fece in Roma cose maravigliose, eccellentissimo maestro. Pastorino da Siena ha fatto il medesimo nelle teste di naturale, che si può dire che abbi ritratto tutto il mondo di persone, e signori grandi e virtuosi, et altre basse genti; costui trovò uno stucco sodo da fare i ritratti che venissino coloriti a guisa de’ naturali, con le tinte delle barbe, capelli e color di carni, che l’ha fatte parer vive; ma si debbe molto più lodare negli acciai, di che ha fatto conii di medaglie eccellenti. Troppo sarei lungo se io avessi di questi che fanno ritratti di medaglie di cera a ragionare, perché oggi ogni orefice fa, e gentiluomini assai vi si son dati e vi atendano, come Giovanbatista Sozini a Siena et il Rosso de’ Giugni a Fiorenza et infiniti altri, che non vo’ ora più ragionare, e, per dar fine a questi, tornerò agli intagliatori di acciaio, come Girolamo Fagiuoli bolognese, intagliatore di cesello e di rame, et in Fiorenza Domenico Poggini, che ha fatto e fa conii per la zecca con le medaglie del duca Cosimo, e lavora di marmo statue, imitando in quel che può i più rari et eccellenti uomini che abbin fatto mai cose rare in queste professioni.