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Lettere (Sarpi)/Vol. I/37

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XXXVII. — Al medesimo

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XXXVII. — Al medesimo
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XXXVII. — A Giacomo Leschassier.1


Niente a noi certamente più nuoce, eccellentissimo signore, che la malvagità dei cattivi confessori, i quali si studiano di ampliare per qualsiasi modo l’autorità di Roma; e il male inteso zelo dei buoni. E in ciò siamo venuti a tal punto, che ormai devesi disperare del rimedio. Cinquant’anni fa in Italia bene procedevano le cose. Non esisteva una pubblica educazione dei giovani per far avvantaggiare la chierisía; l’educazione veniva privatamente data dai genitori, e piuttosto pel vantaggio della casa, che pel profitto degli ecclesiastici. Nelle celle dei regolari, dove gli studi si coltivavano, tutto il lavoro si aggirava sui libri delle Sentenze: ivi niente o poco sulla giurisdizione e sull’autorità del papa; e oltre a ciò, mentre lo studio di tutta quanta la teologia era di per sè [p. 127 modifica]ben lungo, i più spendevano la vita nella contemplazione della Divinità e degli Angioli. Istituite adesso in ciascheduna città, per decreto del Concilio Tridentino, le scuole che son chiamate Seminari, l’educazione ha il pubblico fine di accrescere l’autorità ecclesiastica.2 Arroge che i prelati, e per fare risparmio di spese e per darsi apparenza di zelanti, ne commisero ai Gesuiti la cura; e di qui è venuto un grandissimo cambiamento di cose. In questa città i Gesuiti non hanno mai voluto il pensiero del Seminario; ma operarono che venisse affidato ai Somaschi, i quali sono un nuovo ordine di regolari, non differenti nell’abito dai Gesuiti.

V. S. eccellentissima avverte con acutissima sagacia (e qui ha indovinato tutto l’animo mio), che non si devono scrivere molte leggi, le quali sempre nuocono; ma invece devono introdursi nei costumi, al modo che praticavasi dagli Spartani. Saggiamente Ella dice che le molte parole non giovano; che la pratica è invece utilissima; che la dissertazione e la disputa pregiudicano: e questo è ciò che da tre anni ho sempre creduto e predicato.

Tutta la controversia della curia romana con questa Repubblica è nata dall’aver essa voluto scrivere quelle leggi che, sebbene non siano scritte, nullostante si osservano nelle costumanze delle altre regioni d’Italia. In Toscana gli ecclesiastici non possono acquistar nulla di beni immobili; e non già perchè lo proibisca alcuna legge, ma perchè il [p. 128 modifica]granduca Cosimo un tempo proibì con gravi parole ai notari di rogare alcuno strumento o testamento di tal natura.3 Contro sì fatte disposizioni, che può mettersi in campo dagli ecclesiastici? È sorta altercazione coi Veneziani perchè è stata scritta la legge; ma fin qui non si è potuto trovar la maniera di ottenere in questa Repubblica lo stesso intento. Se per caso rifulgesse alla mente di V. S. eccellentissima qualche idea che possa approdarci, la prego a non mancare di additarmela.

All’andamento delle faccende Europee, non pare che debba temersi una guerra in Italia; sì perchè nel Belgio non si tratta soltanto di pace ma anco di tregua; sì perchè i movimenti che sono principiati in Germania non poseranno tanto presto nè tanto facilmente; e, in fine, sintantochè la monarchia francese sussista, non torna conto alla Spagna di suscitar rumori in Italia. Pur tuttavia, queste condizioni le quali ci dovrebbero essere di utilità, ci sono di gran nocumento, perchè ci rendono negligenti e improvvidi del futuro. Ci addormentiamo, e dormiremmo a dilungo, se non vi fosse qualche leggiero stimolo che ci facesse risentire. Non si può che farla assai male quando la guerra e la pace sta nell’arbitrio de’ nostri avversari. Ma ogni cosa è [p. 129 modifica]nelle mani di Dio; e lui solo dobbiamo scongiurare affinchè la sua divina volontà si adempia.

Io caldamente mi raccomando alla S. V. perchè mi continui sempre la medesima benevolenza che ha cominciato a dimostrarmi, e perchè mi spenda in suo servizio; che sarà la cosa più grata la quale possa avvenirmi. Inoltre la prego di salutarmi con sommo affetto i signori Gillot e Casaubono.

Si conservi sana.

Venezia, 13 ottobre 1608.




Note

  1. Edita: come sopra.
  2. Questi brevi cenni, e come faville del genio, sopr’una materia di grandissima importanza, a noi sembrano degne di particolare osservazione.
  3. Riguccio Galluzzi così comincia il capitolo in cui riassume il procedere del primo granduca Mediceo nelle materie giurisdizionali: — «Uno dei principali riflessi di Cosimo per la buona direzione del suo governo, fu quello di prevenire i contrasti tra le due podestà, laica ed ecclesiastica; dai quali era convinto che scaturivano a turbare la società, lo spirito di sedizione, il mal costume e la decadenza della religione.» (Istor. del granducato di Toscana, lib. III, cap. IX.)