Lettera di Filippo Turati a Mario Rapisardi (25 maggio 1881)
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25 maggio 1881
Egregio amico,
Benchè a letto, ringraziovi tosto pel babbo della vostra diffusa e cara.
In vero turbami la gioia di possederla il rimorso di avervi scomodato a scriverla mentre forse più vi urge il desiderio di obbliare nel vostro grande poema, che avete al foco, le guerricciole degli eunuchi e degli invidi, vi tarda di far con esso a questi degna risposta.
Vidi le due lettere becerescamente triviali e fanfullescamente aride sul Don Chisciotte e piacquemi la replica Vostra sdegnosa e sobria come pure godei che non abbiate degnato di soddisfazione quel meschino e presuntuoso e, dicesi, inonesto criticonzolo che il Carducci in paga delle turibulate chiama «fiero ed ardito»: un coso obbliguo anelante certo magnisclarescere inimicitiis, geloso della fama di Erostiato, con possa pigmea.
Le dispute del letterati son cosa antica, ma le lettere per esempio del Foscolo a Monti spirano, pur fra il risentimento, altra elevatezza e umanità di sensi da questi libelli mancati del Carducci. Mancati, perchè ei mostra, fra l'ostentazione del disdegno superiore, tanta grettezza e pettegoleria e trascende per modo la misura dei giudizii anzi sgiudizii che oracoleggia sul conto Vostro, che niuno spirito e di metri: e forse il senso di questo calare gli inacetisce dentro gli astii e le gelosie.
Ma Voi abbiate davvero quella superiorità che la risposta Vostra mostrava, cosa men facile alla sensibilità ulcerabilissima dei poeti, irritabile genus, ma perciò appunto tanto più degna dell'animo Vostro.
E fidatevi al pubblico che, per la sua stessa apatia, è giudice calmo e abbastanza giusto di queste dissensioni, e raddoppierà le sue simpatie in ragione appunto della scortesia degli avversarii, e ricorderà in ultimo meno le ingiurie di questi che i beneficii del Vostro genio.
«Faccia dei Giobbi, il signor Rapisardi, faccia dei Giobbi»; ma in questa ironia piatta e inconcludente io sento l'amaro della bocca del signor Carducci: perchè ci sa che il signor Rapisardi sta appunto e per davvero «facendo dei Giobbi».
Addio dunque, mio egregio e caro «Arcade».
Spero di farvi ridere con questo ricordo.
Il quale per lo meno fa ridere me e mi fa pensare che se Voi siete «cattivo soggetto» a quel modo che «arcade», il vostro è galantomismo da avere un monumento equestre.
Il Carducci se voleva calunniarvi nell'onesta con un po' di fondamento apparente non dovea porre l'accusa non verificabile dal pubblico accanto all'altra che tutto il pubblico onesto smentisce colle risate.
Questi benedetti poeti, i cattivi politici che ci sogliono fare!
Graziosissimi i due canti popolareschi, specie il secondo, che - così com'è - e bell'è tradotto mutando le desinenze:
«Piangendo e lacrimando la lasciai» etc.
Papà li tradurrà e vorrebbe sapere onde son tolti, perchè usa porre sotto o l'Autore o la raccolta: se pure non dee mettere averli avuti da Voi.
L'altro è «Canta lu cigno a l'ultimi suspiri».
Nel Vigo e nel Pitrè dice non aver trovato gran cosa che confaccia all'idea sua.
Magari ne potesse avere altre simili a coteste due che mi trascriveste.
Il libro però è già in corso di stampa, e ormai non resta gran tempo a ricerche.
Ghisleri fu meco dolente delle angustie che vi furono date: ei vi scriverà appena avrà pace.
Avrete avuto già da tempo, il giornale tedesco coi versi vostri che mi mandaste, e compiegati alcuni versi miei sulla Russia impiccata.
Una stretta di mano e gli ossequi del tutto vostro
Filippo Turati
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